I nuovi modelli di Piani Educativi Individualizzati e la visione del tutto

di Giovanni Maffullo*
Con l’intervento di Giovanni Maffullo, insegnante specializzato e apprezzata “firma” spesso presente sulle nostre pagine, si allarga e si arricchisce ulteriormente l’acceso dibattito sui nuovi modelli di PEI (Piani Educativi Individualizzati) per gli alunni e le alunne con disabilità, che ha già visto pronunciarsi varie voci in «Superando.it», con accenti e toni spesso diversi. Qui, al di là degli stessi aspetti positivi e dei punti di criticità del provvedimento, pure sottolineati, Maffullo cerca di individuarne anche la presenza o meno di una “visione generale del tutto”
Andrew Wyeth, "Up in the Studio", 1965
Andrew Wyeth, “Up in the Studio”, 1965

Raccolgo con estremo piacere la sollecitazione dell’avvocato Nocera laddove con un suo articolo pubblicato su queste stesse pagine, ha invitato a tenere desto il dibattito sui nuovi modelli di PEI (Piano Educativo Individualizzato) in chiave ICF [Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute fissata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.].
Oltre al plauso d’ufficio che va al Ministero per avere voluto fornire un modello unico per tutto il territorio nazionale, ho qualche perplessità connessa con la scuola secondaria, e con quella di secondo grado in modo particolare, ordine e grado di scuola ove ho il piacere di lavorare da ben cinque lustri. Cercherò di essere chiaro anche se, per forza di cose, non sintetico.

Oltre a sottoscrivere a piene mani quanto Nocera scrive, sempre con estrema lucidità e chiarezza, desidero ampliare il dibattito che sottende, a mio ardire, il medesimo potenziale rischio che si protrae da almeno quindici anni, dall’epoca, cioè, della Nota Ministeriale del 27 luglio 2005 [Attività di programmazione dell’integrazione scolastica degli alunni disabili da parte delle Istituzioni  scolastiche – Anno scolastico 2005-2006, N.d.R.], ovvero il fatto che la scuola rimanga sola insieme alla famiglia a gestire il processo di inclusione, meramente scolastico. Cercherò infatti di far capire, argomentandolo, che non solo la scuola rimarrà sola, ma che il docente di sostegno sarà ancor più sovraesposto a stress da lavoro correlato e prigioniero di una situazione che testimonierà, sul campo, le criticità operative.
Certo, sono affermazioni forti, ma tale sottolineatura parte da una sola e unica cosa certa: la categoria degli insegnanti specializzati è più esposta, rispetto ai colleghi curricolari, al rischio di burnout ed essi sono oltremodo considerati “docenti di serie C” (la “serie B” è occupata dai vituperati ITP, gli Insegnanti Tecnici Pratici).
Prima di proseguire, invito il Lettore a studiare, con il cuore e con la mente, anche su queste pagine, i contenuti presenti nella citata Nota Ministeriale del 2005 che, a mio dire, lasciano presagire come realisticamente si procederà nella scuola.
Qui devo puntualizzare che ho seguito nelle scorse settimane, con estremo interesse, il percorso informativo-formativo organizzato da Erickson, volto alla presentazione del nuovo PEI, cui ha partecipato il “gotha” dell’inclusione in Italia, da Dario Ianes a Flavio Fogarolo a Giancarlo Onger. Quindi, dopo avere circa un mese fa seguito il webinar di presentazione della nuova modulistica da parte del capo dipartimento per il Sistema Educativo di Istruzione e di Formazione Marco Bruschi, mi sono fatto una certa idea del tutto che ivi cercherò di illustrare.
Dai suindicati relatori ho registrato pochissime osservazioni-critiche,  e quindi ho deciso di scrivere questo contributo per cercare di fare emergere dialetticamente le criticità presenti nel Decreto Interministeriale 182/20, fermo restando che la mia non vuole essere una mera critica, ma stimolare la cosiddetta “funzione meta”, con il supremo fine di apportare un contributo attivo e fattivo in termini di idee. Vorrei dunque enucleare per punti le tematiche che affronterò con questo modesto intervento.
1) Si parla di PEI e non di PEP (Piano Educativo Personalizzato).
2) Nello stilare il Profilo di Funzionamento, pare che le varie intelligenze vengano semplicemente dimenticate.
3) Si chiede di compilare il PEI preventivo, ma il PEI è parte integrante del Progetto Individuale (verrà mai stilato quest’ultimo?).
4) La scuola sarà lasciata per l’ennesima volta da sola.
5) Non si valorizza la figura professionale dell’insegnante specializzato come figura di sistema.
6) Si prevede la convocazione di ben tre GLO (Gruppi di Lavoro Operativi per l’Inclusione) nel corso dell’anno scolastico.
7) Nelle scuole non si dà mandato alla figura inclusiva di cui alla Legge 107/15 [cosiddetta “La Buona Scuola”, N.d.R.].
8) L’annosa esigenza della formazione iniziale e in itinere del personale docente viene “dimenticata”.
9) La piattaforma e l’uso di format digitali ci salveranno?
10) Si comunica per l’ennesima volta ai docenti: «Rimboccatevi le maniche, datevi da fare, è tutto dovuto»… gratis et amore dei!
11) In ogni scuola serve fare emergere che la disabilità, in sintonia con la normativa vigente (Decreti Legislativi 66/17 e 96/19, Decreto Interministeriale 182/20), è una specificità complessa.
12) Osservazione e progettazione al servizio del PEI.
13) Esonero e riduzione di orario.
14) Progetto Individuale e debito formativo.

1) All’interno delle Linee Guida allegate al Decreto Interministeriale 182/20 non si parla altro che di personalizzazione e allora perché non rinominare il PEI in PEP (Piano Educativo Personalizzato)? Si vuole mantenere la denominazione di PEI e allora perché non recuperare il concetto di individualizzazione all’interno delle suindicate Linee Guida? (Per inciso nelle nuove Linee Guida sulla Formulazione dei giudizi descrittivi nella valutazione periodica e finale della scuola primaria, allegate all’Ordinanza Ministeriale 172/20, viene bene evidenziata la differenza fra individualizzazione e personalizzazione che, ai fine dell’inclusione, è di vitale importanza. E se recuperassimo tale definizione anche nelle Linee Guida allegate al Decreto Interministeriale 182/20?).

2) Se non erro la componente emotiva della persona non viene considerata in seno al modello di Profilo di Funzionamento, né tanto meno si parla di “intelligenze multiple” o di “orientamento esistenziale”. Ma allora, di quale progetto individuale parliamo? Disserterò più ampiamente di questo nodo cruciale nella conclusione di questo mio contributo.

3) Si scrive, nero su bianco, che occorre partire dal Profilo di Funzionamento, ma se è solo previsto per i nuovi casi, come si farà a compilare il PEI provvisorio? Si afferma che vanno presi in considerazione i vari domìni, ma i docenti curricolari sanno di cosa si parla? E ancora, i numerosi neodocenti di sostegno, precari, conoscono il concetto di ICF? E gli insegnanti specializzati sono mai stati formati? Ancora una volta si scarica a valle la responsabilità di decidere e di operare, senza fornire un idoneo supporto/formazione in primis. Si lascia alla scuola e alla famiglia l’onere di concertare le risorse di sostegno, con la velata minaccia di potenziali danni erariali. Se l’osservazione è di vitale importante per programmare e pianificare gli interventi all’interno del PEI, quali strumenti di osservazione, anche in chiave ICF, sono stati forniti ai docenti?

4) Onde poter superare quanto la scuola viva e vissuta sul campo sta subendo da anni, ovvero la dimenticanza politico-sociale, non sarebbe più coerente affermare che la famosa citata Nota Ministeriale n. 4798 del 27 luglio 2005 sarà quella a cui fare concretamente riferimento per quanto attiene la costituzione reale dei GLO? Della serie: non ci sono risorse umane sanitarie specialistiche disposte a sedersi intorno al tavolo di lavoro… arrangiatevi!

5) Non si dà mandato all’insegnante specializzato di espletare la funzione di mediatore, tessitore di rete, di figura di sistema in seno al progetto individuale. Dalla legislazione vigente, infatti, si evince che il PEI è solo parte del Progetto Individuale, ma allora chi sta in cabina di regia? Chi tiene le fila? Chi si attiva per sollecitare a livello territoriale? Chi concerta gli interventi? Lo so già: se non lo farà l’insegnante di sostegno non lo farà nessuno. Ognuno erogherà il proprio servizio specifico: Enti Locali, Servizio Sanitario Nazionale.

6) Si scrive molto, ma molto ipocritamente che il GLO si deve riunire tre volte nel corso di ogni anno scolastico. È un ennesimo e semplice carico in più, che verrà vissuto e imposto solo alla componente docente. I Dirigenti Scolastici faranno convocazioni, ma certamente chi parteciperà saranno i genitori, e torniamo all’affermarsi dell’ormai nota Nota Ministeriale n. 4798 del 2005.
Perché mi permetto il lusso di affermare ciò? Negli ultimi anni scolastici la Neuropsichiatria Infantile riferisce che se non ci sono problemi il neuropsichiatra infantile non presenzia ad alcun GLO, puntualizzando che egli, come operatore del Servizio Sanitario, di solito sarà presente solo nelle situazioni di passaggio (ad esempio quando ci sarà il passaggio da un ordine di scuola a un altro). E in queste condizioni pensiamo che l’UVM (Unità di Valutazione Multidisciplinare) metterà a disposizione il proprio personale esperto al servizio dei GLO e della compilazione dei PEI? Attendiamo le preziose Linee Guida del Ministero della Salute, ma nulla di buono lascia presagire l’orizzonte inclusivo, in termini di collaborazione dinamica fra Sanità e Scuola.

7) Mi si permetta di citare un mio articolo pubblicato poco più di un mese fa su queste stesse pagine [“Due passaggi necessari per un contesto scuola realmente inclusivo”, N.d.R.], ove sostenevo che sarebbe utile incardinare in esonero, presso ogni scuola, la figura professionale del Referente per l’Inclusione, che potrebbe coordinare ad esempio non solo  tutti i GLO di Istituto (tre riunioni per ogni alunno con disabilità), ma anche implementare quell’agognata inclusione di cui costantemente si parla (esiste già la possibilità di distaccare un insegnante specializzato in termini di organico dell’autonomia, ma ci dev’essere la volontà politica di sollecitare-invitare i Dirigenti Scolastici a facilitare tale decisione-passaggio in seno agli Organi Collegiali).

8) La formazione del docente della scuola secondaria, iniziale e in itinere, è semplicemente sullo sfondo, non è nell’agenda politica. È semplicemente  inesistente, come se non fosse prioritario il bisogno, per coloro che lavorano come formatori di persone, l’essere a propria volta formati e non solo informati. Sappiamo che nell’ultima Legge di Bilancio è stato allocato qualche “spicciolo” a pioggia, ma basterà seguire un corso di venticinque ore per incrementare la sensibilità del singolo insegnante e dell’intera comunità scolastica sulle tematiche dell’inclusione? Ricordo, in negativo, che per la prima volta è stato bandito un concorso ordinario per docenti di sostegno della scuola secondaria, tramite il Decreto Ministeriale 201/20, in cui non viene richiesto ai docenti di possedere una specifica abilitazione all’insegnamento, ma il solo titolo di specializzazione per le attività di sostegno didattico.

9) L’uso della piattaforma, al pari dello stesso PEI, dev’essere considerato come uno strumento, ma temo che avverrà quanto ho affermato in passato, che vi sia cioè un eccesso di euforia tecnologica. Si affermerà l’uso della Piattaforma COSMI (Condivisione Online Strumenti Modelli Inclusivi) o di altro sussidio-ausilio tecnologico, pur di facilitare il compito di compilare bene il nuovo PEI? A questo proposito si legga, sempre in «Superando.it», il mio articolo In una “scuola-parcheggio”, si restringe l’“area di sosta” della disabilità”. E inoltre, si avrà al tempo stesso il desiderio di iniziare un confronto serio e duraturo su cosa si intende per ambienti integrati di apprendimento? Si vorrà dare continuità all’esperienza “dentro-fuori della scuola” o ci si preoccuperà solo di come rispondere alla nuova istanza burocratico-procedurale dettata dal compilare il nuovo modello di PEI? Domanda retorica: l’importante è mettersi al riparo da… ricorsi…

10) Da un anno a questa parte, la maggior parte dei docenti ha dato non solo prova di resilienza, ma ha fatto di tutto per fare scuola e garantire quella continuità didattico-educativa essenziale in termini inclusivi (si sono formati a loro spese, investendo tempo e denaro). Noncuranti di ciò, si pensa e si afferma, a gran voce, di voler far proseguire la scuola sino a estate inoltrata?
La scuola praticamente si sta innovando a costo zero per l’Amministrazione in termini di formazione, e ora si induce nel corpo docenti anche il “senso di colpa” di avere lavorato poco, indi indotto lacune formative negli alunni? Ma imponendo all’intera comunità scolastica il Decreto Interministeriale 182/20 con tutti i suoi oneri annessi e chiedendone l’applicazione, non sta avvenendo la stessa richiesta di «lavorare gratuitamente formandosi costantemente… da soli»?
È successo, sempre nel dicembre 2020, con la scuola primaria, alla quale è stata imposta dall’alto l’immediata applicazione dei nuovi criteri di valutazione. Ho il vago sentore che, secondo un ben consolidato approccio ipocrita, si confidi sulla ben nota buona volontà e arte italica dell’arrangiarsi. In altri termini, il corpo docente nel complesso si adatterà, ma assumerà, in autotutela dal burnout, il basso profilo e per l’esattezza: i docenti curricolari scriveranno, ognuno per sua competenza, poche righe di programmazione didattico-disciplinare, e il docente di sostegno si troverà addosso, per delega, un’immane quantità di lavoro quali-quantitativo… Ovvero: c’era una volta la riconoscenza!

11) (Con collegamento al precedente al punto 7). Nelle scuole non solo non si dà mandato alla figura inclusiva di cui alla Legge 107/15 (il Referente per l’Inclusione dovrebbe appartenere allo staff del Dirigente Scolastico), ma non si valorizza adeguatamente la presenza di alunni e alunne con disabilità. Mi spiego meglio.
A mio modesto parere occorrerebbe da un lato garantire l’istituzione dell’insegnante Referente per l’Inclusione, cui farebbero capo tutte le azioni inclusive nell’area degli alunni con BES (Bisogni Educativi Speciali); dall’altro lato occorrerebbe garantire un congruo spazio all’area specifica della disabilità: le esigenze sono peculiari, basti pensare a quella vasta area dei BCC (Bisogni di Comunicazione Complessi), all’area della disabilità intellettiva e a quella dello spettro dell’autismo.
Spesso noto che nelle menti dei colleghi curricolari si pensa che i bisogni delle varie persone appartenenti all’area dei BES siano simili. Ne consegue che si tende a uniformare e semplificare la risposta a bisogni differenziati e specifici; di fatto viene negata  la realtà in modo costante e continuo, ovvero la soggettività, come se i bisogni degli uni e degli altri fossero interscambiabili.
In altri termini, tenuto conto che è a tutt’oggi in vigore la Direttiva Ministeriale “Profumo” del 27 dicembre 2012 [Strumenti d’intervento per alunni con Bisogni Educativi Speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica, N.d.R.] e che in quella sede la disabilità veniva racchiusa nel “calderone” degli alunni con BES, di fatto è successo che la tipicità della disabilità venisse inserita mentalmente, dai docenti curricolari, nel mare magnum degli alunni “fragili” e ciò è molto riduttivo. Quanta fatica ho fatto in questi tre anni scolastici a trasmettere che la disabilità ha caratteristiche anche normative  precipue, in modo tale che la presenza di specificità fa sì che ci si discosti dalle altre sottoaree degli alunni con BES. Non sarebbe il caso di provvedere a un riordino normativo “dall’alto”, onde evitare omologazioni nell’area dell’inclusione?

12) Al fine di individuare i punti di forza sui quali costruire gli interventi educativi e didattici, la progettazione è preceduta da attività di osservazione sistematica dell’alunno, compito ineludibile ben  evidenziato all’interno delle recenti Linee Guida.
L’osservazione è un compito che viene affidato a tutti i docenti della classe e va ricordato che essa è quell’attività propedeutica a tutte le altre azioni, essenziale per poter elaborare una progettazione didattico-educativa. Quest’ultima deve poter essere sia funzionale alle esigenze di quella ben precisa classe, sia capace di rispondere ai bisogni funzionali dell’alunno/alunna con disabilità, applicando le necessarie personalizzazioni in relazione agli obiettivi che si vogliono perseguire. A questo punto mi chiedo: quali strumenti vengono forniti ai docenti al fine di condurre un’osservazione degna di essere definita tale?

13) L’esonero e la riduzione dell’orario vanno analizzati caso per caso: si tratta infatti, a mio parere, di falsi problemi, che diventano tali nella misura in cui vi è una sinergica e intenzionale collaborazione fra coloro che lavorano sul front-office dell’inclusione: genitori e docenti.
Personalmente sostengo da tempo che alle superiori si può esonerare, nel corso dei cinque anni, da una o più materie, si può lavorare all’esterno dell’aula, ridurre il carico cognitivo e non solo, in termini di presenza a scuola, purché si perseguano pragmaticamente, sul campo, due punti essenziali:
° completa alleanza e fiducia reciproca fra scuola e famiglia (condivisione nel presente del percorso PEI da realizzare e lungimiranza del progetto individuale, itinerario lungo il quale si ascrive lo step temporale del PEI stesso);
° cucitura effettuata su misura del vestito della formazione, da porre in essere con lo studente con disabilità (dall’imbastitura all’impuntura). Ovviamente sto parlando dei PEID (PEI Differenziati).

14) Se non si inserisce il PEI nella cornice più ampia del Progetto Individuale ovvero nell’ottica di un progetto a più ampio respiro, ecco che ci si riduce a scrivere solo ciò che in termini di apprendimenti formali a scuola non ha funzionato: il debito formativo. Tenuto conto che in tal modo il raccordo educativo non è attuabile, perché non rendere obbligatorio lo stilare il Progetto Individuale prima di compilare il PEI?
Qui sarei anche disponibile a entrare nel merito della modalità di compilazione dell’Allegato C alle Linee Guida (Debito di funzionamento), ma evito per questioni di mero spazio; non posso però esimermi dal fare una semplice osservazione: la prima locuzione del modello prescrive: «Tenuto conto del Profilo di funzionamento» (?!) e nel medesimo Allegato si ricorre ancora all’uso dei codici ICD9CM del 2007 (Classificazione Internazionale delle Malattie), mentre è in corso l’undicesima revisione della stessa Classificazione Internazionale delle Malattie.

Epilogo
Il paradigma dell’ICF ha sicuramente il merito stupendo di focalizzare l’attenzione sull’importanza dei contesti di vita che stanno intorno a chiunque e come questi ambienti esistenziali possano divenire facilitatori e/o barriere, ma nulla ci dice sul come fare didattica a partire dalla UDL [“Universal Design for Learning”, in italiano “Progettazione Universale per l’Apprendimento” N.d.R.], che affonda le sue radici nella progettazione universale e che oggi rappresenta uno dei neo paradigmi del processo inclusivo.
Capisco anche che l’ICF – strumento che ha un taglio eminentemente medico e clinico – sia di difficile adattamento alle specifiche e soggettive esigenze didattico-educative, ma credo che si possa fare un ulteriore sforzo per rendere più funzionale lo strumento PEI, che ha l’intento di essere contemporaneamente universale e permanente; auspico pertanto che non sia immodificabile. Tutt’altro.
Infatti, per l’ennesima volta non viene fornito alcuno strumento di osservazione ai docenti: quelli curricolari non sanno cosa significhi effettuare un’osservazione di tipo narrativo (ad esempio: osservazione “carta e matita”, per non parlare di quella “diaristica”). Al contempo l’osservazione esperienziale  viene in parte mortificata dall’aver “ingabbiato” in specifici riquadri il PEI.
Senza dover per forza di cosa effettuare richiami nostalgici, a me pare che allorquando mettevo a punto un PEI “discorsivo”, seguendo i vari assi previsti dal DPR del 24 febbraio 1994 [Atto di indirizzo e coordinamento relativo ai compiti delle unità sanitarie locali in materia di alunni portatori di handicap, N.d.R.], avessi decisamente maggiore possibilità di descrivere meglio e in modo più completo la persona che a scuola assume il ruolo di alunno. Risottolineo che nel nuovo modello di PEI la componente emotiva della persona non viene tenuta in considerazione. In quale riquadro, dunque, valorizzerà come vengono percepite e vissute le varie situazioni didattico-apprendimentali e socio-relazionali dall’alunno/alunna? La lettura dell’interiorità, che tanto incide sui comportamenti, dove la vado a collocare durante la compilazione del modello PEI-ICF? E se non è presente, come ci lavoro?
Sono fermamente convinto che la scuola si basi sull’evidenza e lo sostengo da sempre (si vedano anche i vari miei contributi pubblicati dalla presente rivista telematica), ma allorquando parlo di evidenza, alludo anche ai propri vissuti, alle proprie e soggettive emozioni, connesse con le situazioni di contesto in cui ci si  trova. Oppure, complice l’ICF, che nel complesso rappresenta un paradigma innovativo e “rivoluzionario”, si vuole affermare che l’evidenza è solo ciò che la persona fa? Ciò che solo si vede ed è misurabile? La persona è molto, ma molto di più. Lo studente con disabilità sarà solo quello che è osservabile dall’esterno, negando la presenza di una ricca e intensa vita interiore che è tipicamente umana? Vogliamo per caso  buttare a mare fior fiore di studi e di approfondimenti scientifici? Vogliamo  sottovalutare quanto negli ultimi decenni è stato posto all’attenzione della comunità scientifica internazionale in termini di complessità degli esseri viventi appartenente alla specie uomo?
Qui mi permetto solo di citare autori quali Howard Gardner e le “sue” intelligenze multiple, nonché Daniel Goleman e l’“intelligenza emotiva”. In un documento universale e così importante, quale è il nuovo PEI, perché non si precisa l’importanza di comprendere quali siano i talenti presenti in ognuno degli studenti che spesso  afferiscono a una delle altre intelligenze che non siano quella linguistica e logico-matematica su cui si fonda la scuola italiana? Penso all’intelligenza visuo-spaziale, a quella musicale, a quella cinestesico-motoria, emotiva… Come le valorizzo se neppure le cito? Certo, si parla di “stili cognitivi”, ma il processo di insegnamento-apprendimento è circolare, non lineare, e a me, il nuovo modello di PEI appare molto sequenziale e lineare.
Come posso descrivere nei riquadri preconfezionati del PEI, quanto invece in modo discorsivo narravo nei vari PEI che compilavo? Ciò che io intuisco nel e dal contesto, dove lo inserisco? Si chiede ad ogni docente curricolare di progettare la sua didattica, ma gli vengono forniti strumenti per progettare? Il provare a sperimentare un nuovo orizzonte, dettato dal mio pensiero laterale, come lo offro allo studente scrivendolo nel documento? La creatività non mi pare abbia spazio di azione. Se si programmano pedissequamente gli interventi didattici di tutte le materie in tutte le ore prescritte dall’ordinamento, dove e quando potrò fare altro? Ci sono situazioni di tale gravità per cui necessitano espliciti interventi di abilitazione; orbene, come e dove articolo ciò nel PEI? Non ne vedo lo spazio epistemico in tale modello… L’unica cosa è presentare un progetto ad personam, collaterale al PEI; ma come? Non doveva il PEI poter dare la possibilità di racchiudere in sé tutto ciò che si sarebbe potuto e dovuto fare con l’alunno?
Altre domande: nello studente intrinsecamente vi possono essere barriere e facilitatori o questi si trovano solo nell’ambiente circostante? Dove scrivo ciò nella “gabbia” del nuovo modello di PEI?  Con quali strumenti rilevo, in chiave ICF, l’attività e la partecipazione?

Sono più che convinto che sia indispensabile dover iniziare a pensare collegialmente secondo la prospettiva ICF, ma mi chiedo anche: sapremo dare uno spessore qualitativo in termini educativi e non solo didattici al PEI che andremo a compilare ai sensi del Decreto Interministeriale 182/20? La cosa stupenda è che viene sottolineata la responsabilità collegiale del Consiglio di Classe, ma non rimarrà per caso in piedi  solo l’aspetto giuridico e non quello pratico? Il “caso” verrà ancora “scaricato” al docente di sostegno?
A mio avviso i modelli vanno implementati e forse occorre anche ampliare la visione del paradigma ICF. Per spiegarlo meglio, farò l’esempio concreto di una studentessa di 21 anni, certificata con disabilità… ossia la realtà fattuale.
Martina affronta con una certa fatica  un’interrogazione e ottiene un lusinghiero 6+. Subito dopo avere registrato dalla voce del prof. il voto, ha una crisi di pianto irrefrenabile. La invito a uscire con me e iniziamo a fare un cammino insieme per capire come abbia vissuto quell’interrogazione, come abbia percepito quella valutazione… Facciamo insomma un percorso di consapevolezza emotiva. Grazie alla nostra consolidata relazione e fiducia reciproca, conquistata in pochi mesi, all’interno dell’interazione umana, cerchiamo di dare un senso a ciò che è accaduto. Non mi addentro nelle attività poste in essere, ma mi chiedo: dove posso allocare nel nuovo modello do PEI il bisogno emotivo e l’esigenza di rielaborazione di questa studentessa?

Concludendo sommariamente…
Se la mia attività lavorativa di docente dovrebbe essere caratterizzata dall’interpretare il ruolo di  professionista riflessivo, come posso rinunciare sic et simpliciter a pensare? Perché non posso più chiedermi, in base al format-PEI, lungo quale direttrice esistenziale ci si sta muovendo e secondo quale prospettiva? Dell’orientamento dovrò parlarne, sempre in base al modello, solo in termini scolastici e professionali o soprattutto, considerando la complessità della dinamica delle scelte, in termini esistenziali?
A me pare che le uniche decisioni che debbano prendere i docenti siano solo quelle tecnico-esecutive, appartenenti al fare didattica e che il resto sia a latere.
Se focalizzo l’attenzione sulle sequenze che è opportuno realizzare e seguire a scuola, allora a me sorgono nella mente i seguenti passaggi: pensare individualmente, co-costruire un pensiero di gruppo intorno a un tavolo di lavoro interistituzionale, agire in modo sistemico e con sistematicità, secondo una visione olistica. Orbene, a me pare che manchi la visione olistica. Chiedersi cosa è importante fare e come farlo, in termini filosofico-esistenziali, è essenziale. Vuol dire fare emergere l’importanza del gettarsi avanti, dell’accompagnare la persona con disabilità-studente lungo un cammino di crescita globale. Ecco cosa manca al PEI-ICF: la visione del tutto.
Spero di sbagliarmi, ma già vedo i colleghi disciplinaristi intorno a me, in presenza o a distanza, dirmi: «’A Giovanni, non te far menate, compila i fogli e basta!».
Potrei concludere dicendo “io, speriamo che me la cavo”, ma preferisco riscoprire il coraggio delle idee e la forza di perorare cause. Mi chiedo però al contempo: vogliamo ancora porre in essere azioni co-costruttive o coltivare solo buoni propositi che vengono pure controfirmati? Andiamo oltre l’ipocrisia.

Insegnante specializzato e consigliere di orientamento.

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