«Insieme all’amico Piero – scrive Vincenza Zagaria – dopo trentacinque anni “senza vita” al Cottolengo di Torino, Roberto è stato un esempio concreto di come si possa vivere liberi». «Una volta “evaso” dall’inferno vissuto per decenni – aggiunge Giampiero Griffo – in una struttura basata sull’abbandono, sulla cancellazione sociale, sulle regole imposte, sulla desolazione di un ambiente che annullava l’esistenza umana, Roberto è diventato un leader del movimento per i diritti e l’emancipazione delle persone con disabilità». A Zagaria e Griffo affidiamo il ricordo di Roberto Tarditi, scomparso nei giorni scorsi a causa del coronavirus, un uomo con grave disabilità che ha sempre voluto vivere libero.
Sono Vincenza Zagaria, prima persona con grave disabilità, entrata in “Sala Rossa” del Comune di Torino [Consiglio Comunale della città, N.d.R.], in qualità di Consigliera (se non ho perso il conto, forse ancora l’unica).
Ho conosciuto Roberto Tarditi nel ’74, nel Coordinamento Auto Gestione Handicappati, successivamente costituitosi come Lega Nazionale per il Diritto al Lavoro degli Handicappati, in piena collaborazione con il CSA (Coordinamento Sanità e Assistenza tra i Movimenti di Base). Un gruppo di amici disabili e non. Roberto partecipava, quando il Cottolengo lo consentiva: infatti, lui è stato rinchiuso in quell’istituto per trentacinque anni sin dalla prima infanzia.
La nostra conoscenza e amicizia è cresciuta molto ed è stato subito chiaro che Roberto voleva vivere libero! Abbiamo inizialmente filosofato sul da farsi. In itinere sono diventata la rappresentante dei bisogni sociali, di chi non disponeva di una casa, presso il Comune di Torino. A quel punto Roberto ha presentato la sua domanda e quella di Piero, anche lui istituzionalizzato nel Cottolengo per ventiquattro anni, per l’assegnazione di una casa.
Non è stato facile, per me era una battaglia che non potevo perdere, sapevo quanto fosse importante, per entrambi, vivere liberi, fuori dall’istituzione. Gli ostacoli maggiori erano rappresentati dall’incapacità di pensare che due persone con gravi disabilità, potessero vivere soli. Io portavo il mio esempio, ma vivevo in famiglia.
Oggi a distanza di quarant’anni, possiamo affermare che avevamo ragione. Roberto e Piero sono stati un esempio concreto che si può vivere liberi. In opposizione a coloro che tendono a rinchiudere le persone “diverse” dalla maggioranza degli esseri umani.
Il 5 gennaio scorso (vivo da ventisette anni in Toscana), ho chiamato Roberto per il suo compleanno, stava bene ed era sereno. Avevamo concordato di scrivere un documento per il Comune di Torino, ero in attesa del documento che non è mai arrivato! Abbiamo parlato dell’organizzazione della festa dei quarant’anni fuori dal Cottolengo! Il giorno dopo è stato colpito dal coronavirus…
Oggi la testimonianza di Roberto la dobbiamo gridare forte, perché ovunque, in tutte le Regioni, sono in aumento le costruzioni di RSA e RSD [Residenze Sanitarie Assistite e Residenze Sanitarie Disabili, N.d.R.]. Di fatto istituzioni totali che rinchiudono le persone, allontanandole e separandole dai loro affetti.
Tale orientamento è drammatico per noi. Lo Stato Centrale e le Regioni investono tanti soldi (rette in media da 3.000 euro al mese), per isolare, rinchiudere i disabili, piuttosto che finanziare le famiglie e i disabili, con progetti di vita indipendente, o con soluzioni confacenti ai bisogni, ai desideri e ai sogni di ciascuna persona.
Il Covid sta insegnando che le RSA e le RSD sono “agglomerati della morte”, sono la cancellazione di tutti i diritti sanciti dalla Costituzione, dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e dal nostro motto Nulla su di Noi senza di Noi!
Addio caro amico Roberto, mentre le lacrime diventano accecanti, ti prometto che continuerò a lottare per la libertà di ogni essere umano. Il diritto di scegliere dove vivere, come vivere e con chi vivere è sacro.
Vincenza Zagaria (Enza per gli amici!)
Ho conosciuto Roberto Tarditi durante la costituzione della Lega Nazionale per il Diritto al Lavoro degli Handicappati alla fine degli Anni Settanta del secolo scorso. Lui apparteneva al gruppo di Torino, si muoveva sulla sua sedia rotelle e spesso si accompagnava a Piero, più giovane di lui, un simpatico ragazzo colpito dalla talidomide, senza gambe e senza braccia, ambedue mancanti dal ginocchio e dal gomito.
Roberto aveva un’aria sorniona, ascoltava attento e poi interveniva, sempre puntuale e preciso. Le sue riflessioni e proposte evidenziavano un’acutezza intellettuale e una conoscenza profonda dei problemi che vivevano le persone con disabilità.
Quando ho saputo che erano ambedue usciti dal Cottolengo, per vivere insieme in un appartamento sociale del Comune di Torino, ho capito l’inferno che avevano vissuto per decenni. Chi volesse conoscerlo dovrebbe leggere la loro testimonianza nel libro Anni senza vita al Cottolengo. Il racconto e le proposte di due “ex-ricoverati”, il più bel libro sugli istituti per persone con disabilità scritto in Italia, centrato sull’abbandono, sulla cancellazione sociale, sulle regole imposte che proibivano i desideri e le volontà personali, sulla desolazione di un ambiente che annullava la loro esistenza umana.
Quel libro però fa capire la determinazione con la quale sono riusciti a “evadere” da quell’inferno e a recuperare una vita di relazione. Anzi per Roberto ha significato la possibilità di diventare un leader del movimento per i diritti e l’emancipazione delle persone con disabilità.
Nel 2007 fu invitato dalla Provincia di Caserta, nell’àmbito del progetto R-esistenze. La fatica di essere liberi, a partecipare ad una serie di conferenze di persone che come lui (Nunzia Coppedé, io stesso) erano uscite dagli istituti, per diventare alfieri delle battaglie per il rispetto dei diritti umani. Roberto, infatti, era diventato un punto di riferimento per il movimento torinese, piemontese e anche nazionale.
La sua battaglia di rinascita civile lo aveva reso sicuro di se stesso, delle sue risorse intellettuali e umane, che esprimeva con una serenità e tranquillità sorprendenti per una persona che aveva vissuto quegli orrori, ma comprensibile per chi percepiva finalmente di avere una vita piena e autodeterminata.
La moria che durate la pandemia – ancora adesso – ha investito le residenze per persone anziane, spesso non autosufficienti (documentata dalle indagini dell’Istituto Superiore di Sanità), e quella ancora non indagata delle residenze per persone con disabilità, ha posto all’attenzione pubblica l’esigenza di cambiare politiche e soluzioni di welfare. Quelle stesse ingenti risorse, infatti, disponibili per la segregazione in istituzioni lontane dal garantire la qualità di vita e di relazione, la promozione dei diritti umani, l’empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.]e l’abilitazione, con una protezione che, come si è visto, non è stata affatto garantita, anzi ha portato alla creazione di focolai del coronavirus in tutta Italia, devono essere indirizzate a progetti di vita indipendente, in cui le persone beneficiarie possano decidere per la propria vita, coltivando talenti e perseguendo obiettivi di miglioramento della propria condizione.
L’esperienza di Roberto e Piero testimonia che questo è possibile, giusto e opportuno per tutte le persone con disabilità.
Avevo sentito Roberto qualche mese fa, mi aveva cercato per discutere su quali prospettive costruire, partendo dalle criticità della pandemia, per promuovere un welfare di inclusione e partecipazione. Era insomma, a 76 anni, ancora fortemente impegnato nelle battaglie per i diritti delle persone con disabilità.
Grazie Roberto, per il contributo di esperienze e di impegno che hai dedicato ai diritti delle persone con disabilità, ti ricorderemo tra le persone che hanno contribuito a cambiare il mondo.
Giampiero Griffo – presidente di DPI Italia (Disabled Peoples’ International)