Dopo quello segnalato nei giorni scorsi su queste stesse pagine [si legga: “Caregiver = badante? Non proprio!, N.d.R.], ecco un altro esempio di come la confusione regni sovrana tra i termini caregiver e badante. Si è potuto infatti leggere in questi giorni, su vari siti di informazione (ad esempio a questo e a questo link), la notizia che oggi, 15 aprile, è prevista a Roma la cerimonia di consegna degli attestati ai partecipanti ad un “Corso da caregiver”, gestito in collaborazione dall’ ASL ROMA 1 e dalla Comunità di Sant’Egidio.
Si tratta di un corso giunto al suo decennale, una lodevole e consolidata iniziativa. Solo che, a una rapida lettura del programma e delle finalità, oltreché dei programmi e delle dichiarazioni degli organizzatori e dei docenti, ci si rende conto che in realtà il corso è finalizzato alla formazione di “badanti” o, sarebbe meglio dire, di operatori di assistenza alla persona, o come li si voglia chiamare. La presenza tra i destinatari indicati di “familiari e parenti”, ottima certo, non toglie però il fatto che tutto concorra all’obiettivo fondamentale: la formazione – negli anni sempre più completa, bisogna dire – di persone che svolgano in modo non improvvisato e occasionale il delicatissimo ruolo di affiancamento a una persona non autosufficiente.
C’è qualcosa di male in questo? Assolutamente no, anzi, ben vengano corsi come questo. Quello che lascia sconcertati è la faciloneria con cui si mescolano caregiving e badantato che sono, e non ci stanchiamo di ripeterlo, due categorie distinte e profondamente diverse, anche se complementari, contigue e con alcuni punti di contatto.
Questo va precisato in modo netto e definitivo, come dato di fondo, come ABC elementare dell’alfabeto di ogni assistenza domiciliare, non per farne questioni ideologiche o di “bandiera”, ma perché se non si tengono separate e distinte nel significato, nella gestione, nel funzionamento quotidiano e nei diritti/doveri, oltreché nelle relazioni con la persona assistita e con gli operatori sanitari e sociali, come mai si potrà anche solo lontanamente pensare di poter programmare e imbastire un qualunque piano di assistenza sanitaria in casa? Perché è quella la meta dichiarata e condivisa: spostare sempre di più l’assistenza a domicilio. Ma come poterlo fare, su queste basi?
Che questa confusione sbadata di termini e di ruoli, poi, venga fatta da chi si occupa di linguaggio, passi ancora; da chi si occupa di volontariato, già è meno comprensibile, ma ci si può facilmente porre rimedio; se però viene fatta da un ospedale pubblico e addirittura da una ASL (della Capitale, per giunta), diventa una cosa preoccupante e testimonia quanto si sia davvero all’età della pietra nel trattare la questione del caregiving in Italia. E anche di come sia velleitario e completamente scritto sull’acqua l’intento di por mano in via legislativa alla questione dei caregiver: ma se non si ha nemmeno l’idea di chi esattamente siano e di cosa esattamente facciano!…