Sta per uscire, per i tipi di Carocci Editore, il libro di Angelo Lascioli e Luciano Pasqualotto, intitolato Progetto individuale, vita adulta e disabilità. A curare la prefazione, che di seguito pubblichiamo, è stato Salvatore Nocera, il quale dichiara: «È stato un onore scrivere la prefazione a questo libro, che segnalo con particolare calore ai Lettori e alla Lettrici, per la sua importanza scientifica e operativa».
Angelo Lascioli è docente di Pedagogia Speciale all’Università di Verona, così come Luciano Pasqualotto.
Nei miei quasi sessant’anni di impegno culturale ed operativo sulla normativa per l’inclusione delle persone con disabilità mi sono occupato ripetutamente di “progetto di vita”. Fin dai primi provvedimenti di decentramento amministrativo, quali il Decreto Delegato 416/74 sull’iniziale autonomia scolastica, il DPR 616/77 sul trasferimento ai Comuni dell’assistenza scolastica, nonché la Legge 833/78 di istituzione delle USL (Unità Sanitarie Locali), il tema dei servizi necessari a migliorare gli ambienti di vita delle persone con disabilità mi hanno indirizzato a pensarli in una logica coordinata in funzione di un progetto di vita. Ma con il mio “comando” al Ministero della Pubblica Istruzione nel 1982, il mio impegno ha avuto una svolta professionale e continuativa. Infatti, me ne sono dovuto occupare nel contribuire alla formulazione della Circolare Ministeriale 258/83 sulle intese tra scuola Enti locali ed USL, recante in allegato il primo modello di PEI (Piano Educativo Individualizzato), che poi sono riuscito a far transitare nella Legge 104/92 con la denominazione e il vincolante valore giuridico di “accordi di programma”, dopo un importante seminario della Fondazione Zancan di Padova tenutosi a Malosco (Trento), nel 1991.
In tale Legge per la prima volta si prevedeva la necessità della formulazione di un PEI come strumento fondamentale per la realizzazione dell’“integrazione scolastica”.
È da precisare che, a mio avviso, il PEI dell’articolo 12, comma 5 della Legge 104/92 è già una forma embrionale del “progetto di vita” in età scolare ed extrascolare degli alunni e alunne con disabilità, in quanto l’articolo 13, comma 1, lettera a della stessa Legge prevede che gli accordi di programma per l’integrazione scolastica devono realizzare in modo coordinato l’insieme dei tre progetti, riabilitativo, educativo e di socializzazione degli alunni. Quindi qui il PEI non è solo il progetto didattico, ma comprende gli àmbiti principali della vita dei minori con disabilità.
Dei progetti di vita mi sono occupato appena approvata l’integrazione alla stessa Legge 104/92, costituita dalla Legge 162/98 proprio sul progetto di vita, oggetto di questo volume di Lascioli e Pasqualotto, che recepiva e sviluppava l’importante esperienza realizzata in Sardegna dall’ABC (Associazione Bambini Cerebrolesi).
Ovviamente me ne sono occupato in modo più approfondito appena uscita la Legge 328/00 con la quale l’onorevole Turco ha finalmente fatto approvare in Italia la prima Legge-Quadro di riforma dell’assistenza sociale, nella quale l’articolo 14 è espressamente dedicato al progetto di vita delle persone con disabilità di qualunque età, del quale si parla ampiamente nella seconda parte del presente volume di Lascioli e Pasqualotto e al quale ho dedicato un ampio commento, con la pubblicazione nel 2001 di La legge di riforma dei servizi sociali. Dal centralismo sociale al federalismo solidale.
Nel 2014 mi sono ancora occupato di progetti di vita nel formulare – in dialogo tra FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) e Ministero dell’Istruzione, che avevo ormai abbandonato – la Proposta di Legge n. 2444, che in buona parte è stata recepita nella Legge 107/15, sulla cosiddetta “Buona Scuola”, e nel Decreto Legislativo 66/17, ai quali ho dedicato la pubblicazione nel 2017, insieme a Nicola Tagliani, del libro La normativa inclusiva nella «Buona scuola». I decreti della discordia.
In occasione della discussione in seno all’Osservatorio Permanente sull’Inclusione del Ministero dell’Istruzione, sulle modifiche al Decreto Legislativo 66/17, con quello che è poi stato modificato nel Decreto Legislativo 96/19, ho collaborato con la FISH alle puntualizzazioni dei numerosi articoli relativi al PEI, che però qui diviene solo il Progetto Didattico Personalizzato (a somiglianza del PDP introdotto dalla Legge 170/10 per i DSA, i disturbi specifici di apprendimento), come è evidenziato nell’articolo 6 dello stesso Decreto, dove è espressamente detto che «il PEI è parte integrante del progetto di vita».
Quindi ho partecipato con numerosi articoli online e in riviste all’ampio dibattito, ancora in corso, sui nuovi modelli di PEI introdotti in modo innovativo e in formato elettronico dal Decreto Interministeriale 182/20.
Ho pure affrontato il tema nel recente volume collettaneo curato da Andrea Canevaro, Raffaele Ciambrone e da chi scrive, intitolato L’inclusione scolastica in Italia. Percorsi, riflessioni e prospettive future, in particolare in due capitoli, uno sulla storia della normativa inclusiva dal 1968 al coronavirus e l’altro che descrive la normativa inclusiva in modo sistematico, indicando gli adempimenti previsti per ogni fase, a partire dall’iscrizione scolastica degli alunni, sino alla pubblicazione dei “quadri” con i risultati conseguiti annualmente.
Finalmente ho accennato al tema nella mia audizione al Gruppo di Lavoro VI dell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, operante presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il 5 Aprile scorso, proponendo anche un modello di progetto di vita sul “Dopo di Noi in forma cooperativa”.
Confesso che a mio avviso non vi è differenza sostanziale tra “progetto individuale” e “progetto di vita”, dal momento che le sentenze dei Tribunali Amministrativi Regionali (TAR) di cui si discute pure giustamente nel libro L’inclusione scolastica in Italia, applicano la normativa dell’articolo 14 della Legge 328/00 sul progetto individuale anche ai progetti del “Dopo di Noi”, di cui alla Legge 112/16; come pure non ritengo vi siano differenze sostanziali tra il PEI e il PEP (Progetto Educativo Personalizzato), trattandosi di locuzioni frutto di una diversa ideologia filosofica, laica per il PEI e cattolica per il PEP.
Però la lettura di questo libro di Lascioli e Pasqualotto mi ha enormemente arricchito, poiché io mi ero sempre prima occupato fondamentalmente di progetti di inclusione scolastica e quindi di minori, mentre questa lettura mi ha finalmente illuminato sulla necessità dello sbocco dei progetti per minori in quelli per la vita adulta. E di adultità ci aveva già parlato molto Mario Tortello nella rubrica fissa intitolata Pensami adulto, all’interno di «Handicap & Scuola», rivista da lui fondata e di cui è stato direttore sino alla prematura scomparsa. Una testata nata proprio in occasione della discussione della Legge Quadro 104/92.
Inoltre, questo lavoro di Lascioli e Pasqualotto è fondamentale perché riesce in un testo snello, articolato in nove capitoli, a sintetizzare l’ampio dibattito relativo al progetto di vita su base ICF [la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute prodotta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, N.d.R.], riuscendo mirabilmente a dialogare e a far dialogare tra loro numerosi esperti nei vari àmbiti della vita delle persone con disabilità (si veda a tal proposito l’ampia bibliografia di circa quattordici pagine), di cui mi limito a citare quelli a me più noti, dati i miei studi sull’età minorile (scusandomi di non citare molti altri, che si sono occupati della vita adulta, perché conosciuti da me solo ora), quali Canevaro, Ianes, Pavone, Buzzi, Menegoi, Montobbio, Lepri, Marchisio e il compianto Goussot.
Ne risulta un quadro ampio e rigorosamente coordinato che si svolge in tre parti, la prima dedicata allo Sfondo culturale, la seconda alla Promozione della vita adulta e la terza agli Strumenti per la realizzazione del progetto di vita su base ICF.
Nella prima parte viene effettuato il confronto critico tra la visione di taglio “sanitario” e assistenziale della vita delle persone con disabilità, che ha dominato la nostra cultura sino al 2000, e quello della cultura dei “diritti umani”, introdotta dall’approvazione dell’ICF, recepito nella Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, approvata nel 2006 e ratificata dall’Italia con la Legge 18/09, che ha radicalmente cambiato la visione “passivizzante” della vita delle persone con disabilità in quella di persone che crescendo si educano all’autodeterminazione, all’empowerment [crescita dell’autoconsapevolezza, N.d.R.] e alla capability [“capacità”, N.d.R.], divenendo adulti in situazione di eguaglianza e non discriminazione, alla pari degli altri, ma nel rispetto delle specificità di ciascuno.
Nella seconda parte del libro viene descritto quindi il complesso di ricerche e approfondimenti culturali che hanno portato a questa nuova immagine delle persone adulte con disabilità, immagine favorita proprio dall’analisi del progetto di vita che la supporta e ne favorisce la realizzazione.
Nella terza parte, infine, si descrivono le modalità per la formulazione sostanziale e formale delle procedure e i contenuti del progetto di vita su base ICF. Qui sono molto importanti i primi paragrafi, e in particolare le pagine in cui si chiariscono i concetti base dell’ICF, ovvero: il funzionamento o le sue limitazioni (della persona) si rendono manifesti nella componente di Attività e Partecipazione, perché è a questo livello che l’individuo entra in interazione con l’ambiente di vita. Attività e Partecipazione sono a loro volta declinate nei nove diversi Domini, descritti nell’ICF.
Ma la novità dell’ICF sta nell’analizzare il comportamento delle persone, anche con disabilità, e le “performance” nell’ambito del loro contesto di vita; pertanto vengono descritti sia i fattori personali che quelli ambientali, i quali influiscono sulla vita di tali persone.
Quanto ai fattori personali, di difficile codificazione ICF, gli autori ne riportano tre e cioè: Individual factors, ossia i fattori socio-demografici, la posizione nel contesto sociale, la storia personale dell’individuo; Subjective experiences, quali le aspettative, i desideri e le aspirazioni personali; Recurrent patterns, cioè gli schemi messi in atto dall’individuo di fronte alle diverse esperienze e che possono avere come contenuto il comportamento, i pensieri e le emozioni, la motivazione, lo stile di vita.
Riguardo invece ai fattori ambientali che possono influire, e come quelli personali lo possono fare positivamente, come “facilitatori” o negativamente, come “barriere” sulla vita delle persone e quindi anche su quelle con disabilità, condizionandone o facilitandone le performance, l’ICF li classifica in cinque categorie, ampiamente descritte nella classificazione stessa.
L’analisi di tutti i concetti dell’ICF, mirabilmente descritta in modo comprensibilissimo nelle pagine del libro di Lascioli e Pasqualotto, mi permettono di effettuare una brevissima considerazione relativa ai nuovi modelli di PEI, oggetto del citato Decreto Interministeriale 182/20.
Infatti, in quel complesso normativo non vi è cenno esplicito ai “fattori personali”, che però possono certamente ricavarsi dalla descrizione della situazione dell’alunno contenuta nella narrazione della famiglia, nell’autodescrizione dell’alunno stesso e nel Profilo di Funzionamento, di cui debbono ancora essere emanate le Linee Guida, ma nel quale si rinverranno elementi essenziali. Nulla però si dice circa i “fattori ambientali”, che invece determinano la vita scolastica degli alunni con disabilità, come facilitatori o come barriere.
Nel nuovo PEI, le tabelle C (Debito di funzionamento) e C1 (Fabbisogni)”, mentre indicano chiaramente gli aspetti relativi al funzionamento dei diversi alunni con disabilità relativamente ai livelli di difficoltà, con riguardo alle quattro aree fondamentali (autonomia, comunicazione, relazioni e apprendimento), nulla dicono, invece sui fattori ambientali, come l’influenza positiva sulle performance degli alunni e quindi sul loro successo scolastico, prodotti dagli ausili, da classi con non più di venti alunni, dalla presenza di docenti per il sostegno specializzati e da docenti curricolari con una formazione sulle didattiche inclusive, o l’influenza negativa, data dalla carenza o mancanza di tali elementi. E ciò è determinante per l’applicazione dei nuovi PEI su base ICF e sull’assegnazione delle risorse umane e materiali a ciascuno, che ormai è regolata non più dal solo calcolo della “gravità personale della disabilità”, come avveniva in vigenza dell’esclusivo articolo 3 della Legge 104/92: ormai, infatti, l’assegnazione di tali risorse dipende da come i fattori personali e ambientali del “contesto” influiscono sul funzionamento e sulle performance dei singoli alunni, che in tale contesto scolastico e sociale vivono. Pertanto sembra ineludibile inserire nelle tabelle ampliandole, anche il riferimento esplicito a questi fattori determinanti, pena il danno certo di falsare i risultati delle valutazioni sulla base ICF.
Ci si augura, quindi, che tali modifiche arrivino prestissimo, in forza del disposto dell’articolo 21 del Decreto Interministeriale 182/20, che prevede espressamente la possibilità (direi la necessità) di tali emendamenti.
Ecco perché la lettura di questo libro è da consigliare a tutti quanti lavorano nei progetti di promozione della vita adulta delle persone con disabilità, e per coloro che sono chiamati alla redazione del PEI secondo una formulazione che sia sensibile al delicato tema del progetto di vita per gli alunni con disabilità.
È altresì indispensabile che i genitori comprendano l’importanza della formulazione del progetto di vita e sappiano che è un loro diritto e dei loro figli con disabilità pretenderlo dal Comune di residenza, che deve convocare tutte le altre Istituzioni pubbliche e del privato sociale con una conferenza dei servizi nella quale venga formulato un progetto comprendente non solo l’alunno avente diritto e la sua famiglia, ma anche i soggetti pubblici obbligati per legge a fornire risorse umane, materiali e finanziarie stabilite per legge, nonché i soggetti privati e del privato sociale che accettino di fornire propri servizi o di gestirli in accreditamento tramite convenzione con i soggetti pubblici debitori. Il tutto con la puntuale indicazione dei capitoli di bilancio e l’indicazione del “responsabile del procedimento”, oltreché con la formalizzazione dell’accordo di programma di cui all’articolo 19 della Legge 328/00.
Infine dev’essere previsto per legge il “Collegio di Vigilanza”, composto da rappresentanti delle principali Amministrazioni firmatarie e presieduto, a seconda del territorio di applicazione, dal Presidente della Regione, della Provincia, del Comune o dal Comune capofila del Consorzio di Comuni rientranti nell’àmbito territoriale del Piano di Zona o dal Municipio delle città metropolitane.
Se si vogliono evitare lungaggini giudiziarie in caso di talune inadempienze, sarà opportuno attribuire al Collegio di Vigilanza i “poteri sostitutivi”, cioè il potere di imporre alla parte inadempiente di eseguire le sue prestazioni e, in caso di inerzia, di sostituirsi ad essa nell’adempiere alle prestazioni dovute, anche emettendo mandati di pagamento sugli appositi capitoli di bilancio od obbligando il responsabile del procedimento a farlo.
Come evidenziato nel libro, anche la Magistratura ha adottato provvedimenti sostitutivi, pure in via di urgenza, in caso di inadempienze, addirittura prevedendo delle penali pecuniarie di risarcimento per ogni mese di ritardo nell’adempimento, qualora questo si dovesse verificare.
Gli accordi di programma hanno avuto la loro massima espansione subito dopo l’approvazione della Legge 104/92, specie al Nord, dove ancora funzionano benissimo, garantendo la realizzazione di progetti di vita con piena soddisfazione degli alunni con disabilità e delle loro famiglie, che a seguito di essi acquistano diritti esigibili immediatamente; molto meno al Centro e al Sud. Ci si augura che la diffusione di questa pubblicazione possa migliorare ulteriormente in tutto il Paese la qualità di vita delle persone con disabilità.
In conclusione, mi auguro che questo libro possa indurre i GLO (Gruppi di Lavoro Operativi) che formulano i PEI, specie a partire dal triennio conclusivo delle scuole superiori, a prevedere una proiezione longitudinale dei PEI nel progetto di vita adulta, senza la quale si rischia che tutto il prezioso lavoro svolto durante la fase dell’inclusione scolastica venga a perdere di efficacia o si vanifichi al cessare della scuola, come attualmente purtroppo avviene in molti, troppi casi. Infatti, purtroppo, laddove il laborioso processo di inclusione scolastica viene concepito senza sbocco verso la vita adulta, è forte il rischio che terminata l’esperienza della scuola, tutto vada perduto per le persone con disabilità, similmente a quanto scritto dal Leopardi sulla morte nella lirica Canto notturno di un pastore errante dell’Asia: «abisso orrido, immenso, ov’ei precipitando, il tutto obblia».
Ma poiché siamo in periodo di ricorrenze, non solo il cinquantesimo anniversario della Legge 118/71, che inaugurò il processo di “inserimento scolastico-integrazione-inclusione”, ma anche il settimo centenario dantesco, possiamo concludere con l’auspicio per tutte le modifiche da apportare ai nuovi PEI, ma anche per l’emanazione dei numerosissimi regolamenti previsti da troppi anni dal Decreto Legislativo 66/17, che Parva favilla gran fiamma secunda (“Basta un cerino per dar vita a un falò”, Divina Commedia, Paradiso, canto I, verso 34).