Evoluzioni del metodo Braille

di Stefano Sacchetti
Come gran parte dei costrutti umani, il geniale metodo di lettura e scrittura tattile a rilievo, inventato nell’Ottocento da Louis Braille, è oggi sottoposto a continui aggiornamenti, rinnovamenti e adattamenti al moderno. Si riscontrano, a questo proposito, mirabili esempi provenienti dal Giappone, già un centinaio di anni fa, con il “Braille Mainichi”, tentativo di empowerment agli albori, di cui il più recente “Braille Neue” risulta per certi versi essere l’implementazione aggiornata e contemporanea
Il font "Braille Neue"
Il font “Braille Neue”, ideato dal giapponese Kosuke Takahashi, adatto alla lettura da parte delle persone vedenti e non vedenti

Nei primi decenni dell’Ottocento, com’è noto, Louis Braille si trovava all’INJA (Institut National des Jeunes Aveugles), dopo essersi gravemente infortunato all’occhio sinistro a causa di una ferita.
Nel 1821 il militare Charles Barbier de la Serre descrisse un metodo basato su dodici punti per scrivere messaggi in rilievo, utilizzato dall’esercito per i dispacci notturni. Intuizione rivoluzionaria che portò il giovane Louis ad inventare il celebre sistema di lettura e scrittura tattile, a rilievo.

Come gran parte dei costrutti umani, il metodo è oggi sottoposto a continui aggiornamenti, rinnovamenti e adattamenti al moderno. Si riscontrano, a questo proposito, mirabili esempi provenienti dal Giappone.
Il designer giapponese Kosuke Takahashi ha ideato un nuovo sistema di scrittura e lettura, chiamato Braille Neue, font adatto alla lettura alle persone vedenti e non vedenti. L’idea di Takahashi è quella di integrarlo negli spazi pubblici, alternandolo al “Braille canonico”, oltre ad utilizzarlo in contesti e strumenti concretamente necessari allo svolgimento della vita quotidiana, quali i pulsanti dell’ascensore, le ringhiere e i pannelli-guida.

L’interesse per una maggiore inclusione culturale e sociale, garantendo l’accesso alla lettura del quotidiano, avvenne però nel primo dopoguerra.
La casa editrice Mainichi Newspapers Co. Ltd, con l’intento di rendere la stampa accessibile anche ad un pubblico non vedente in tempi in cui il concetto di pari opportunità era ancora un assioma da declinare, spedì in Germania alcuni tecnici per apprendere un sistema efficace per tradurre il quotidiano con il metodo Braille, ipotizzando l’utilizzo di una lastra metallica con sopra incisi i caratteri alfabetici. Siamo nel 1922 e il Giappone, proprio in quel periodo, sta importando una concezione di welfare di stampo occidentale, con tentativi che però non erano in grado di coprire l’intero territorio nazionale.
E tuttavia, il Braille Mainichi, in quel contesto, risultava un’eccezione, un tentativo di empowerment agli albori, quasi a significare un esempio di connubio tra tecnica e senso sociale, di cui il Braille Neue risulta per certi versi essere l’implementazione aggiornata e contemporanea.

Louis Braille
Francese di Coupvray, località non lontana da Parigi, Louis Braille vi nacque il 4 gennaio 1809. Il padre era un modesto artigiano che viveva fabbricando finimenti per cavalli.
A 3 anni, giocando nel laboratorio paterno, il bimbo si ferì gravemente ad un occhio con una lesina e nonostante le premurose cure dei genitori, la conseguente infezione si estese rapidamente anche all’altro occhio, portandolo nel giro di un anno alla cecità assoluta.
A 10 anni, Louis fu accolto nell’Istituto Reale per i Giovani Ciechi di Parigi (INJA – Institut National des Jeunes Aveugles), fondato nel 1784 da Valentin Haüy. Lì manifestò molto presto le sue straordinarie qualità, suscitando lo stupore degli insegnanti, soprattutto per la capacità di concentrazione.
In quel momento si guardava con estrema attenzione all’invenzione di Charles Barbier de La Serre, ex ufficiale di artiglieria, che aveva ideato un sistema detto di “scrittura notturna”, costituito da punti in rilievo i quali, a suo dire, avrebbero consentito ai militari di leggere al buio, per non essere individuati dai nemici. Barbier pensò quindi di far testare la sua invenzione proprio agli allievi dell’Istituto per i Ciechi di Parigi.
Quel sistema, però, risultava piuttosto complesso e poco pratico, perché fondato su due colonne parallele di sei puntini ciascuna. E tuttavia, l’esperimento fu accolto con entusiasmo dai giovani allievi, alcuni dei quali – tra cui Braille – iniziarono una corrispondenza con Barbier, utilizzando il suo laborioso metodo.
Rispetto ai numerosi tentativi precedenti per far leggere i ciechi, Barbier aveva introdotto una novità molto significativa per chi avrebbe dovuto leggere con le dita: aveva cioè sostituito i punti in rilievo al tratto continuo (ovviamente in rilievo), utilizzato da Valentin Haüy per stampare i primi volumi per i suoi alunni. A quel punto la speranza di poter trovare un modo per scrivere adatto ai ciechi e un’innata attitudine per la ricerca metodica condussero Braille, pur ancora adolescente, ad intuire il valore che avrebbe potuto assumere, per sé e per i suoi compagni, la disponibilità di un sistema di scrittura semplice e razionale.
Egli, dunque, riconobbe certamente il suo debito verso Barbier de La Serre, ma è esclusivamente a lui che va il merito di essere riuscito ad ottenere risultati definitivi, dopo alcuni anni di studio tenace e sistematico sulla posizione convenzionale di punti impressi su cartoncino. Era il 1825, Braille aveva 16 anni e il suo sistema poteva dirsi virtualmente compiuto.
Nel 1829 pubblicò l’opera Procedimento per scrivere le parole, la musica e il canto corale per mezzo di punti in rilievo ad uso dei ciechi ed ideato per loro, con la quale fece conoscere la scrittura da lui inventata, che è quella ancora oggi utilizzata dai ciechi di tutto il mondo (compresi i dialetti africani, la lingua araba e persino quella cinese).
Braille morì il 6 gennaio 1852 a soli 43 anni.

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