Quando il basket può cambiare vite poverissime (anche di giovani con disabilità)

di Simone Fanti*
È una bella storia, quella delle Basketball Academy dell’Associazione Slums Dunk, fondata, tra gli altri, dai giocatori professionisti Bruno Cerella e Tommaso Marino, che hanno già dato vita a cinque diversi centri, in Africa, Sudamerica e Asia, vere e proprie scuole di vita, volute per cambiare in meglio le vite poverissime dei giovani delle baraccopoli. E lo sguardo di tale iniziativa punta anche ai giovani con disabilità, in Paesi dove essi restano segregati come “vergogne” di famiglia e dove la loro vita conta ancor meno che per gli altri
Kenya, campo da basket di Slums Dunk
Il campo da basket realizzato in Kenya dall’Associazione Slums Dunk

Quanta salvezza e dignità c’è in un campo da basket in periferia. Lo sport è il veicolo di riscatto di molti campioni dalla povertà, come Pelé o Ronaldo, ed è “vita” per molte persone con disabilità che vi hanno trovato stimoli e visibilità. Chiusi nei nostri lockdown non ci pensiamo. Il nostro mondo si ferma a un “semaforo regionale”, ancora senza il verde, che detta le leggi della nostra vita. E quelli degli affetti. Ci siamo dimenticati delle baraccopoli mondiali, fatte realmente di fango e lamiere, che contengono centinaia di migliaia di persone, se non milioni. Luoghi dove la vita conta meno di niente se sei abile. E se sei disabile…
…E se sei disabile non sei degno nemmeno di essere mostrato. Resti segregato come “vergogna” di famiglia.

Recentemente mi sono imbattuto in una bella storia, quella delle Basketball Academy dell’Associazione Slums Dunk, fondata, tra gli altri, dai giocatori professionisti Bruno Cerella e Tommaso Marino. «È iniziato con tanta incoscienza – racconta Cerella -; nel 2011, con Tommaso, abbiamo deciso di trascorrere un mese a Nairobi in Kenya e abbiamo visitato Mathare, un agglomerato di baracche fatiscenti affastellate una sull’altra ove vige la legge del più forte e per i più fragili e più piccoli il destino più frequente è quello di iniziate a sniffare la colla».
Uno spiazzo libero funge da campetto per il calcio e i due campioni non hanno resistito alla tentazione di far rimbalzare qualche pallone. «Ogni estate un mese tra quei ragazzi, arrivavamo carichi di magliette, palloni, canestri pieghevoli… fino al 2015, quando abbiamo comprato quello spiazzo, lo abbiamo trasformato in un campo e abbiamo creato una scuola di basket (e di vita) con istruttori da noi formati che cercano di prendersi cura dei ragazzi che si avvicinano».

I centri ora sono cinque: due in Kenya, uno in Zambia, uno in Argentina e uno, in partenza, in Cambogia. Quest’ultimo vede la sua nascita su sollecitazione di Chanthy Vergnano, diciassettenne cambogiana appassionata di basket, che vive a Torino con la famiglia adottiva.
Frequenta il liceo sportivo di mattina e tutti i pomeriggi si allena con la sua squadra, la Polismile Torino, dove da quest’anno milita con il ruolo di play-guardia. «Era marzo dello scorso anno – ricorda Chanthy – in pieno lockdown, e le giornate scorrevano lente tra compiti e allenamenti individuali. Un pomeriggio, mentre scorrevo Instagram, ho visto un box domande di Bruno Cerella, uno dei miei idoli insieme a Tommaso Marino. Mi sono fatta coraggio e ho deciso di chiedergli semplicemente se gli sarebbe interessato collaborare per un progetto a sostegno dei bambini cambogiani. Beh, quasi non ci credevo, ma Bruno mi ha risposto! È stato l’inizio di tutto». E da quel giorno è nato il progetto delle Basket Academy in Cambogia.

A volte le connessioni del nostro cervello sono strane e fanno corto circuiti a dir poco folli: chissà perché mi è tornato in mente il progetto di Felice Tagliaferri in India con l’Associazione CBM Italia [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], quando cioè lo scultore è andato nel subcontinente a insegnare a lavorare la creta a ragazzi ciechi, per dal loro lavoro e dignità. Che l’esempio possa stimolare anche i campioni a fare qualcosa di simile?
Ho chiesto a Cerella: «Ma avete fatto qualcosa con disabili?». «Solo in Zambia – risponde – dove con alcuni progetti dell’ Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII con cui collaboriamo sul territorio. Gruppi di ragazzi che sono stati con noi per pochi giorni, sarebbe bello proseguire. Ma dobbiamo trovare i partner giusti per provare. E non solo in Zambia, ma anche altrove, dove sembra che le persone con disabilità non esistano. Spessissimo sono impiegate in agricoltura o, forse, relegate in casa. Ci piacerebbe trovare Associazioni con cui iniziare il percorso. Io e Tommaso siamo esperti di sport, per portare avanti i progetti ci affidiamo ad Associazioni italiane e locali».
Non resta quindi che fare come Chanthy Vergnano, ovvero lanciare un assist ai due campioni e al team di Slums Dunk.

Testo già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Slums Dunk, quando un campo da basket può cambiare un’esistenza”). Viene qui ripreso – con alcuni riadattamenti al diverso contenitore – per gentile concessione.

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