«Questo studio ha dimostrato che i pazienti i quali hanno assunto il farmaco alle dosi più alte hanno avuto una progressione della malattia significativamente più lenta. In particolare, l’efficacia è stata dimostrata soprattutto nelle persone in cui la malattia si è presentata nella forma definita “bulbare”, nella quale cioè la degenerazione coinvolge i motoneuroni responsabili della contrazione dei muscoli utilizzati per deglutire e parlare»: così Giuseppe Lauria Pinter, direttore del Dipartimento di Neuroscienze Cliniche della Fondazione IRCSS-Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, commenta le risultanze finora ottenute dallo studio denominato Promise, che giunto alla fase 2 della sperimentazione, sta offrendo alcuni incoraggianti risultati nella lotta alla SLA, la sclerosi laterale amiotrofica, la grave patologia neurodegenerativa a tutt’oggi senza cura, causata dalla progressiva degenerazione dei motoneuroni, ovvero dei neuroni localizzato all’interno del sistema nervoso centrale che controllano direttamente o indirettamente i muscoli e il movimento di essi.
Condotto da un gruppo di lavoro coordinato dal citato Lauria Pinter, e con il finanziamento dell’ARISLA, la Fondazione Italiana di Ricerca per la SLA, lo studio ha coinvolto ventiquattro centri neurologici del nostro Paese ed è stato recentemente pubblicato dalla rivista scientifica «Brain». I risultati, in sostanza, indicano che i pazienti trattati con il farmaco Guanabenz alla posologia più elevata hanno avuto un rallentamento della progressione della malattia verificato con misure funzionali. «Un aspetto importante di questo studio clinico – aggiunge il coordinatore dello stesso – è che la molecola agisce su un meccanismo patogenetico della SLA, la cui modulazione ha prodotto effetti clinici. Non si tratta ancora di una cura per la SLA, ma è un’informazione importante per proseguire le ricerche in modo concreto, anche grazie all’interesse che l’industria farmaceutica sta già dimostrando».
«Siamo molto contenti – dichiara dal canto suo Mario Melazzini, presidente dell’ARISLA – di avere contribuito al raggiungimento di questi risultati, che incoraggiano a proseguire con studi più mirati, per esplorare l’efficacia di trattamenti farmacologici per i pazienti affetti da SLA. Il nostro impegno è di rimanere al fianco di chi fa ricerca, consapevoli di quanto la ricerca costituisca l’unico strumento concreto per dare risposte alle persone che convivono ogni giorno con la malattia». (S.B.)
Per ulteriori informazioni e approfondimenti: Ufficio Stampa ARISLA (Tiziana Zaffino), tiziana.zaffino@arisla.org.
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