Se verificata come reale, è a dir poco grave la denuncia proveniente dalla Royal Mencap Society e ripresa dalla testata «Open». Tale organizzazione britannica, impegnata per i diritti delle persone con disabilità intellettive e/o relazionali, avrebbe infatti ricevuto varie segnalazioni di una pratica vigente nei reparti di rianimazione del Regno Unito, della quale si è occupata anche la nota testata «The Guardian».
In sostanza succederebbe che nei casi di Covid-19 contratto da persone con disabilità come quelle di cui si occupa la Royal Mencap Society, esse non riceverebbero dai sanitari alcuna pratica di rianimazione e alla base di una scelta del genere vi sarebbero vere e proprie disposizioni interne di ospedali e strutture di cura, che avrebbero appunto ordinato a medici e infermieri di non intervenire in caso di complicazioni.
«Durante la pandemia – ha dichiarato in tal senso Edel Harris, responsabile della Royal Mencap Society – molte persone con “disabilità di apprendimento” [Learning Disabilities, N.d.R.] hanno affrontato discriminazioni scioccanti e ostacoli all’accesso all’assistenza sanitaria, basandosi su avvisi inappropriati di non tentare la rianimazione cardiopolmonare (DNACPR) e di tagliare parte del supporto alla cura».
Tali indicazioni, secondo quanto denunciato, verrebbero date a prescindere dalla capacità fisica di poter reggere pratiche come quelle menzionate, ma semplicemente perché si tratta di persone con disabilità intellettive.
A queste denunce, inoltre, «Open» aggiunge anche i drammatici dati diffusi dall’NHS, il Servizio Sanitario Nazionale del Regno Unito, secondo i quali nelle cinque settimane dall’inizio dell’ultima ondata di contagi, il Covid-19 ha rappresentato il 65% dei decessi di persone con disabilità come quelle di cui si è detto, mentre il tasso per la popolazione generale era del 39%.
Segnatamente la questione di tali inaccettabili discriminazioni si allarga anche all’attuale fase dedicata alle vaccinazioni, se è vero, ad esempio, che pur rientrando le persone con sindrome di Down nelle categorie prioritarie per la vaccinazione, come stabilito dallo JCVI (Comitato Congiunto per la Vaccinazione e l’Immunizzazione), «molte di loro – si legge nel “Guardian” –, o con altre forme di disabilità intellettive, sono state in realtà classificate come “pazienti di bisogno inferiore” e messi in attesa».
Rispetto alle cosiddette “persone non collaboranti”, non ha usato mezzi termini la psichiatra Keri-Michele Lodge, dichiarando al «Guardian» che «spesso i medici non capiscono che qualcuno con difficoltà di apprendimento potrebbe non essere in grado di comunicare i propri sintomi». E ha aggiunto: «Ci si sta dimenticando completamente di queste persone: .non so se il governo sia stato accecato o se si tratti semplicemente di negligenza».
«Il tema del valore delle vite durante le situazioni di emergenza – commenta Giampiero Griffo, presidente di DPI Italia (Disabled Peoples’ International) ritorna con violenta evidenza nell’apprendere queste notizie provenienti dal Regno Unito, o meglio dall’Inghilterra. Decidere infatti che vi sono vite di valore inferiore in base a criteri discriminatori è semplicemente una violazione dei diritti umani».
«Quando il regime nazista attivò il famigerato programma T4 di sterminio delle persone con disabilità – prosegue Griffo – esso fu motivato come la “necessità di eliminare vite inutili”. Il triage medico che esclude le persone con disabilità intellettiva e relazionale parte purtroppo dal medesimo principio, assegnando valori diversi alle vite delle persone sulla base che vi siano vite da sacrificare rispetto ad altre di maggior valore. A questo punto diventa d’obbligo ricordare l’articolo 5 (Uguaglianza e non discriminazione) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità [ratificata l’8 giugno 2009 dalla Gran Bretagna e dunque, da allora, Legge del Regno Unito, N.d.R.], nonché l’articolo 25 (Salute), ove si parla di accesso alle cure per le persone con disabilità allo stesso livello degli altri cittadini».
«Situazioni gravi come queste – ricorda ancora Griffo – erano state già denunciate lo scorso anno, all’inizio della prima fase della pandemia, ad esempio dal Comitato di Bioetica della Repubblica di San Marino [se ne legga anche sulle nostre pagine, N.d.R.], supportato da tutta la comunità internazionale. E tutti i documenti internazionali prodotti nell’ultimo decennio sulle situazioni di emergenza hanno ribadito che in casi del genere il triage medico si fa sullo stato clinico e non sulle categorie delle persone, ma a quanto pare il mondo sanitario non ha ancora digerito questo nuovo approccio sancito tra l’altro dall’articolo 11 (Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie) della Convenzione ONU».
Un’ultima annotazione del Presidente di DPI Italia riguarda da una parte le Associazioni, dall’altra l’attuale campagna vaccinale. «Registro – sottolinea infatti Griffo – che ancora una volta denunce come queste arrivano da un’Associazione di genitori e persone con disabilità, quale la Royal Mencap Society. Questo testimonia palesemente l’importanza di far sentire tutta la nostra voce con pubbliche denunce, per contestare comportamenti vecchi e superati, legati a stigma negativi, che purtroppo appaiono ancora ben lontani dall’essere superati. E anche sui vaccini, in Inghilterra, sembra proprio sia negata la considerazione delle priorità per le persone con disabilità maggiormente a rischio. Ragione di più, quindi, per chiedere che anche nel in Italia la campagna vaccinale in corso inserisca immediatamente tutte le persone con disabilità». (S.B.)