La scuola italiana, in questi tempi di recrudescenza dell’epidemia da Coronavirus, è in estremo affanno. Oltre alla diffusione del virus anche nelle scuole, aperte da poco più di due mesi e mezzo, nonostante il pur encomiabile tentativo di renderle luoghi sicuri dal punto di vista del contagio a prezzo di considerevoli finanziamenti, permane infatti irrisolto il problema “storico” della mancanza di insegnanti con l’abilitazione e la specializzazione necessaria. Mancano gli insegnanti di classe, sono introvabili gli insegnanti di sostegno con una formazione degna di questo nome.
Secondo i dati ufficiali forniti dal Ministero dell’Istruzione e dai Sindacati, su 64.175 posti vacanti per la materia sono state effettuate 17.637 assunzioni, mentre su 21.453 posti vacanti per il sostegno sono state effettuate solo 1.657 assunzioni. Non attribuiti in tutto, dunque, ben 65.514 posti, il 78% del totale dei posti vacanti, che sono andati a ingrossare le supplenze che quest’anno dovrebbero superare le 200.000 unità (solo per il sostegno 19.796 posti non attribuiti e 80.000 posti in deroga al 30 giugno).
Il succedersi continuo di Decreti e Ordinanze da parte del Governo e dei Ministri dell’Istruzione e della Salute, da un lato, da parte dei Presidenti delle Regioni e dei Sindaci delle principali città, dall’altro, ha contribuito a ingenerare disorientamento anche tra gli addetti ai lavori.
Con il Decreto del Presidente del Consiglio (DPCM) del 24 ottobre, il Governo ha introdotto al 75% la didattica a distanza in tutte le scuole secondarie di secondo grado. Il non avere fatto cenno alcuno agli studenti con disabilità che, come altre persone con bisogni educativi speciali, soprattutto culturali ed economici, avevano pesantemente risentito lo scorso anno scolastico dell’isolamento tra le mura domestiche, avendo difficoltà a utilizzare e talvolta anche a reperire la strumentazione e la connettività necessarie per entrare in contatto da remoto con i propri docenti, curricolari e di sostegno, e i propri compagni, ha provocato la reazione immediata delle Associazioni delle persone con disabilità, AIPD in testa (Associazione Italiana Persone Down), e delle loro Federazioni, come la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), che hanno subito protestato per l’assenza di misure alternative specifiche.
Poi il DPCM del 3 novembre, che ha introdotto la didattica a distanza in tutte le scuole secondarie di secondo grado al 100% (che già alcune Regioni avevano disposto in autonomia), ha invece prontamente recepito le proteste delle Associazioni, sottolineando la possibilità di «svolgere attività in presenza qualora sia necessario l’uso di laboratori o in ragione di mantenere una relazione educativa che realizzi l’effettiva inclusione scolastica degli alunni con disabilità e con bisogni educativi speciali» e precisando che «l’attività didattica ed educativa per la scuola dell’infanzia, il primo ciclo di istruzione e per i servizi educativi per l’infanzia continua a svolgersi in presenza, con uso obbligatorio di dispositivi di protezione delle vie respiratorie salvo che per i bambini di età inferiore ai 6 anni e per i soggetti con patologie o disabilità incompatibili con l’uso della mascherina».
Da lunedì 30 novembre, quindi, sono rientrati nelle aule scolastiche in presenza, accanto agli altri alunni del primo ciclo, anche gli alunni delle seconde e terze classi della scuola secondaria di primo grado in quasi tutte le Regioni italiane, Lombardia compresa, ad esclusione delle zone ancora “rosse”, mentre rimangono a distanza tutti gli studenti della scuola secondaria di secondo grado.
Sull’opportunità di un “liberi tutti”, con un rientro generalizzato a scuola prima delle vacanze di Natale, che potrebbe riportare la situazione pandemica ai livelli più alti della seconda ondata, gli esperti si sono espressi per lo più negativamente.
Secondo la più recente elaborazione sui dati fornita da «Tuttoscuola», restano a casa collegati con i loro professori in didattica a distanza 2.734.000 studenti degli istituti della scuola secondaria di secondo grado, oltre a circa 587.000 alunni del primo ciclo nelle zone rimaste rosse (Campania, Toscana e Abruzzo), per un totale complessivo di 3.241.000 ragazzi, a cui vanno aggiunti circa 80.000 alunni di seconda e terza media del Piemonte che, nonostante sia diventato zona arancione, ha deciso di tenere ancora questi studenti in didattica a distanza. Il numero complessivo di studenti in didattica a distanza sarà dunque di 3.321.000.
Con Calabria, Piemonte e Lombardia che dal 30 novembre passano dal rosso all’arancione, torneranno poi a seguire le lezioni in presenza circa 719.000 alunni, per la maggior parte delle classi seconde e terze della scuola secondaria di primo grado.
Tra gli alunni che seguiranno le lezioni in presenza ce ne saranno anche 164.140 con disabilità, mentre altri 97.540, quasi tutti della scuola secondaria di secondo grado, dovranno seguire l’attività da casa, a meno che non vogliano frequentare anche da soli le lezioni preparate per loro a scuola.
Con il rientro in classe degli alunni, non saranno più 362.000 i docenti che dai primi di novembre erano stati costretti a seguire i loro alunni a distanza. Saranno infatti 331.560 quelli che continueranno a farlo da casa. E saranno in classe anche 110.090 docenti di sostegno, mentre 60.290 loro colleghi seguiranno gli alunni affidati loro in altra forma.
Nessuna rilevazione sistematica da parte del Ministero dell’Istruzione ci ha tuttavia fornito informazioni “di prima mano”, neppure in questo inizio di nuovo anno scolastico, su come stia andando la scuola per alunni e studenti con disabilità, per cui le Associazioni delle persone con disabilità avevano chiesto che si intervenisse con azioni specifiche, precoci, intensive, concrete e continuative, per evitare che ancora una volta il blocco delle attività didattiche in presenza influisse pesantemente sulla loro crescita, lasciando un vuoto educativo gravissimo in ordine al loro sviluppo non solo cognitivo, ma anche personale e relazionale.
E pensare che la Nota Ministeriale Protocollo n. 1990 del 5 novembre aveva confermato definitivamente, in maniera chiara e inequivocabile, che agli alunni con disabilità dovesse essere garantito non solo il diritto allo studio in presenza, ma anche quello all’effettiva inclusione con un gruppo di compagni.
L’affermazione contenuta nella nota («I dirigenti scolastici, unitamente ai docenti delle classi interessate e ai docenti di sostegno, in raccordo con le famiglie, favoriranno la frequenza dell’alunno con disabilità in coerenza col PEI [Piano Educativo Individualizzato, N.d.R.], nell’ambito del coinvolgimento anche, ove possibile, di un gruppo di allievi della classe di riferimento, che potrà variare nella composizione o rimanere immutato, in modo che sia costantemente assicurata quella relazione interpersonale fondamentale per lo sviluppo di un’inclusione effettiva e proficua nell’interesse degli studenti e delle studentesse») dice con chiarezza che i docenti curricolari, con il docente di sostegno (e l’eventuale assistente alla autonomia e alla comunicazione) devono svolgere in presenza le lezioni all’alunno con disabilità e al gruppetto di compagni presenti a scuola con lui e, in contemporanea, a distanza al resto della classe. Laddove invece le famiglie degli alunni con disabilità preferiscano attuare comunque la didattica a distanza, è utile ricordare che il Decreto Ministeriale 39/20, di adozione del Piano Scuola 2020-2021, prevede che gli assistenti alla autonomia e alla comunicazione vadano a casa dell’alunno proprio per aiutarlo a seguire la didattica a distanza.
Secondo alcuni esperti di testate giornalistiche online, l’approccio di tali testi ministeriali prefigurerebbe «una situazione che ribalterebbe il senso di inclusione scolastica, assicurando da un lato certo la frequenza delle lezioni a quegli alunni per i quali la didattica a distanza è estremamente difficile se non impossibile, ma dall’altro la perdita fondamentale del rapporto di collettività con l’intero gruppo classe (composto non solo dai compagni ma anche da tutti gli altri insegnanti».
In realtà non è stata ancora fatta una rilevazione, che invece sarebbe oltremodo opportuna, per dirci quante famiglie di studenti con disabilità delle seconde e terze medie delle “zone rosse” e di tutte le superiori abbiano optato per la didattica in presenza e quante invece abbiano scelto la didattica a distanza. Ai genitori che hanno scelto la didattica in presenza andrebbe chiesto dove, con chi e come i loro figli hanno passato le giornate di scuola, se con altri studenti disabili nelle “aule di sostegno” oppure nelle normali aule con alcuni loro compagni di scuola, che magari già in passato li hanno aiutati nei compiti o nelle esercitazioni, oppure hanno “bisogni educativi speciali” o sono figli di infermieri o medici impegnati nella lotta al virus. Ai genitori che invece hanno preferito tenere a casa da scuola i propri figli, bisognerebbe chiedere se sono stati affiancati da un assistente al proprio domicilio e con quali risultati.
Ci sarebbe molto da discutere anche sull’informazione preliminare a tale scelta che le scuole avrebbero dovuto fornire alle famiglie e che forse non è stata data o è stata trasmessa con le parole sbagliate: un altro quesito da inserire in un sondaggio sulla situazione nazionale dell’inclusione, da sottoporre al più presto a famiglie e studenti con disabilità e mettere a confronto con l’autovalutazione delle scuole.