È successo di nuovo. Prima o poi accade e quasi se ne è fatta una abitudine. Perché il silenzio la avvolge. Ma non deve esserlo e non ci stiamo. La condizione di disabilità, e le parole che a questa fanno riferimento, usate come insulto, sembra non interessino, ma non può essere così.
Ci sono caduti di nuovo al Grande Fratello Vip di Canale 5, dove di solito sono giustamente attenti a sanzionare altri comportamenti discriminatori, ma nei confronti del genere o della religione. Non riguardo alla disabilità, però. Evidentemente chi vive questa condizione non è ritenuta una persona da tutelare e rispettare. Basterebbe poco: chiedere scusa, spiegare perché, valorizzare la cultura della diversità. Invece nulla, pare non sia un problema insultare usando parole dispregiative che riguardano la disabilità. Altro trionfo dell’abilismo che purtroppo permea ancora la nostra società.
Succede che una concorrente, Selvaggia Roma, per due volte abbia usato durante le dirette la parola “mongoloide”, con volontà dispregiativa e offensiva verso le persone con sindrome di Down. Eppure non è accaduto nulla. Nessuno ha detto niente. Nessuna sanzione. Nessun rimprovero.
È in cattiva compagnia. Lo scorso anno accade lo stesso sempre al Grande Fratello. Nei giorni scorsi un esponente politico lo ha usato per criticare il presidente del Consiglio Conte [il Consigliere Comunale di Cesena Fabio Biguzzi, N.d.R.]. Capita che sia nel linguaggio di ospiti di talk-show (come L’Assedio dell’emittente Nove e anche qui nessun rimprovero o presa di distanza), che lo usino giornalisti importanti [Marco Travaglio, N.d.R.] e che incredibilmente diventi un titolo di giornale (Mongoli in mongolfiera a fuoco dopo atterraggio sui cavi dell’alta tensione, in «La Voce di Mantova», 7 gennaio 2017).
Sul blog InVisibili del «Corriere della Sera.it» abbiamo già trattato anni fa questo argomento, chiedendo che quando accadeva ci fossero scuse pubbliche, ma purtroppo non è cambiato nulla (Da Monti a Grillo, il partito trasversale: la disabilità usata come insulto).
Un termine che in passato, per esempio nel periodo fra le due guerre mondiali del secolo scorso, veniva utilizzato insieme alla parola “mongolo”, per indicare le persone con sindrome di Down, prendendo spunto da una presunta somiglianza dei tratti somatici con quelli della popolazione mongola, con la quale non vi è chiaramente nessuna relazione. Ha assunto un significato fortemente dispregiativo e da decenni è diventato un vergognoso insulto.
Il termine corretto è “persona (bambina, ragazzo, atleta ecc.) con sindrome di Down”. Molto semplicemente. Il nome “sindrome di Down” deriva da Langdon Down, lo scienziato che nel 1866 la riconobbe e descrisse per primo, identificandone le principali caratteristiche. Si tratta di una condizione genetica, non di una malattia. Perché usare questa condizione di vita, o altre di chi ha disabilità, come insulto? Sembra incredibile che ancora accada.
Come detto inizialmente, l’ennesimo episodio in cui la parola “mongoloide” è stata usata con un’accezione dispregiativa è stato denunciato con forza dal CoorDown, il Coordinamento delle Associazioni delle Persone con Sindrome di Down, che ha chiesto a Canale5 e a Grande Fratello Vip di prendere provvedimenti verso la concorrente [se ne legga già sulle nostre pagine a questo e a questo link, N.d.R.]. «Non è tollerabile – hanno scritto dal Coordinamento – che vengano sanzionati episodi di razzismo, sessismo e blasfemia e si lascino correre come “errori di poco conto” insulti che offendono le persone con sindrome di Down e le loro famiglie. Offendere usando i termini della disabilità è purtroppo all’ordine del giorno, chiediamo di smetterla di usare la parola “mongoloide” per offendere, al pari di “autistico”, “handicappato”, “cerebroleso”, così come riteniamo offensivo e discriminatorio usare “negro”, “ebreo” o “zingaro” con tono dispregiativo. Non è questione di “politically correct” o di forma, è questione di sostanza. Le parole sono importanti e il linguaggio è la base della nostra cultura ed è da qui che bisogna partire, è necessario coltivare un linguaggio corretto e rispettoso soprattutto tra i giovani».
Spiega bene Martina Fuga, vicepresidente del Coordown, in un post su LinkedIn: «Usare le parole della disabilità per offendere è diventata un’abitudine, ma quel che è peggio è che essendo considerato un “modo di dire” ne viene continuamente sminuita la gravità. Per quanto l’abitudine faccia dimenticare il significato originario di queste parole, si tratta di termini offensivi e discriminatori nei confronti della categoria di persone a cui si riferiscono e usarli alimenta una cultura del pregiudizio e della discriminazione. Mi rendo conto che quest’ultima sia la parte più difficile da comprendere, ma la questione è importante perché inquina la nostra cultura senza che nemmeno ce ne accorgiamo. La verità è che ci facciamo l’abitudine e lasciamo correre».
Utilizzare un linguaggio corretto e rispettoso della condizione è molto importante sempre, in particolare nelle condizioni più “fragili”, come è quella delle persone con sindrome di Down. Lo sottolinea bene ancora Fuga: «Non è solo una questione linguistica, è sostanza, è cultura, è mentalità che si radica. Le persone con sindrome di Down hanno lottato insieme alle loro famiglie per cambiare il mondo che le circonda e per farsi spazio nella società. Il mondo è cambiato, si è evoluto, e con lui anche la cultura. Oggi il mondo del lavoro sta imparando che una persona con la sindrome di Down può portare un valore aggiunto in azienda e assumerla non è solo un atto di generosità nei confronti di una categoria fragile. Un mondo consapevole accoglie in maniera diversa le persone con disabilità. È per questo che si tratta di un fatto culturale ancora prima che sociale. E il linguaggio è l’alfabeto di questa cultura in evoluzione. Se sdoganiamo termini come “mongoloide”, facciamo un passo indietro culturale di diversi decenni».