Dopo avere dato spazio su queste stesse pagine alla situazione Covid in Sudan, vediamo oggi cosa succede in un altro Paese africano, l’Uganda, il cui approccio alla disabilità è apparentemente analogo a quello italiano. A tal proposito, e grazie alla preziosa mediazione di CBM Italia, la componente nazionale dell’organizzazione umanitaria impegnata nella cura e nella prevenzione della cecità e disabilità evitabile nei Paesi in cerca di sviluppo, abbiamo voluto approfondire il concetto di Economic Violence (letteralmente “violenza economica”), che un po’ riguarda anche noi.
Ne abbiamo parlato quindi con Davide Naggi operatore in Africa e altre zone del mondo dal 1998 come «fisioterapista prima e specializzato in gestione organizzativa poi». Dal 2015 lavora per CBM e attualmente è direttore in Uganda del CoRSU Rehabilitation Hospital, ospedale di riabilitazione medica e chirurgia specialistica per persone con disabilità.
Com’è la disabilità in Uganda?
«L’Uganda dispone di un ricco quadro giuridico e politico che disciplina i diritti delle persone con disabilità. Il Paese è stato elogiato come uno dei “campioni” nell’Africa subsahariana per avere difeso i diritti delle persone con disabilità, incorporati nel quadro giuridico. Ciò include la Costituzione del 1995, che riconosce i diritti delle persone con disabilità a raggiungere il pieno potenziale mentale e fisico, nonché lo sviluppo della politica nazionale del 2006 (attualmente sotto revisione) sulla disabilità.
A livello internazionale l’Uganda è firmatario di diversi atti legislativi tra cui la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [25 settembre 2008, N.d.R.] e la Convenzione dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro del 1983 sulla riabilitazione professionale e l’occupazione delle persone con disabilità.
Il movimento per i disabili in Uganda è guidato dall’Unione Nazionale delle Persone Disabili Uganda (NUDIPU), fondata nel 1987. Essa rappresenta tutti i gruppi di disabilità del Paese, comprese le donne, con l’obiettivo di sostenere le pari opportunità e il coinvolgimento delle persone con disabilità nello sviluppo e nell’attuazione di politiche e di programmi che affrontano la disabilità. Questo di solito è fatto in collaborazione con altre parti interessate, inclusi il Governo e le Organizzazioni Non Governative».
C’è qualche dato numerico?
«Come in altri Paesi in cerca di sviluppo [e non solo in questi, N.d.R.] l’Uganda dispone di pochi dati sulla disabilità. Il censimento del 2014 mostra che il 12,5% della popolazione aveva almeno una forma di disabilità. Il 92% riguardava persone con condizioni curabili e l’80% della disabilità tra i bambini in Uganda potrebbe essere curata se i servizi specializzati fossero accessibili e convenienti. Con una popolazione stimata in 42 milioni di persone, possiamo valutare 5.250.000 disabili».
Abbiamo dati sui bambini?
«Se guardiamo agli indicatori socio-economici (anche prima del Covid-19), la situazione delle persone con disabilità è disastrosa. Il rapporto dell’UNICEF sulla condizione dei bambini con disabilità nel mondo evidenzia che “nel periodo 2009-2011, circa 201.190 alunni con disabilità frequentavano la scuola primaria e circa 11.829 sono andati in media alla scuola secondaria. Ciò suggerisce che circa il 94% dei bambini disabili abbandona la scuola tra i livelli primario e secondario”. Sempre dal medesimo rapporto possiamo trarre il dato che solo il 9% circa dei bambini con disabilità in età scolare frequenta la scuola primaria, rispetto alla media nazionale del 92%, e solo il 6% di questo 9% prosegue verso la scuola secondaria, rispetto alla media nazionale del 25%».
Qualche altro dato significativo?
«Il censimento del 2014 ha dimostrato che la maggior parte della popolazione attiva lavora in agricoltura di sussistenza indipendentemente dal proprio stato di disabilità. Tuttavia la percentuale di persone con disabilità che operano come lavoratori di sussistenza (78%) è stata superiore a quella delle persone senza disabilità (62%). Inoltre, nel 2014 solo il 23% delle famiglie con persone con disabilità viveva in abitazioni con acqua nei propri locali rispetto al 32% delle altre. E ancora, il 30% delle famiglie con persone con disabilità è rimasta a un chilometro o più da una fonte d’acqua, contro il 25% delle altre».
I dati sembrano in controtendenza rispetto alle politiche attuate.
«L’Uganda è un Paese che si è distinto nel suo impegno a favore dei diritti delle persone con disabilità. Purtroppo continua a esserci un divario tra leggi, politiche e prassi e disponibilità finanziarie. Il divario nell’attuazione riguarda atteggiamenti culturali negativi nei confronti della disabilità, scarsi finanziamenti, formazione inadeguata nell’educazione inclusiva e accesso limitato a informazioni accessibili e dispositivi di mobilità assistita. In più il divario di implementazione rende difficile il monitoraggio dei progressi e scoraggia la priorità nell’allocazione delle risorse alla disabilità. Fatto, infine, ancora più importante, vi è una mancanza di benchmarking [analisi comparativa, N.d.R.] delle politiche e degli indicatori di equità nell’accesso alla salute, all’istruzione e alla protezione sociale per le persone con disabilità».
Quali sono stati gli effetti del coronavirus sulla popolazione?
«La situazione con Covid-19 in Uganda, sebbene inizialmente ben controllata (marzo-giugno 2020), sta ora iniziando a peggiorare e stiamo assistendo a diverse migliaia di casi riportati in tutto il Paese. Il Ministero della Salute sta cercando di fare il possibile, ma il contesto (distribuzione della popolazione, situazione economica) non è facile da gestire. Gli aeroporti sono ancora chiusi e il settore del turismo (una delle industrie più importanti nel Paese) è sostanzialmente fermo. Le scuole, così come esercizi e attività, sono chiusi. Ci sono stati licenziamenti di massa e il tasso di disoccupazione continua a crescere senza controllo. In Uganda non esiste la cassa integrazione e i fondi sociali non sono accessibili ai disoccupati. L’impatto più disastroso, dunque, rimane a livello socio-economico. Migliaia di famiglie, già indigenti, sopravvivono ora in condizioni estremamente drammatiche. Senza dubbio, la recessione finanziaria ha colpito le classi più vulnerabili e bisognose, costringendo le famiglie a fare scelte dificili come rinunciare a cure mediche o a mandare i figli a scuola per poter avere di che cibarsi. I test per il Covid-19 sono ora disponibili per il pubblico, ma non sono gratis. Il costo per un test è di circa 60 euro, il che è assolutamente fuori portata per i più. Il 20 marzo di quest’anno il Ministro delle Finanze ha fornito una valutazione preliminare dell’impatto a breve della pandemia sulla popolazione, ovvero un aumento del numero di poveri di 2,6 milioni di persone».
E le persone con disabilità?
«Le persone con disabilità sono state fortemente colpite dalla recessione economica che ha causato, per esempio, un rincaro dei prezzi di beni alimentari e di trasporto pubblico. Il Covid-19 ha evidenziato la fragilità di un sistema che non è in grado di prendersi carico dei gruppi più vulnerabili, come le persone con disabilità, che ora sono ad altissimo rischio, sia a livello sanitario che socio-economico».
Che cosa si intende esattamente per Economic Violence?
«Si manifesta quando la gestione delle risorse finanziarie, soprattutto a livello di nucleo familiare, causa la privazione di beni e diritti primari ad altri membri della famiglia (o comunità). La stiamo vedendo diffondersi a causa della recessione economica in corso».
Sottostante l’intervista aleggia dunque il concetto di “violenza economica”, cioè di usurpazione delle risorse a danno di altri. Le persone con disabilità sono le prime vittime, a partire dai familiari che attuano il metodo contro di loro, fosse anche per necessità. Le sole politiche sociali non funzionano. La politica da sola non funziona: essa prende forma solo se si attua nel concreto con l’applicazione dei prìncipi. Una storia vecchia qui in Italia che trova riscontro in Uganda, dove la giovane Costituzione già contempla la presenza di persone con disabilità. Ma contemplare senza agire non serve. In ogni parte del mondo.
La presente intervista è già apparsa in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Il Covid-19 in Uganda, dove i diritti delle persone con disabilità stanno nella Costituzione”). Viene qui ripresa, con alcuni riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione. Davide Naggi lavora dal 2015 per l’organizzazione CBM e attualmente dirige in Uganda il CoRSU Rehabilitation Hospital, ospedale di riabilitazione medica e chirurgia specialistica per persone con disabilità.
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