Diritti umani in emergenza. Dialoghi sulla disabilità ai tempi del Covid-19 (Roma, IF Press, 2021) è un’opera scaturita dall’omonimo ciclo di seminari online organizzati nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno [se ne legga ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.] dal Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, a cura di Maria Giulia Bernardini del medesimo Ateneo e della ricercatrice Sara Carnovali, che sono anche le curatrici del volume.
Finanziata con i fondi del già citato Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università ferrarese, la pubblicazione è liberamente scaricabile in formato .pdf dal sito della casa editrice. Essa si snoda in quattro filoni tematici contestualizzati nel tempo della pandemia di Covid-19: stigma e istituzionalizzazione, accessibilità, donne con disabilità e discriminazioni multiple, caregiving.
Tante le figure coinvolte, oltre alle due curatici, nella stesura di questo elaborato che esprime anche nella pluralità di voci la sua ricchezza (se ne legga nel box in calce).
Non è vero che, come inizialmente ipotizzato, la pandemia di Covid-19 abbia avuto lo stesso impatto su tutte le persone, spiegano nell’introduzione Bernardini e Carnovali, che argomentano come la crisi che ne è conseguita abbia assunto un impatto sproporzionato sulle persone con disabilità e su quelle anziane non autosufficienti. Infatti, come emerge da un documento esaminato nell’opera, rilasciato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani il 29 aprile 2020, i soggetti in questione hanno incontrato significative difficoltà di accesso all’assistenza e ai servizi sanitari. Nei casi di istituzionalizzazione, inoltre, sono stati esposti ad un rischio maggiore di contrarre il virus e di morire, nonché ad un inasprimento della già sovente riscontrata situazione di isolamento ed emarginazione a causa delle misure di contenimento introdotto per limitare la diffusione del virus. E ancora, hanno sofferto l’interruzione dei servizi di supporto, riabilitazione e assistenza (domiciliari e non) e il conseguente impatto sull’autonomia personale e sulla possibilità di condurre una vita indipendente. Sono stati maggiormente penalizzati nel diritto al lavoro e nella qualità della vita, dovendo spesso sostenere costi più elevati per dotarsi degli ausili necessari a svolgere le mansioni lavorative in regime di smart working, e correndo maggiori rischi di licenziamento, mentre in materia di inclusione scolastica, hanno risentito maggiormente del mancato accesso alla didattica a distanza, oltreché dell’interruzione delle relazioni con i compagni di classe. E da ultimo, ma non ultimo, il confinamento imposto dal lockdown ha esposto le persone con disabilità, e in particolare le donne con disabilità, a maggiori rischi di subire violenza nei contesti di prossimità, familiari e di cura.
In questo quadro vanno ad inserirsi i dialoghi dei diversi autori e delle diverse autrici, dialoghi differenti per approcci, prospettive e linguaggi utilizzati. Quelli che seguono sono pochi spunti che scaturiscono da alcuni dei contributi contenuti nell’opera.
«Vogliamo tornare alle condizioni preesistenti [la pandemia], o pensare (e politicizzare) forme di socializzazione alternative?», si chiede ad esempio Matteo Schianchi, riflettendo sul fatto che anche prima della pandemia persisteva la tendenza a pensare la disabilità in termini individuali e che alcune domande cruciali, come «quale posto sociale assegnamo collettivamente alle persone con vari tipi di menomazioni? All’interno di quali dinamiche si ritrova la concreta esistenza individuale e collettiva di chi ha una disabilità?», continuano ad essere eluse od occultate da una narrazione retorica.
Dolorosa è invece l’analisi proposta da Ciro Tarantino sugli elevati indici di contagio e mortalità registrati nelle strutture residenziali per anziani e/o persone con disabilità nell’epoca della pandemia. Tutte vicende che hanno ottenuto una certa risonanza mediatica e hanno anche portato ad alcune indagini giudiziarie, ma che, nel discorso pubblico, sono presto state inscritte «nel registro della fatalità e non in quello della responsabilità strutturale e di sistema». Un discorso pubblico, questo, che mostra come il nostro Paese abbia normalizzato l’idea che le persone anziane e/o con disabilità siano sacrificabili e segregabili.
Se sulla pandemia diversi studi sono già stati fatti, e altri sono in fase di svolgimento, è davvero interessante la prospettiva dell’accessibilità scelta da Paolo Addis per sviluppare il suo contributo di taglio giuridico. In particolare Addis ha incentrato la propria riflessione su due aspetti fondamentali: il diritto ad avere informazioni accessibili sull’andamento della pandemia, e sulle misure e le precauzioni da adottare per evitare di contrarre il Covid (un aspetto che ha penalizzato in particolar modo le persone con disabilità sensoriale, ma anche quelle con disabilità intellettive e psicosociali); e le numerose criticità riscontrate riguardo all’accessibilità degli strumenti per la didattica a distanza utilizzati per garantire il diritto all’istruzione durante la chiusura delle scuole.
Il tema dell’accessibilità – questa volta articolato su una prospettiva progettuale – risulta centrale anche nella riflessione proposta da Piera Nobili. Un concetto, quello di accessibilità, comunque non esaustivo per Nobili, che nel descrivere le caratteristiche dell’approccio progettuale, ritiene che esso debba essere «innovativo sotto il profilo delle soluzioni architettoniche e di dettaglio, adottate col fine di rendere l’ambiente non solo accessibile, ma anche inclusivo e, soprattutto, generativo di diffuso ben-essere e bene-stare per la maggioranza dei fruitori e delle fruitrici».
Nel tentativo di rispondere alle molteplici e differenti esigenze espresse dalla società, l’accessibilità ha acquisito ulteriori e più specifiche declinazioni, inglobando, ad esempio, la prospettiva spazio-temporale e quella di genere, sino ad inquadrarsi nel più ampio concetto di “benessere ambientale” (inteso anche in relazione alla piena attuazione dei diritti umani di ogni singola persona). Tenendo conto di questi elementi, Nobili illustra un modello progettuale utile a migliorare la permanenza delle e dei pazienti nelle strutture ospedaliere anche nel periodo pandemico.
Il concetto di accessibilità, in combinazione con quelli uguaglianza ed equità, ricorre anche nel contributo in cui Giada Morandi affronta il tema della discriminazione intersezionale che colpisce le donne con disabilità in ragione del loro essere contemporaneamente donne e persone con disabilità.
Nello specifico Morandi illustra l’esperienza dell’Ambulatorio Ginecologico Il Fior di Loto di Torino, servizio pienamente accessibile a donne con disabilità diverse. Grazie ad un’impostazione che coniuga spazi, tempi e modi in funzione delle caratteristiche e delle esigenze specifiche delle diverse pazienti, l’Ambulatorio è riuscito a mantenere i contatti e ad assumere la connotazione di punto di riferimento per queste ultime, anche in epoca di pandemia. E questo nonostante il 99% di esse avesse disdetto le visite ginecologiche.
Osserva, a tal proposito, Morandi: «Essere un “punto di approdo” sicuro e accogliente per le donne con disabilità ci ha permesso comunque di non venire meno alla nostra mission, potenziando la telemedicina e, grazie ad essa, individuando le visite che non potevano essere rimandate, nemmeno durante una pandemia».
L’ultimo filone tematico trattato nella pubblicazione è quello del caregiving. Riguardo a questo tema, come per molti altri, l’attenzione maggiore andrebbe riservata alle parole di chi svolge l’attività di cui si tratta. Per questo motivo, tra le tante importanti riflessioni contenute nell’opera, l’attenzione di chi scrive è stata catturata da una considerazione espressa da Massimiliano Verga, il quale, da caregiver come egli è, ha osservato che, molto semplicemente, «la cura è una scelta» [grassetto di chi scrive], una scelta che «ci porta a decidere da che parte stare».
Si parla molto spesso, e giustamente, di tutte le “costrizioni” che la carenza/assenza di servizi di assistenza pubblici per le persone con disabilità può comportare per chi si prende cura di loro; meno frequentemente si pone l’accento sulla scelta di decidere da che parte stare. È invece fondamentale che anche questo aspetto sia tenuto nella debita considerazione. Verga è persuaso che «la solidarietà e la cura siano quanto di più nobile possa esprimere la nostra reciproca fragilità umana». E siamo almeno in due a crederlo.
Mentre la vaccinazione di massa tuttora in corso promette di arginare la diffusione del Covid, il testo Diritti umani in emergenza si configura come uno strumento utile per fare il punto su cosa non ha funzionato durante la pandemia, e per predisporre i correttivi necessari per contenere/azzerare l’accrescimento delle disuguaglianze sociali dei gruppi già esposti a discriminazione e/o in condizioni di fragilità, come le persone con disabilità e quelle anziane non autosufficienti.
In questo scenario non è auspicabile il ritorno alla “normalità” – qualunque cosa si intenda con questa espressione -, invocato a gran voce nel discorso pubblico. Infatti, un ritorno alla “normalità” implicherebbe la normalizzazione delle disuguaglianze preesistenti alla pandemia, le stesse disuguaglianze che quest’ultima ha contribuito ad esacerbare. Invece Diritti umani in emergenza ci fa capire che se dobbiamo sognare, dobbiamo farlo in grande. E sognare in grande vuol dire lavorare per costruire una società nella quale anche i diritti umani delle persone con disabilità e anziane trovino piena attuazione. Ciò sia in situazioni emergenziali, che in quelle ordinarie. Un sogno che, ne sono sicura, anche Enrico Lombardi, cui l’opera è dedicata, avrebbe condiviso.
Diritti umani in emergenza. Dialoghi sulla disabilità ai tempi del Covid-19, a cura di Maria Giulia Bernardini e Sara Carnovali (Methexis, 2021/1), Roma, IF Press, ©2021, 287 pagine. La pubblicazione è liberamente scaricabile in formato .pdf a questo link.
Gli Autori di Diritti umani in emergenza. Dialoghi sulla disabilità ai tempi del Covid-19
° Matteo Schianchi, Università di Milano Bicocca.
° Stefano Rossi, dottore di ricerca in Diritto Pubblico e Tributario nella Dimensione Europea, Università di Bergamo, avvocato.
° Ciro Tarantino, Università della Calabria.
° Veronica Asara, psicologa, presidente dell’Associazione sensibilMente di Olbia.
° Paolo Addis, Istituto Dirpolis, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
° Gianluca Marolda, Università di Bologna, dottore di ricerca in Diritto Costituzionale.
° Piera Nobili, architetta dello Studio Othe, presidente di CERPA Italia (Centro Europeo di Ricerca e Promozione dell’Accessibilità, co-responsabile di CRIBA-ER (Centro Regionale d’Informazione sul Benessere Ambientale dell’Emilia Romagna.
° Giada Morandi, coordinatrice del progetto Il Fior di Loto di Torino, referente dell’Associazione Verba.
° Maria Cristina Pesci, medica psicoterapeuta, referente del progetto Voci di donne dell’AIAS Bologna (Associazione Italiana Assistenza Spastici).
° Francesca Arcadu, vicepresidente della UILDM di Sassari (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare), componente del Gruppo Donne UILDM.
° Silvia Cutrera, vicepresidente della FISH Nazionale (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), coordinatrice del Gruppo Donne FISH.
° Filippo Ghelma, dirigente medico responsabile del Servizio DAMA (Disabled Advanced Medical Assistance) al Presidio Ospedaliero San Paolo-ASST Santi Paolo e Carlo di Milano, presidente dell’ASMeD (Associazione per lo Studio dell’Assistenza Medica alla Persona con Disabilità.
° Giovanni Merlo, direttore della LEDHA (Lega per i Diritti delle Persone con Disabilità.
° Gianfranco de Robertis, avvocato, consulente legale dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale).
° Simona Lancioni, responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa), caregiver.
° Massimiliano Verga, Università di Milano Bicocca, caregiver.
° Lisa Noja, avvocata, deputata della Repubblica Italiana.
° Giampiero Griffo, condirettore del Center for Governmentality and Disability Studies “Robert Castel” dell’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli.