«Purtroppo, alcuni anni fa sono stata vittima di una violenza fisica, vicino casa mia, durante la festa religiosa della mia parrocchia. Lui era un mio ex ragazzo, un uomo separato con un figlio, che mi avevano presentato dei miei conoscenti. […] È stata un’esperienza terribile, non la auguro a nessuno, specialmente a noi donne. Ne ho sofferto molto, non volevo più stare con un uomo. Per un breve periodo sono rimasta anche sfigurata in volto. Sono andata dai Carabinieri per segnalare la violenza, però non hanno fatto nulla. Secondo me dipende anche dal fatto che ho una disabilità intellettiva: non si rendono conto del problema vero e proprio che una persona vive» (Lina, 43 anni, donna con disabilità intellettiva).
Quello appena riportato è un passaggio di una delle dieci storie di vita di donne con disabilità vittime di violenza raccolte nell’ambito del progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica – Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple, promosso dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali [già ampiamente presentato a suo tempo anche da «Superando.it», N.d.R.]. Infatti, all’interno del progetto in questione, il fenomeno della violenza nei confronti delle donne con disabilità è stato oggetto di due distinte ricerche volte a sondare il tema da due diverse prospettive, quella quantitativa, che mira a cogliere la consistenza numerica di alcune variabili indagate, e quella qualitativa, utile ad interpretare correttamente i numeri e a focalizzare l’impatto del fenomeno della violenza sulla vita delle donne che l’hanno subita.
L’indagine qualitativa è costituita dalla raccolta delle citate storie di vita, ed è stata svolta attraverso il metodo dell’intervista narrativa. Le storie, private degli elementi che avrebbero potuto portare all’identificazione delle donne intervistate, sono pubblicate in un rapporto di ricerca curato da Daniela Bucci, con la collaborazione di Stefano Borgato (che hanno elaborato le interviste realizzate da Marta Mearini e Leila Pereira).
Uno dei tratti più apprezzabili di questo metodo di indagine consiste nel cogliere una serie di aspetti che rivelano l’unicità di ogni percorso esistenziale e, talvolta, la presenza di ulteriori caratteristiche, oltre all’essere donne e persone con disabilità, che espongono queste donne a discriminazioni e violenze aggiuntive. Caratteristiche che, tuttavia, di solito non vengono considerate nella loro compresenza e nel loro reciproco influenzarsi né dalle Associazioni di riferimento, né dai soggetti, istituzionali e non, che operano nella rete antiviolenza.
Per dare un’idea di questa varianza, facciamo un accenno a qualcuna delle storie raccolte. C’è Lupe, originaria dell’America Latina, che racconta di essere divenuta vittima di maltrattamenti e violenze psicologiche da parte del suo compagno in seguito all’acquisizione di una limitazione motoria.
C’è Vanna, 20 anni, una disabilità visiva e una storia fatta di solitudine, disagio e violenze psicologiche in famiglia, fino all’orlo del baratro, poi la risalita, il lavoro come educatrice cinofila, e la voglia di vivere che torna ad abitarla.
C’è Barbara, 36 anni, donna transessuale che ha attraversato dolori profondi, subendo ripetute violenze fisiche e psicologiche, e che adesso vorrebbe il giusto supporto per trovare la serenità.
C’è Luana, 42 anni, donna sorda e bisessuale, che ha raggiunto la serenità con se stessa dopo un’esperienza di vita all’estero.
Nel complesso il rapporto di ricerca contiene storie di donne con disabilità differenti, italiane e straniere, eterosessuali o appartenenti alla comunità LGBT+ [Lesviche, Gay, Bisessuali e Transgender, N.d.R.], con figli/e o senza, vittime di diverse forme di violenza. Storie di donne che incarnano una multiappartenenza identitaria, che hanno il diritto di essere considerate nella loro interezza, e rispettate nei loro modi di essere.
L’altra ricerca, quella di tipo quantitativo, si è concretizzata nella Seconda edizione della ricerca VERA – VERA 2 (Violence Emergence, Recognition and Awareness, in italiano “Emersione, riconoscimento e consapevolezza della violenza”), realizzata attraverso un questionario, a risposte prevalentemente chiuse, somministrato tramite un modulo di compilazione online, rivolto a donne con disabilità che hanno subìto violenza.
Mentre la prima edizione della ricerca VERA (2018-2019) era stata svolta dalla FISH in collaborazione con l’associazione Differenza Donna (questo il primo rapporto di ricerca), la seconda edizione (2020) è stata curata interamente dalla FISH. Vediamo qualche dato.
Dei 561 questionari validi ai fini della ricerca sono stati utilizzati solo i 486 che contenevano le risposte all’intera sezione sulla violenza e che sono stati compilati da altrettante donne con disabilità. Il campione si è autoselezionato e dunque non soddisfa i criteri probabilistici necessari affinché i dati raccolti possano essere riferiti all’intera popolazione delle donne con disabilità. Tuttavia, vista la carenza di dati su questo fenomeno, le informazioni raccolte sono comunque di grande interesse e utilità ai fini della descrizione e della comprensione del fenomeno stesso.
L’età delle intervistate varia dai 18 ai 99 anni, ma la classe di età prevalente è quella tra i 31 e i 60 anni. Le intervistate sono nella maggioranza dei casi donne italiane, mentre è di origine straniera o ha una doppia cittadinanza solo una percentuale intorno al 2%. Esse vivono principalmente nelle Regioni del Nord; hanno un livello di scolarizzazione medio-alto (più dell’80% delle intervistate hanno conseguito almeno un diploma di scuola superiore, una laurea o un titolo superiore alla laurea). Nel 37% dei casi sono donne occupate, mentre il 14% circa risulta in cerca di occupazione. Il 45,5% delle donne del campione sono nubili, il 37,2% coniugate o unite civilmente e il 13,4% separate. Il 40% di esse ha dei figli.
Questa la distribuzione per tipologia di disabilità: ha una disabilità motoria il 70,2% delle intervistate, una disabilità sensoriale il 23,8%, una disabilità intellettiva, relazionale o psichiatrica il 14,6%, una disabilità multipla (fatta di due, ma anche tre o quattro limitazioni funzionali contemporaneamente) il 7,2% del campione. Nel 6% dei casi, poi, la disabilità è stata causata dalla violenza stessa.
Il 62.3% del campione (303 donne) dichiara di avere subìto nel corso della propria vita almeno una forma di violenza. La forma di violenza più ricorrente è quella psicologica (51,4% del campione), seguita dalla violenza sessuale (34,6% dei casi), dalla violenza fisica (14.4%) e da quella economica (7,2%).
Come già nella prima edizione dell’indagine, anche in VERA 2 è stata rilevata un’importante discrepanza tra la percezione della violenza e la sua reale manifestazione: a fronte infatti di 172 donne (35,4% del campione) che rispondono affermativamente al quesito generico sull’avere subìto una qualche forma di violenza da parte del partner attuale o di un ex, di un familiare, di un conoscente, di uno sconosciuto o di un operatore, vi è un 62,3% di unità del campione che risponde affermativamente alle domande specifiche inerenti le singole forme di violenza. La qual cosa mostra come tra le donne intervistate la consapevolezza della violenza subita affiori solo a fronte di domande molto specifiche.
Molto interessanti risultano i dati relativi agli autori/autrici della violenza. Il 47% del campione dichiara di avere subìto violenza solo da parte di uomini, una percentuale simile, il 45%, afferma di averla subita sia da uomini che da donne, il 7,5% di averla subita solo da donne.
Le donne con disabilità, essendo sia donne che persone con disabilità, sono esposte sia alla violenza di genere (che colpisce in modo sproporzionato le donne), che alla violenza abilista, una forma di violenza che scaturisce dallo squilibrio di potere tra persone abili e disabili, che può essere agita sia da uomini che da donne, e che può avere vittime con disabilità di entrambi i generi. La circostanza che chi opera nella rete antiviolenza sia specificamente formato a riconoscere la violenza di genere (violenza maschile), ma non quella abilista, è verosimilmente uno dei fattori che contribuisce a non percepire e/o sottostimare quest’ultima forma di violenza, ma la presenza di donne tra gli autori della violenza ne conferma l’esistenza.
Sempre in merito all’autore/autrice della violenza è stato poi rilevato che nella quasi totalità dei casi (87%) si tratta di una persona nota alla vittima, con diversi gradi di prossimità. Inoltre, rispetto alla precedente rilevazione, è stato osservato che l’autore della violenza risulta essere con maggiore frequenza un familiare della donna con disabilità, piuttosto che il partner o l’ex partner (come invece indicano le statistiche sulla violenza di genere).
Un ulteriore interessante aspetto riguarda uno dei fattori di rischio rilevati. Interrogate su quale fattore (genere, disabilità o entrambi) avesse influito maggiormente – a loro avviso – sulla violenza subita, il 35,8% delle donne ha indicato entrambe le condizioni, il 33% ha invece attribuito un peso superiore al proprio essere donna, e l’11,4% di loro ha indicato la disabilità.
La circostanza che una parte significativa di donne con disabilità percepisca il proprio essere donna come primo fattore di rischio di subire violenza, può essere inteso come espressione del fatto che, rispetto ad un passato non lontano, molte di loro hanno acquisito maggiore consapevolezza della propria femminilità.
Un altro fattore di rischio di subire violenza che merita di essere segnalato, e che era già emerso nella precedente indagine, riguarda la presenza di una disabilità plurima: il 77% delle donne con questo tipo di disabilità ha subìto almeno una forma di violenza, a fronte di un 61% delle donne con un solo tipo di limitazione.
Sotto il profilo della reazione alla violenza, le donne del campione che dichiarano di avere reagito in qualche modo alla stessa sono il 46,5%, ma solo il 6,7% ha sporto denuncia alle forze dell’ordine, e appena il 3,5% di esse si è rivolta ai Centri Antiviolenza.
Interpellate su quali fossero, in base alla propria esperienza, i possibili aspetti in grado di rendere più efficace, per una donna con disabilità, il percorso di fuoriuscita dalla violenza, il 34,5% delle donne del campione ritiene che il metodo migliore sia quello di affidarsi ai canali ufficiali di contrasto alla violenza (denuncia alle forze dell’ordine, e rivolgersi ad un Centro Antiviolenza o a un servizio preposto); il 17,3% segnala l’importanza di una rete di familiari, amici o altre persone fidate cui potersi rivolgere per raccontare l’esperienza vissuta, poiché parlare e non tenersi tutto dentro è il primo passo per affrontare un problema; il 16,8% segnala la necessità di ricevere un supporto psicologico e un’assistenza da parte di personale specializzato nella gestione dei casi di violenza; il 14,7% propone un intervento educativo in grado di modificare il modello culturale che permea ancora la nostra società; infine, il 9,6% vede nella promozione dell’autonomia e dell’indipendenza (economica, ma anche abitativa) della donna con disabilità lo strumento per consentirle di sottrarsi a una situazione potenzialmente violenta e realizzare il proprio progetto di vita.
Quelli esposti sono solo alcuni dei dati raccolti nell’indagine sulla violenza nei confronti delle donne con disabilità, ed è facile coglierne l’importanza se riflettiamo sulla quasi totale assenza di dati sulla violenza nei confronti delle donne disaggregati anche in relazione alla disabilità delle vittime. È auspicabile che le due ricerche, quella qualitativa e quella quantitativa, contribuendo a dare visibilità a questo fenomeno, inducano gli istituti di ricerca ad indagarlo su più larga scala. Infatti, senza dati specifici, è impossibile descrivere in modo puntuale il fenomeno della violenza dei confronti delle donne con disabilità, e, conseguentemente, anche programmare e predisporre qualsiasi azione mirata di prevenzione, contrasto e supporto alle vittime con disabilità.
Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito il presente approfondimento è già apparso e viene qui ripreso, con minime modifiche di contesto, per gentile concessione.
Per approfondire ulteriormente: La multidiscriminazione delle donne con disabilità. Kit informativo rivolto a donne con disabilità, famiglie, associazioni, operatrici e operatori di settore: materiale documentario prodotto dalla FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), nell’àmbito del progetto Disabilità: la discriminazione non si somma, si moltiplica – Azioni e strumenti innovativi per riconoscere e contrastare le discriminazioni multiple, 24 settembre 2020 (a questo link anche la versione in linguaggio facile da leggere e da capire).
Inoltre, oltreché ricordare il lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, suggeriamo anche la consultazione delle Sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità e Donne con disabilità nel sito del Centro Informare un’h.
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