Arrieccoci! Ritorna per l’ennesima volta una domanda (“Con la pandemia è ancora un diritto l’inclusione scolastica?”), stando almeno al comportamento di tantissime scuole italiane che hanno disatteso la Nota Ministeriale n. 662 del 12 marzo scorso, ove si prevedeva che anche nelle “Zone Rosse” gli alunni e le alunne con disabilità potessero seguire la didattica in presenza «in situazione di effettiva inclusione», cioè con un gruppetto di compagni della propria classe che lo desiderassero.
La crisi pandemica mondiale dovuta alla diffusione del virus Covid-19 ha fatto affiorare innumerevoli problematiche in tutti i settori, pubblici, privati, nella vita quotidiana, lavorativa e scolastica per ognuno di noi. E per le persone con disabilità tali problematiche si sono acuite all’ennesima potenza in questo periodo. Tra le tante, il tema dell’inclusione scolastica rapportato alla didattica a distanza.
Il diritto all’inclusione scolastica, è opportuno ricordare a questo punto, oltre che in tutta la normativa, è stato chiaramente e ripetutamente affermato dalla Corte Costituzionale. Ma essendo chiaramente emersa sin da subito l’assoluta impraticabilità della didattica a distanza per gli alunni e le alunne con disabilità, soprattutto intellettiva-relazionale, il Ministero dell’Istruzione ha fissato un principio cardine e cioè che venisse garantita la didattica in presenza, in situazione di effettiva e reale inclusione, come detto, ovvero alla presenza di alcuni dei compagni di classe.
Questo principio è stato fissato dal Decreto Legge 22/20, convertito con modifiche nella Legge 41/20 e poi reiterato nei successivi Decreti del Presidente del Consiglio (DPCM), nelle Note Ministeriali, fino all’ultimo Decreto Legge 30/21 (articolo 43), seguito dalla già citata Nota Ministeriale n. 662/21.
Quest’ultima ribadisce il principio presente nei vari DPCM, ribadendo una volta di più che «laddove per il singolo caso ricorrano le condizioni tracciate nel citato articolo 43 le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e agli studenti in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo classe – secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa rotazione in un tempo definito – con i quali gli studenti BES [Bisogni Educativi Speciali, N.d.R.] possano continuare a sperimentare l’adeguata relazione nel gruppo dei pari, in costante rapporto educativo con il personale docente e non docente presente a scuola [grassetti nostri in questa e nelle citazioni successive, N.d.R.]».
Orbene, tracciato il solco, durante questa pandemia, dati alla mano, gli alunni e le alunne con disabilità intellettive o con autismo (circa l’80%) non hanno neanche, oltre alla didattica in presenza, potuto fruire della didattica a distanza, come è stato accertato da numerose ricerche e dimostrato da testimonianze di famiglie e di docenti.
E qui si arriva al dato forse più assurdo. Infatti, pur in presenza della Nota Ministeriale n. 662/21, molti Direttori Scolastici Regionali e moltissimi Dirigenti di singole scuole hanno sollevato il consueto dubbio circa l’esistenza o meno del diritto all’istruzione scolastica, motivandolo questa volta con il fatto che in situazione di pandemia galoppante, nelle “Zone Rosse” il diritto soggettivo all’inclusione sarebbe degradato a semplice “interesse legittimo” e quindi la presenza di alunni e alunne con disabilità a scuola con un gruppetto di compagni dovrebbe essere rimessa alla decisione discrezionale degli organi monocratici e collegiali delle singole scuole.
In verità la storia dei dubbi pretestuosi circa l’esistenza o meno del diritto all’inclusione degli alunni e delle alunne con disabilità, specie se in situazioni di gravità, che tenta di mascherare abilmente la discriminazione contro la loro frequenza nelle scuole comuni, è antica e risale alle origini stesse della storia riguardante la normativa inclusiva.
Infatti, già all’articolo 28 della Legge 118 del 1971, introducendo per la prima volta nel nostro sistema scolastico la possibilità per gli alunni e le alunne con disabilità di adempiere l’obbligo scolastico (allora sino alla terza media ) nelle classi comuni delle scuole statali (e non più in quelle “speciali”, come era obbligatorio sino ad allora), limitava tale possibilità solo agli alunni con lieve disabilità motoria, escludendo quindi tutti gli altri.
E in seguito la Sentenza 125/75 della Corte Costituzionale rigettava il ricorso di un alunno cieco della Spezia, che negli anni precedenti si era visto negare il diritto di iscriversi alle scuole comuni, con la motivazione che non esisteva un diritto all’integrazione in esse.
Solo dopo la Legge 360/76 fu consentito ai ciechi di potersi iscrivere anche nelle scuole comuni e nel 1977 fu approvata la ben nota Legge 517/77, che estendeva ai sordi e a tutti gli altri alunni con disabilità anche in situazione di gravità il diritto generale di iscrizione alle scuole comuni, ad eccezione delle scuole superiori.
Malgrado ciò, ancora nel 1978 un alunno con disabilità di Livorno si vide rigettare l’iscrizione alla scuola elementare comune e la famiglia sporse denuncia per violazione del suo diritto all’iscrizione nella scuola comune. Qui la Corte di Cassazione, con Sentenza del 30 marzo 1981 (Anno Mondiale delle Persone con Disabilità…) stabilì che non esisteva allora nel nostro ordinamento alcun diritto di frequenza delle scuole comuni e pertanto neppure un obbligo della scuola di accettare l’iscrizione; mandò quindi tutti assolti, dirigente e docenti.
Fu necessario attendere il 1987 perché si ripresentasse lo stesso problema per un alunno con disabilità che aveva chiesto l’iscrizione a una scuola superiore la quale, dopo averlo accolto , al termine del primo anno lo bocciò, deliberando il diniego alla ripetenza con la motivazione che non esiste alcun diritto all’iscrizione nelle scuole superiori, come espressamente stabilito dall’articolo 28 della citata Legge 118/71. A questo punto la famiglia dovette affrontare la solita costosa trafila del ricorso al TAR (Tribunale Amministrativo Regionale), sollevando una questione di incostituzionalità dello stesso articolo 28, laddove prevedeva che «sarà facilitata la frequenza degli alunni con disabilità nelle scuole comuni». Questa volta la Corte Costituzionale, applicando l’articolo 3, comma 2 della Costituzione («È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese») annullò il terzo comma del citato articolo 28, con una famosa sentenza di tipo “manipolatorio”, nella quale scriveva che «dove vi è scritto “sarà facilitata” si deve leggere “è assicurata”», sancendo quindi per la prima volta il diritto pieno e costituzionalmente garantito degli alunni e delle alunne con disabilità all’inclusione nelle classi comuni delle scuole di ogni ordine e grado.
Ma non è finita qui, poiché la riottosità a vedere gli alunni e le alunne con disabilità nelle classi scolastiche di tutti e come tutti, ha subìto un altro intoppo nel 2007, appena dopo l’approvazione a New York, nel 2006, della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, quando si stabilì in una norma di legge il divieto di dare troppe ore di sostegno agli alunni/alunne con disabilità e conseguentemente ad un alunno con disabilità in situazione di gravità venne negato dalla sua scuola il massimo delle ore di sostegno, con la motivazione della «necessità di risparmio dovuto ai tagli alla spesa pubblica». Anche in questo caso la famiglia ricorse al TAR, sollevando questione di incostituzionalità di tale norma e anche qui la Consulta, con la Sentenza 80/10, ha stabilito che «il nucleo essenziale del diritto allo studio non può essere compresso per motivi di bilancio».
La medesima situazione si è ripetuta nel 2016, sempre riferendosi ai tagli alla spesa pubblica, in relazione, questa volta, alle ore di assistenza all’autonomia e la comunicazione; e anche qui la Sentenza 275/16 della Corte Costituzionale ha scritto che non è il diritto dell’alunno con disabilità a dover cedere di fronte ai vincoli di bilancio, ma è «il bilancio che deve adeguarsi al diritto dell’alunno con disabilità».
In quest’ultimo anno, dunque, il ricorrente dubbio circa l’esistenza o meno del diritto all’inclusione si è posto con la motivazione della pericolosità causata dalla pandemia. E tuttavia, se si esamina la normativa emergenziale a partire dal mese di marzo dello scorso anno, tutte le norme che hanno previsto la sospensione generalizzata delle lezioni, hanno garantito agli alunni e alle alunne con disabilità il diritto alla frequenza in presenza in «situazione di reale inclusione», cioè insieme ad alcuni compagni di classe.
Già la citata Legge 41/20 e poi l’Ordinanza Ministeriale 134/20 avevano previsto per gli alunni e le alunne con disabilità il diritto all’istruzione domiciliare, malgrado ancora mancasse l’emanazione del regolamento previsto dall’articolo 16 del Decreto Legislativo 66/17; ma l’istruzione domiciliare non garantisce il diritto all’inclusione scolastica, bensì solo il diritto allo studio individuale. Infatti, la Sentenza 226/01 della Corte Costituzionale ha stabilito che per gli alunni e le alunne con disabilità, a differenza che per tutti gli altri, l’unico modo di esercitare il proprio diritto allo studio è l’inclusione scolastica, cioè la didattica in presenza «in situazione di effettiva inclusione» con un gruppetto di compagni (come stabilito appunto dalla Nota Ministeriale 662 del 12 marzo scorso). Per loro, pertanto, solo questo può essere l’unico modo di esercitare il proprio diritto allo studio, che non può impunemente essere disatteso, violando le norme non solo nei loro confronti, ma anche nei confronti dei compagni che vogliano realizzare l’effettiva inclusione scolastica.
Occorre qui far presente che l’autonomia scolastica, affermata anche nella nostra Costituzione, è un’autonomia di tipo amministrativo e quindi non può assolutamente disattendere quanto scritto dalle Note Ministeriali, che sono espressione e chiarimento di un principio sancito da una Legge (41/20) e dai DPCM. Pertanto nessun Dirigente, non solo scolastico ma nemmeno di un Ufficio Scolastico Regionale, può avvalersi dell’autonomia scolastica per negare il diritto dell’alunno/alunna con disabilità alla frequenza in presenza «in situazione di reale inclusione», cioè insieme ad alcuni compagni di classe.
Anche su questo punto il testo della Nota m. 662 è inequivocabile, che riprendiamo ancora: «Le stesse istituzioni scolastiche non dovranno limitarsi a consentire la frequenza solo agli alunni e agli studenti in parola, ma al fine di rendere effettivo il principio di inclusione, valuteranno di coinvolgere nelle attività in presenza anche altri alunni appartenenti alla stessa sezione o gruppo classe – secondo metodi e strumenti autonomamente stabiliti e che ne consentano la completa rotazione in un tempo definito».
Quanto sopra affermato, infine, è parimenti valido anche per le scuole dell’infanzia, nonché per le scuole paritarie.
Alcune scuole dell’infanzia, infatti, sostengono che la Nota non si applicherebbe ad esse, poiché non si tratta di scuole dell’obbligo. Per questo, quindi, esse non ammettono in presenza non solo i compagni, ma nemmeno gli stessi alunni con disabilità, per la cui «effettiva inclusione» è stata volutamente emanata dal Ministero la Nota n. 662.
Al contrario occorre far presente ai Dirigenti di quelle scuole che per gli alunni e le alunne con disabilità la frequenza delle scuole dell’infanzia non è una semplice “possibilità”, come avviene per tutti gli altri alunni, ma in forza dell’articolo 12, commi 1 e 2 della Legge 104/92, è un vero e proprio “diritto soggettivo” costituzionalmente garantito.
Lo stesso vale per le scuole paritarie: esse, infatti, siano comunali o private, fanno parte del sistema pubblico di istruzione in forza della Legge 62/00 e quindi hanno tutti i diritti, ma anche gli obblighi, delle scuole statali.
In ogni caso, per fugare qualsiasi dubbio sui destinatari della Nota Ministeriale, vi si scrivono esplicitamente, al secondo posto, i «coordinatori didattici», ossia i Dirigenti Scolastici delle scuole paritarie, delle «istituzioni del sistema nazionale di istruzione».
È del tutto chiaro, quindi, che la didattica dev’essere garantita in tutte le scuole di ogni ordine e grado, pubbliche e paritarie, prevedendo, oltre alla presenza reale degli alunni/alunne con disabilità certificata o con BES e quella del gruppetto di compagni, anche quella dei docenti curricolari e per il sostegno, nonché degli assistenti per l’autonomia e la comunicazione e dei collaboratori scolastici necessari sia per l’assistenza igienica degli alunni che ne abbiano bisogno, oltreché per l’indispensabile sanificazione e vigilanza dei locali.
Se infatti questa decisione fosse rimessa alla discrezionalità degli organi individuali o collegiali della scuola o dell’amministrazione scolastica, si tratterebbe non di una degradazione legittima di tale diritto al rango di mero “interesse legittimo”, ma di una vera violazione di tale diritto, censurabile in sede di TAR e, in caso di resistenza da parte dell’Avvocatura, da rendere oggetto di esame da parte della Corte Costituzionale, sollevando la questione incidentale durante il giudizio avanti al TAR.
Durante la pandemia, va ribadito in conclusione, i doveri di solidarietà sociale, come i diritti costituzionalmente tutelati, non vengono meno. Per gli alunni e le alunne con disabilità, quindi, resta il diritto all’inclusione scolastica in presenza – ovviamente tranne che nei casi di loro contagio o quarantena – e comunque con l’obbligo di adottare tutte le misure di prevenzione e sicurezza. Dal canto loro anche i docenti devono adottare quelle misure e sono tenuti a recarsi a scuola per svolgere le lezioni in presenza agli alunni/alunne con disabilità e al loro gruppetto di compagni, tenendole contemporaneamente a distanza per il resto dei compagni rimasti a casa.
FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap).
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