C’è un diritto per le persone con disabilità che emerge come un’esigenza sempre più diffusa: quello alla vita indipendente e all’inclusione nella vita sociale. Su questo tema in Lombardia, recentemente, la LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità) ha stilato una Proposta di Legge Regionale [si chiama “Politiche di welfare sociale regionale per il riconoscimento del diritto alla vita indipendente e all’inclusione sociale di tutte le persone con disabilità” e se ne può leggere anche sulle nostre pagine a questo link, N.d.R.]. Sempre la Lombardia, inoltre, ha portato avanti negli ultimi tre anni il progetto L-inc (Laboratorio-inclusione sociale), che come la citata Proposta di Legge si basa sull’articolo 19 (Vita indipendente ed inclusione nella società) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Per L-inc si è creata una sinergia tra diverse istituzioni (ANFFAS Lombardia; i Comuni di Cinisello Balsamo, Cusano Milanino, Cormano e Bresso; la LEDHA; l’UICI Lombardia; le Cooperative Sociali Arcipelago, Torpedone e Solaris; l’ANFFAS Nord Milano; l’Università Statale di Milano, Dipartimento di Diritto Pubblico e Costituzionale e quella di Milano Bicocca, Dipartimento di Sociologia; l’Azienda consortile IPIS [si legga un ampio bilancio di tale esperienza sulle nostre pagine, N.d.R.].
In sostanza L- inc è stato concepito come un grande laboratorio dove la persona è stata messa al centro con i suoi bisogni e i suoi desideri, diventando, pertanto, artefice del proprio progetto di vita indipendente. Il metodo adottato, perciò, si basa sulla flessibilità e sulla personalizzazione, utilizzando due strumenti: il Budget di progetto e il Budget di salute, il primo dei quali è l’insieme delle risorse economiche, professionali e umane disponibili per realizzare il percorso di vita indipendente, mentre il secondo rappresenta le attività, le azioni e i servizi.
Ma come affrontano altri Paesi il percorso verso la vita indipendente delle persone con disabilità? Ecco due situazioni del tutto diverse tra loro, quella dell’Inghilterra e quella della Svizzera, di cui ho esperienza diretta.
In Inghilterra ci si basa sul Budget di progetto personalizzato. La centralità della persona con disabilità ha origine negli Anni Ottanta con l’Independent Living Movement (“Movimento per la Vita Indipendente) e in questo contesto, il Personal Budget è un’agenda governativa che, in quanto tale, eroga servizi socio–assistenziali in tutto il Paese.
Ricevere un Personal Budget, almeno a livello teorico, significa essere a conoscenza dell’entità delle risorse a disposizione (in termini di importo) per la soddisfazione dei bisogni, poter scegliere come utilizzare queste risorse e se gestirle direttamente o se demandare la gestione a un ente pubblico o a un ente terzo.
Rispetto a tale modello, il progetto L-inc ha una potenzialità maggiore perché, avvalendosi anche del Budget di salute, ha a disposizione una buona rete tra tutte le risorse, umane, professionali ed economiche. Ciò significa che l’iniziativa lombarda accompagna la persona con disabilità presa in carico in tutte le fasi del percorso per il raggiungimento della vita indipendente, mentre in Inghilterra il progetto ha solo il ruolo di monetizzare l’entità del sostegno.
Completamente diversa è la situazione in Svizzera. Trattandosi di uno Stato Federale, composto da ventisei Cantoni autonomi, per la vita indipendente e l’integrazione sociale delle persone con disabilità, così come per tutte le altre decisioni sulla vita comunitaria, non ci sono leggi o regolamenti nazionali. Generalmente i singoli Cantoni organizzano laboratori, residenze e centri diurni, per favorire sia l’integrazione lavorativa, sia varie forme di vita indipendente.
Per quella che è stata l’esperienza personale di chi scrive, posso affermare che la Svizzera, anche se non si avvale di strumenti legali come il Personal Budget e il Budget di salute, dal punto di vista pratico è molto attenta e propositiva al fine di rendere indipendenti le persone con disabilità. Per molto tempo, infatti, sono stata in cura in un centro di riabilitazione nel Cantone dei Grigioni. Qui ho sperimentato che, nei casi di una disabilità non grave, si dà molta importanza a “far nuotare” da solo il paziente il prima possibile. Infatti, non appena la sue condizioni lo permettono, nei periodi di trattamento viene alloggiato in mini appartamenti attrezzati con semplici, ma utili accorgimenti. Per me, all’inizio, non è stato per nulla facile: ero letteralmente in preda allo sgomento. Poi, però, ho capito, e condiviso, questo criterio, secondo il quale l’essere indipendente è di per sé molto più importante del camminare o del muoversi nel miglior modo possibile.
Nonostante ciò, ero assalita da mille paure, come lo scottarmi mentre cucinavo, il rimanere chiusa in casa perché non riuscivo a girare la chiave nella toppa, e molto altro. Contrariamente ai miei timori e al fatto che fui costretta a superare questa dura prova molto lontano da casa, in un Paese straniero di cui non conoscevo la lingua, sono riuscita ad acquisire ogni giorno sempre maggiori capacità e consapevolezza di autogestione.
Due sono stati i grandi supporti: il sostegno psicologico che mi diede l’équipe medica, giorno dopo giorno, nel convincermi di quanto fosse importante per me alzare l’asticella costantemente; e i piccoli-grandi accorgimenti di cui era dotato l’appartamento, che garantivano una totale sicurezza, come le pentole con un manico lungo, i rubinetti-miscelatore, il tappetino antiscivolo per la doccia, le piastre elettriche per cucinare. Ausili che potrebbero sembrare banali, ma che per le persone con difficoltà sono stati fondamentali nella gestione delle attività quotidiane. Oggi essere riuscita a dipendere il meno possibile è molto di più di un successo pratico: è una questione di orgoglio.