Il 2020 sarà ricordato non soltanto per l’epidemia che ha sconvolto l’intero pianeta, ma anche per l’inversione, in piena corsa, di quel processo che, seppur faticosamente, stava cercando di promuovere l’inclusione, in particolare, degli alunni e delle alunne con disabilità, riconosciuti nella loro dignità di persone uniche e irripetibili.
Il Ministero dell’Istruzione, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, emanando il Decreto Interministeriale con il quale è stato dato il via al nuovo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato), da adottarsi a livello nazionale, ha anticipato la nuova direzione di marcia che, culturalmente, ci riporta a quel primo periodo, ormai lontano, in cui la scuola italiana iniziava a muovere i primi passi verso l’integrazione.
Con la Legge 118/71 veniva avviato il primo parziale inserimento degli alunni con disabilità nelle classi “normali”, dalle quali, però, restavano esclusi coloro che erano «affetti da gravi deficienze intellettive o da menomazioni fisiche di tale gravità da impedire o rendere molto difficoltoso l’apprendimento o l’inserimento nelle predette classi normali». Era ancora serpeggiante l’idea della “non possibilità” di apprendere e della non inclusione di alcuni. Oggi diremmo che quel passaggio, all’epoca innovativo, si proponeva come discriminante. E mai avremmo pensato di ritrovarci in una situazione analoga.
Ma è esattamente ciò che succede oggi, nel 2021, cinquant’anni dopo. Insieme a un’impostazione che tenta di “porre ai margini” le famiglie degli alunni con disabilità, sostituendo alla condivisione l’«approvazione» del PEI, il nuovo provvedimento introduce, per la prima volta nella storia dell’inclusione scolastica, la possibilità di «esonerare gli alunni con disabilità dall’insegnamento di alcune discipline» o di ridurre l’orario di frequenza, senza valutare le ricadute anche culturali di tale scelta, senza analizzare la portata discriminante insita in tale decisione, senza considerare il diritto allo studio garantito a tutti dalla Costituzione.
L’esonero comporta l’allontanamento dell’alunno dai suoi compagni di classe, impedendo la socializzazione, la relazione e la comunicazione, dalle opportunità di crescita e di apprendimento che si realizzano grazie all’interazione con i compagni stessi, da un percorso ancorato a quello dei compagni, adottato con gli accorgimenti che, grazie alla presenza del docente specializzato, si possono realizzare, dagli insegnanti della classe, che non potranno più essere annoverati come “suoi” docenti, in quanto egli non frequenta le loro lezioni.
Ma chi ha introdotto l’esonero ha pensato, per un attimo, agli alunni per i quali l’esonero potrebbe essere adottato per «tutte o quasi tutte le discipline»? E che in questo caso l’alunno resterebbe per tutto il tempo-scuola affidato al solo docente specializzato per il sostegno?
Le nuove Linee Guida introducono la progettazione personalizzata, ma non annullano l’esonero, che comporta l’allontanamento fisico dalla classe. E che cosa accadrà a questi alunni o studenti “esonerati”? Si ritroveranno tutti insieme in un’aula? Ricreeranno le classi differenziali o saranno inventate le classi speciali?
Appare evidente che questa impostazione culturale, che mostra “di non tollerare neppure la presenza delle persone con disabilità nei contesti comuni”, ha prodotto una brusca frenata nel processo in corsa, determinando un’inversione di tendenza, in netto contrasto con quel modello di integrazione proposto negli Anni Settanta dalla Senatrice e Ministra Franca Falcucci, convinta della ricchezza di opportunità che il contesto comune offre a tutti gli alunni, reciprocamente.
L’esonero anticipa, attraverso la microespulsione, oggi limitata “ad alcuni”, la macroespulsione degli alunni con disabilità dal percorso comune, relegandoli, molto probabilmente, in contesti chiusi, insieme ai soli docenti di sostegno.
A quanto pare, tutto ciò è sfuggito! L’attenzione, infatti, è posta prioritariamente all’erogazione delle risorse, preoccupazione legittima. Ma se gli alunni saranno “cacciati fuori dalle classi”, a cosa serve agitarsi per le risorse non erogate? Se all’alunno viene negata la dignità di persona, se all’alunno viene impedito il percorso scolastico nelle classi comuni, se l’alunno viene discriminato perché “persona con disabilità”, a cosa giova agitarsi per altre questioni?
Nel dibattito sfugge la questione pedagogica. Non è ritenuta importante, a quanto pare. Ma a fare le spese di queste infauste decisioni saranno non solo loro, gli alunni con disabilità, ma anche tutti gli altri alunni, i compagni di classe, privati dell’opportunità della condivisione educativa e formativa: un danno irreparabile dell’intero sistema sociale di un Paese civile.
Come Associazione esprimiamo la nostra più viva preoccupazione per il modello che, con questo nuovo PEI, viene introdotto nel contesto scolastico e sociale italiano e facciamo appello alla società civile e a tutte le forze politiche affinché si intervenga, al più presto, per restituire al nostro Paese quel ruolo primario che lo ha visto, fino a ieri, in prima linea in difesa dei diritti delle persone, a prescindere dalle specifiche condizioni dei singoli, impegnato a rimuovere tutti quegli ostacoli che limitano e impediscono la realizzazione della persona, nel riconoscimento del principio di uguaglianza.