Farà certamente utile giurisprudenza la Sentenza n. 6497 prodotta il 9 marzo scorso dalla Corte di Cassazione, secondo la quale è illegittimo, da parte di un datore di lavoro, licenziare un lavoratore con sopravvenuta disabilità, se il datore di lavoro stesso non abbia dimostrato l’impossibilità di trovare una nuova collocazione, anche di livello inferiore, con conservazione del trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza, in quanto «obbligato preventivamente a verificare di non potere adottare “accomodamenti ragionevoli” in una prospettiva di riorganizzazione del lavoro aziendale idonea alla salvaguardia del posto di lavoro».
Rifacendosi tra l’altro al concetto di “accomodamento ragionevole”, così come viene modellato all’articolo 2 (Definizioni) della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità («per “accomodamento ragionevole” si intendono le modifiche e gli adattamenti necessari ed appropriati che non impongano un onere sproporzionato o eccessivo adottati, ove ve ne sia necessità in casi particolari, per garantire alle persone disabilità il godimento e l’esercizio, su base di uguaglianza con gli altri, di tutti i diritti umani e delle libertà fondamentali»), la Suprema Corte scrive nella propria Sentenza che «l’impossibilità di ricollocare il disabile adibendolo a diverse mansioni comunque compatibili con il suo stato di salute, non esaurisce gli obblighi del datore di lavoro che intenda licenziarlo, perché, laddove ricorrano i presupposti di applicabilità dell’art. 3, co. 3 bis, d. lgs. n. 216 del 2003 [attuativo della Direttiva 2078/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, N.d.R.], dovrà comunque ricercare possibili “accomodamenti ragionevoli” che consentano il mantenimento del posto di lavoro, in una ottica di ottimizzazione delle tutele giustificata dall’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà sociale (art. 2 Cost.), tanto più pregnanti in caso di sostegno a chi versa in condizioni di svantaggio [grassetti nostri nella citazione, N.d.R.]».
Come viene dunque sottolineato dal Servizio ANMIL Informa, «la Suprema Corte ha «posto a carico del datore di lavoro l’obbligo di ricercare, anche in osservanza dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del rapporto, le soluzioni che, pur nell’ambito del piano organizzativo prescelto, risultino le più convenienti ed idonee ad assicurare il rispetto dei diritti del lavoratore e lo grava, altresì, dell’onere processuale di dimostrare di avere fatto tutto il possibile, nelle condizioni date, per l’attuazione dei detti diritti». (S.B.)
Ringraziamo per la collaborazione il Servizio ANMIL Informa.