Nemmeno il Covid riesce a riequilibrare le ingiustizie e le disuguaglianze

«Un quarantenne con autismo come mio figlio – scrive Rosari De Vitis Uccello – che è in ottima salute, ma che a causa della sua patologia è gravemente esposto a rischi di contagio, esponendovi anche chi si prende cura di lui, può essere considerato o no una “persona fragile”, ai fini della priorità per la vaccinazione anti-Covid? Vien da dubitarne, a giudicare da quella che è stata definita come “la disordinata campagna vaccinale delle diverse Regioni italiane” e vien da pensare che nemmeno il Covid riesca a riequilibrare le ingiustizie e le disuguaglianze che costellano questo nostro mondo»

Bambino fotografato di spalleHo accolto certamente con favore la notizia, riportata anche su queste pagine, che la Regione Lazio ha aperto alla priorità delle vaccinazioni per le persone con «gravissima disabilità comportamentale dello spettro autistico» o con «diagnosi di ritardo mentale grave o profondo».
Dopo avere però ascoltato in televisione nei giorni scorsi il solito medico di turno, che predicava sulla necessità di mettere in sicurezza le “persone fragili”, e pensando in generale a quella che è stata definita come “la disordinata campagna vaccinale delle diverse Regioni italiane, vien da chiedermi: ma chi sono esattamente le “persone fragili”?
Sicuramente lo è chi ha un’affezione respiratoria, cardiocircolatoria, renale, che espone a gravi rischi. Ma ci sono poi tante altre persone con disabilità, che non hanno alcuna problematica sanitaria, che tuttavia, a causa della loro stessa patologia, che più spesso è una sindrome, sono gravemente esposte a rischi ed espongono a rischi gravissimi anche chi si prende cura di loro.

Mio figlio, ad esempio, è un quarantenne con autismo, in ottima salute, che però, in base all’articolo 3 del Decreto Ministeriale del 26 settembre 2016, è definito come «una persona con disabilità gravissima».
Lui non è capace di rispettare le più elementari norme di prevenzione. Non sopporta infatti la mascherina, si mette spesso le mani in bocca, magari dopo avere toccato di tutto. Se ha l’improvviso desiderio di un dolce o di un qualsiasi oggetto, mi trascina letteralmente con tutta la sua forza di quarantenne in ottima salute nel supermercato, saltando qualsiasi coda e non dando alcun peso a improperi e moti di indignazione che si alzano contro di lui e soprattutto contro di me, rea di non essere riuscita a bloccarlo o, meglio, a  tenerlo chiuso in casa.
Se poi gli capitasse, per estrema iattura, di contrarre il Covid, come potrebbe sopportare l’isolamento in casa, lui, ipercinetico affamato di aria e di spazi o, peggio ancora, la permanenza in un reparto d’ospedale? E quale caregiver potrebbe mediare tra lui e il personale sanitario, non abituato a trattare una persona dalle reazioni imprevedibili e difficilmente gestibili?

Ecco, una persona come mio figlio è da considerarsi fragile o no? È degno di essere finalmente preso in considerazione dopo un anno di esposizione al rischio di contagio, a clausure e restrizioni di ogni tipo, quelle che portano in televisione psicologi e psicanalisti preoccupati della sorte di una generazione giovanile, cui è stata tolta ogni occasione di socialità, salvo poi riversarsi d’estate nelle discoteche alla moda di Sardegna o durante i weekend nelle piazze della movida?
Oppure può continuare a rimanere in fondo alla lista, come è avvenuto fin da quando era piccolo, quando tante cose gli sono state negate per non intralciare le “normali” attività delle persone “normali”?

Il mondo medico, e più ancora quello politico, apparentemente attento alla salute e al benessere dei cittadini, dimostra, ancora una volta, di non saper andare al di là delle emergenze che si presentano, incapace di prevedere quelle possibili, ben più funeste e dalle ricadute enormemente più pesanti.
Insomma, per concludere, nemmeno il Covid riesce a riequilibrare le ingiustizie e le disuguaglianze che costellano questo nostro mondo.

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