Seguito via via anche dal nostro giornale (si faccia riferimento, a tal proposito, al lungo elenco di contributi da noi pubblicati, presente nella colonnina a destra del testo Altre riflessioni sui nuovi modelli di Piani Educativi Individualizzati), il dibattito sui nuovi modelli di PEI (Piano Educativo Individualizzato) fissati dal Ministero dell’Istruzione, è stato particolarmente acceso, in questi mesi, lasciando spazio ad opinioni non sempre convergenti.
Sul tema è intervenuto nei giorni scorsi il Centro Antidiscriminazione Franco Bomprezzi della LEDHA, la Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità che costituisce la componente lombarda della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), pubblicando il proprio parere legale intitolato Il “nuovo” PEI nel solco della riforma della “Buona Scuola” (disponibile integralmente a questo link), al centro del quale vi sono appunto il Decreto Interministeriale 182/20 (Adozione del modello nazionale di piano educativo individualizzato e delle correlate linee guida, nonché modalità di assegnazione delle misure di sostegno agli alunni con disabilità, ai sensi dell’articolo 7, comma 2-terdel decreto legislativo 13 aprile 2017, n. 66) e le relative Linee Guida, valutate incrociando i testi con le richieste e le situazioni segnalate allo stesso Centro Antidiscriminazione.
Il documento mette in evidenza sia gli aspetti positivi del nuovo PEI, sia le sue criticità, segnalando tra i primi, come si legge in una nota diffusa dalla LEDHA, «la predisposizione di uno schema nazionale unico di PEI, con quattro differenti modelli per ciascun ordine di scuola. Inoltre, il Decreto stabilisce tempi certi nella formulazione dei PEI: quelli provvisori, infatti, devono essere elaborati entro il mese di giugno dell’anno scolastico precedente, mentre i PEI definitivi devono essere elaborati entro ottobre. Un ulteriore elemento positivo, infine, è il riferimento alla necessità di valutazione delle barriere presenti nel contesto».
Per quanto riguarda invece le criticità evidenziate nell’analisi, tale, viene ritenuta innanzitutto dal Centro della LEDHA, quella di «avere introdotto una grave distinzione tra i partecipanti del GLO (Gruppo di Lavoro Operativo per l’Inclusione), nel passaggio in cui il Decreto afferma che “vi partecipano” i genitori. Un’espressione, questa, che potrebbe portare a individuare ruoli diversificati all’interno del GLO». «Riteniamo opportuno –scrivono dunque dal Centro Antidiscriminazione – modificare il modello, in modo che i genitori siano definiti nei testi ministeriali come “componenti a pieno titolo” del GLO».
A destare quindi perplessità è l’introduzione del concetto, del tutto inedito, di «debito di funzionamento», che secondo il Centro Antidiscriminazione «non trova altrove nessun riscontro né normativo né classificatorio e la cui definizione al momento non risulta molto chiara».
E ancora, «dalla specificazione che le ore settimanali di assistenza per l’autonomia e/o la comunicazione siano “condivise” con l’Ente competente, deriverebbe che le ore proposte all’interno del PEI non siano più vincolanti per gli Enti Locali, i quali, al contrario, avrebbero la facoltà di decidere autonomamente il numero di quelle ore da assegnare alle scuole». Inoltre, «da una nota presente in un allegato al Decreto emergerebbe anche che, nell’assegnazione delle ore, gli Enti Locali debbano agire “tenuto conto del principio di accomodamento ragionale e sulla base delle richieste complessive formulate dai Dirigenti Scolastici”». Questo, a parere del Centro, «avrebbe due risvolti negativi: causerebbe cioè da una parte la svalutazione del GLO e potrebbe costituire una grave violazione del diritto fondamentale all’istruzione e inclusione scolastica degli alunni e delle alunne con disabilità».
Un ulteriore passaggio valutato criticamente riguarda il fatto che «si sia scritta nero su bianco la possibilità di riduzione dell’orario di frequenza, oltre alla formalizzazione di ore di sostegno fuori dalla classe. Ciò confermerebbe e legittimerebbe la pratica indiscriminata e indipendente dalle effettive esigenze dell’uscita dalla classe di alunni con disabilità, o comunque la riduzione indiscriminata delle ore di frequenza, laddove manchino le risorse o l’alunno sia difficile da gestire». Il Centro Antidiscriminazione ritiene pertanto «assolutamente necessaria la revisione di quel passaggio, prevedendo nei singoli PEI che ci sia la possibilità di “svolgimento di attività” in classe o fuori, e solo per previ e determinati periodi e per eccezionali motivi adottati dai genitori e convalidati dall’Unità Operativa di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza».
Altro punto di cui si sta parlando in questi mesi concerne la necessità di evitare in modo definitivo la prassi, ancora presente in molte scuole, di crescenti uscite dalla classe di alunni e alunne con disabilità (specie intellettive o con problemi comportamentali), non motivate né accompagnate da riscontri nel rientro. Per questo, secondo il Centro, «sarebbe opportuno aggiungere nel punto dedicato ai laboratori la dicitura “con la presenza di alunni con e senza disabilità” o “da realizzare in situazione di reale inclusione”».
E da ultimo, ma non ultimo, il tema dell’esonero, rispetto al quale il Centro Antidiscriminazione ritiene opportuno chiarire che tale opzione sia «da riferire esclusivamente agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, per la formulazione di PEI differenziati, eliminando così ogni dubbio circa la sua possibile applicazione nelle scuole primarie e secondarie di primo grado». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: ufficiostampa@ledha.it; antidiscriminazione@ledha.it.
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