La disabilità non è un peso, ma un aspetto universale della condizione umana

Chiede il rispetto dell’articolo sul diritto alla vita della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, la nota diffusa dagli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite Quinn, De Schutter e Mahler, che lanciano l’allarme «sulla crescente tendenza a emanare legislazioni che consentono l’accesso alla morte assistita basata in gran parte sulla disabilità o su condizioni invalidanti». «Sono norme - scrivono - basate su “presupposti abilisti” e sui relativi stereotipi, ma la disabilità non è un peso o un deficit della persona, bensì un aspetto universale della condizione umana»

Ombra nera di persona con disabilit«La disabilità non dovrebbe mai essere un motivo o una giustificazione per porre fine alla vita di qualcuno direttamente o indirettamente»: lo si legge nella nota ufficiale intitolata Disability is not a reason to sanction medically assisted dying (letteralmente “La disabilità non può essere la ragione per stabilire la morte tramite assistenza medica”), sottoscritta dagli esperti di diritti umani delle Nazioni Unite Gerard Quinn, Relatore Speciale (Special Rapporteur) per i Diritti delle Persone con Disabilità, Olivier De Schutter, Relatore Speciale per la Povertà Estrema e i Diritti Umani e Claudia Mahler, Esperta Indipendente sui Diritti Umani delle Persone Anziane, che hanno voluto in tal modo lanciare l’allarme per quella che viene giudicata come «una crescente tendenza a emanare legislazioni, da parte degli Stati, che consentono l’accesso alla morte assistita basata in gran parte sulla disabilità o su condizioni invalidanti, inclusa la vecchiaia. Tali disposizioni legislative, infatti, istituzionalizzerebbero e autorizzerebbero legalmente l’abilità, violando palesemente e direttamente l’articolo 10 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (Diritto alla vita), il quale richiede agli Stati di garantire che le persone con disabilità possano effettivamente godere del loro diritto intrinseco alla vita su base di uguaglianza con gli altri».

«Quando vengono legalizzati gli interventi di fine vita – hanno scritto ancora gli esperti dell’ONU – per persone che non siano malate terminali o che non soffrano in modo intollerabile, norme del genere tendono a basarsi o a trarre forza da “presupposti abilisti” sulla qualità della vita intrinseca o dallo stesso “valore” che si dà a una vita con disabilità. Sono presupposti basati appunto sull’abilismo e sugli stereotipi ad esso associati, che sono stati nettamente respinti dalla Convenzione ONU, perché la disabilità non è un peso o un deficit della persona, ma un aspetto universale della condizione umana. In nessuna circostanza, quindi, la legge dovrebbe ritenere ben motivata la decisione di porre fine alla propria vita, con il sostegno dello Stato, da parte di una persona in condizione invalidante che non sia però in una condizione di fine vita».

Degni di ulteriori e approfondite riflessioni sono altri due passaggi della nota di Quinn, De Schutter e Mahler, la prima delle quali quando scrivono che «pure in quelle legislazioni che consentono l’accesso alla morte assistita per coloro che sono in fine vita o con una malattia terminale, può accadere che le persone con disabilità, le persone anziane e soprattutto le persone anziane con disabilità, possano sentirsi sottilmente sotto pressione [nell’originale “subtly pressured”], per porre fine prematuramente alla loro vita, a causa delle barriere attitudinali e della mancanza di servizi e supporto adeguati».
E poco oltre, pensando alla «percentuale di persone con disabilità condannate a vivere in povertà, significativamente più alta rispetto al resto della popolazione, per lo più a causa della mancanza mancanza di un’adeguata protezione sociale», anch’essi potrebbero «decidere di porre fine alla propria vita come gesto di disperazione».

In conclusione, gli esperti dell’ONU hanno espresso tutta la propria preoccupazione anche per il mancato coinvolgimento delle persone con disabilità, nonché delle loro organizzazioni rappresentative, nella stesura di legislazioni come quelle segnalate. «È fondamentale – si legge infatti nella nota – che le voci delle persone con disabilità di tutte le età e di tutte le culture siano ascoltate quando si elaborano leggi, politiche e regolamenti che riguardano i loro diritti, e soprattutto quando si parla di diritto alla vita. Garantire che partecipino in modo significativo ai processi legislativi chiave che li riguardano, anche per quanto riguarda la morte assistita, è una componente chiave degli obblighi degli Stati di promuovere, proteggere e adempiere ai diritti umani e rispettare il diritto di tutti alla vita su base di parità con le altre persone». (S.B.)

Ringraziamo Luisella Bosisio Fazzi per la segnalazione.

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