Sarà un incontro con il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, in programma al Quirinale per la mattinata del 3 maggio (ore 12), ad “aprire” i festeggiamenti per i sessant’anni della UILDM, l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, fondata appunto alla fine del 1961 da Federico Milcovich.
A comporre la delegazione dell’Associazione saranno il presidente nazionale Marco Rasconi, la vicepresidente Stefania Pedroni e i consiglieri nazionali Anna Mannara ed Enzo Marcheschi.
Per far capire ai Lettori quanta “ricchezza” contenga la lunga storia della UILDM, nata a Trieste, ad opera di un uomo tenace e coraggioso, in anni in cui la distrofia muscolare era ancora semisconosciuta e i diritti delle persone con disabilità una realtà assai lontana, diamo spazio qui di seguito ad un testo prodotto nel 2011, in occasione del cinquantenario dell’Associazione.
Quelle “parole giovani” di sessant’anni fa
di Stefano Borgato*
È il 12 dicembre 1961, quando nell’Aula Magna del Liceo Dante di Trieste nasce ufficialmente l’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare, «prima Associazione del genere sorta in Italia», come scriverà qualche mese dopo «Distrofia Muscolare – Settimanale gratuito», lanciato anch’esso negli stessi mesi, con lungimiranza rara sull’importanza dell’informazione.
Due gli “imperativi” fondamentali: «Unire tutti in uno sforzo comune per debellare la distrofia muscolare, una delle più terribili e sconosciute malattie che affliggono l’uomo» e «Dedicare fondi pubblici e privati all’istituzione di un Centro clinico specialistico con laboratori di ricerca e un qualificato corpo medico, per lo studio e la cura delle malattie muscolari».
È da lì che Federico Milcovich incomincia a lanciare i suoi “messaggi in bottiglia” al “mare Italia”, sperando che a raccoglierli siano i medici, le persone nella sua stessa condizione di distrofico, i genitori.
Sono i primi Anni Sessanta, “tante epoche fa”, con il Muro di Berlino fresco di costruzione e un giovane psichiatra che in quella stessa Trieste pensa a come rivoluzionare il suo settore di studio. La distrofia muscolare, anche se scoperta da molto tempo, è ancora semisconosciuta e il diritto dei disabili – allora semplicemente “minorati”, “invalidi” o forse gli “handicappati” – è una realtà assai lontana.
Eppure, solo sei anni dopo, esistono già le Sezioni UILDM di Bari, Cagliari, Chieti, Foggia, Forlì, Genova, Messina, Milano, Napoli, Roma, Torino e Trieste, oltre al Comitato Lombardo. Altre ne stanno per nascere a Padova, Pisa e Reggio Emilia, mentre a Trieste e a Torino alcuni medici cominciano a discutere seriamente di malattie muscolari.
Molti decenni prima di internet . la “rete” per eccellenza – ne era nata un’altra, grazie alla tenacia di quell’uomo coraggioso, che nonostante la sua grave distrofia muscolare, era pronto a passare intere giornate al telefono, per conoscere, spiegare e incoraggiare, o a percorrere le strade d’Italia con la sua datata Ford Taunus.
E la burocrazia mostra da subito il suo volto più feroce: ben nove anni, infatti, ci vorranno alla UILDM per essere riconosciuta come Ente Giuridico.
Parlano bene le immagini d’epoca e raccontano di giacche improbabili, di barbe, di carrozzine “da antiquariato”, di occhiali scuri o delle prime manifestazioni di piazza. Sono foto che con il loro bianco e nero ingiallito dal tempo, raccontano la piccola, grande Storia di Unione e “di Unioni”, nata a Trieste in quel freddo giorno di dicembre e che oggi continua, guardando con fiducia a un futuro tutto da costruire.
È una storia di cassette ai semafori e di cartoncini appesi negli autobus, per spiegare che contro le distrofie «la speranza è nella ricerca» e che questa va sostenuta con cifre dai tanti zeri.
Una storia di palloncini da gonfiare, di “miti” degli Anni Sessanta come Celentano, Rascel, Benvenuti e la Cinquetti, che abbracciano giovani distrofici, o di un altro mito come Enzo Ferrari, toccato duramente «nell’animo da una cruda esperienza vissuta in famiglia» – come egli stesso racconta – e che diventa “stella polare” della UILDM, facendo addirittura stampare centomila copie di una pubblicazione informativa sulla malattia.
Ed è una storia che si evolve e “si apre” continuamente, tutta italiana, ma anche europea – la UILDM è tra i fondatori della Federazione EAMDA, insieme alle “cugine” continentali -, un racconto fatto e vissuto dalle “famiglie con distrofia”, ma anche da chiunque altro sia impegnato per l’affermazione dei diritti umani delle persone con disabilità e non solo.
Alla fine degli Anni Ottanta – solo una coincidenza? – cade quel Muro di Berlino costruito pochi mesi prima che nascesse la UILDM e anche per l’Associazione è un’epoca di “grandi svolte”. A parlare da sé, questa volta, è la rapida successione degli eventi.
Nel dicembre dell’87 si “scopre la causa”: la chiamano distrofina, quella proteina mancante o lacunosa che provoca le malattie muscolari più note e gravi. È un primo, grande approdo e la ricerca da speranza diventa certezza.
Poco tempo dopo se ne va quell’uomo tenace – sempre Segretario e mai Presidente – che sostenuto da altre donne e uomini coraggiosi – Lina, Anacleto, Agostino, Giovanni, Beppe, Pinuccio, Antonio, Puccio e tanti, tanti altri – aveva fatto volare in Sardegna decine di persone in sedia a rotelle, stipati su rumorosi aerei militari e aveva fatto “accomodare” il Sindaco di Padova in carrozzina, per fargli capire “l’effetto che fa”.
Poco tempo prima, però, era diventato presidente della UILDM Roberto Bressanello, già protagonista di grandi “battaglie” per poter insegnare nella sua scuola o per riuscire a viaggiare su treni accessibili. Qualche anno dopo, tra i primi in Italia, parlerà di Vita Indipendente delle persone con disabilità e a partire da lui tutti i Presidenti dell’Associazione si muoveranno in carrozzina.
Anche Telethon è ormai alle porte: ci si prova nell’88, a Genova, insieme ai “collaudati” francesi e l’esperimento funziona. Nasce così, per volontà della UILDM e grazie al supporto di Susanna Agnelli, un’altra grande Storia Italiana, per riuscire finalmente a sostenere in modo serio la ricerca sulle distrofie e, dal ’92, su tutte le altre malattie genetiche, perché la ricerca è scambio e crescita continua.
Ora la UILDM può pensare soprattutto a coloro che già convivono con una malattia muscolare e alla qualità della loro vita. E mentre pian piano l’Italia e il mondo “scoprono” i diritti delle persone con disabilità, la “semina” continua e il percorso si amplia.
Si fonda, insieme a tante altre Associazioni, la FISH, Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap, si cerca l’unione con gli altri che lavorano sulle malattie neuromuscolari, si collabora con il Consiglio Nazionale sulla Disabilità, con la Federazione Italiana Associazioni Neurologiche, con Disabled Peoples’ International, con Cittadinanzattiva.
«In questi anni – scrive Alberto Fontana, il presidente dell’oggi – è impossibile pensare di percorrere in solitudine la propria via, anche se retta da ideali altissimi. Si può, anzi si deve, includere gli altri nel proprio orizzonte, per ricevere anche nuovi stimoli e contenuti, per essere più convincenti ed efficaci».
Aperture continue, quindi, ma anche centinaia di piazze che dal 2005 vengono letteralmente “invase” dalle “farfalline della UILDM”, con decine di Sezioni impegnate a rendere sempre più fitta e consapevole quella rete intessuta nei primi Anni Sessanta.
E mentre la ricerca accelera e sempre più fa sperare in un futuro di cura, quel secondo imperativo fissato nel 1961 da chi volle l’Associazione («un Centro clinico specialistico con laboratori di ricerca e un qualificato corpo medico, per lo studio e la cura delle malattie muscolari») prende sostanza alla fine del 2007, a Milano, con la nascita di NEMO (NeuroMuscular Omnicentre), una struttura che al proprio centro vorrà esclusivamente la persona con una malattia neuromuscolare.
Leggiamo ancora in «Distrofia Muscolare» del 1962 ciò che scrive “un amico della UILDM”: «Si dovrebbe – anche nell’interesse dello Stato – ottenere che tutti i miopatici possano godere anche a domicilio delle cure proprie del nostro male. Perché è assurdo ed antieconomico che ad un miopatico ricoverato in ospedale siano garantite cure, vitto, alloggio ecc., a carico della società, mentre se riesce ad andare a casa, la società non sente più il dovere di spendere quelle poche centinaia di lire per un po’ di glicocolla e simili. Non dobbiamo dimenticare che i miopatici non chiedono che di vivere a casa. L’UILDM deve occuparsi del problema specifico dei miopatici, cioè il lato clinico, senza dimenticare la questione umana».
Quanta strada da allora, ma quanta attualità e forza vi è ancora in quelle “parole giovani”, che continuano a dare vigore e solidità alla radici di una Storia, dalle tante pagine ancora da scrivere.
*Testo tratto da UILDM 50, libro pubblicato nel 2011, a cura di Paola Cominetta e Stefano Borgato, da un’idea di Franco Bomprezzi, per il cinquantesimo anniversario dalla fondazione della UILDM.
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: uildmcomunicazione@uildm.it (Alessandra Piva e Chiara Santato).