Nel bel tempo andato, quando si voleva rimarcare la dimensione di un problema, si diceva che era “grande come il mare”. La tempestiva vaccinazione delle persone “ultrafragili” – che noi chiamiamo con semplicità “i gravissimi” – è diventata una questione di dimensione oceanica. Eppure, per sapere dove sono e quanti sono i gravissimi, bastava chiederlo all’INPS che eroga le pensioni di invalidità e l’assegno di accompagnamento. L’INPS ha risposto in due giorni a chi gliel’ha chiesto. Gli increduli possono vedersi la trasmissione di Rai 3 Mezz’ora in più, con interviste all’attuale presidente dell’INPS Pasquale Tridico e a Tito Boeri, che ne fu presidente anni prima. Peccato, però, che sia stato fatto solo in una Regione e in due Province!
L’aver voluto far passare le prenotazioni degli ultrafragili tramite il medico di medicina generale e l’utilizzare una piattaforma soggetta a troppi intoppi, anziché quella ben collaudata di Poste Italiane, ha fatto sì che la vaccinazione dei gravissimi sia quasi ovunque in fortissimo ritardo.
A giudizio di chi scrive, le Associazioni che rappresentano le persone con disabilità e le loro famiglie non sono riuscite a sollecitare sufficientemente tale processo, svolgendo sì un’azione meritevole ai massimi vertici, ma povera di risultati pratici.
Abbiamo così assistito alla vaccinazione dei giardinieri delle ASL (che lavorano all’aria aperta), dei docenti universitari (che magari lavorano da remoto), mentre chi non è in grado di compiere autonomamente gli atti indispensabili al mantenimento in vita e magari dipende da ventilazione assistita e ossigenoterapia ventiquattr’ore su ventiquattro, attende con trepidazione di sapere quando sarà vaccinato e vane sono state le richieste di caregiver e familiari di conoscere almeno la data di tale operazione.
Ho il sospetto che molti Assessori, Direttori Sanitari, Presidenti di Distretto Sociosanitario e professionisti implicati a vario titolo nel “fattaccio” non conoscano l’esistenza dei gravissimi che vivono in casa, senza intasare i posti letto delle strutture sanitarie. Che fare, dunque?
Andare in TV a perorare il proprio singolo caso (produttivo, ma difficile), scrivere articoli di denuncia sui giornali, fare una class-action (forse improponibile), seguire la scellerata “via americana” basata sui fucili d’assalto potenziati (sconsigliabile)? All’italiana ognuno penserà per sé, facendo pressione dove e come può.
Un piccolo esempio in materia: il Distretto Sociosanitario e il Comune capofila di esso avevano negato a mia figlia quanto previsto dalla dote di cura (1.200 euro al mese), accampando motivazioni errate, inconsistenti e false.
Ebbene, il TAR (Tribunale Amministrativo Regionale) ha condannato il Distretto, l’ASL e il Comune a rifondere le spese di giudizio e a ricalcolare l’entità della dote di cura, secondo i parametri citati dalla famiglia e tramite procedure corrette.
Federazione Italiana ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi) (abcliguria@gmail.com).
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