Nell’àmbito del recente evento internazionale HNPW (Humanitarian Networks & Partnerships Week), organizzato dall’UN-OCHA (Ufficio delle Nazioni Unite per gli Affari Umanitari), che ha coinvolto esperti e professionisti di tutto il mondo impegnati nel settore umanitario, ampio spazio ha avuto un incontro dedicato alla relazione tra disabilità e cambiamento climatico.
A promuoverlo congiuntamente sono stati l’IDA, l’Alleanza Internazionale sulla Disabilità, l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, il PDF, Forum del Pacifico sulla Disabilità e lo Stakeholder Group of Persons with Disabilities for Sustainable Development (SD), ovvero il Gruppo di portatori d’interesse delle persone con disabilità per lo sviluppo sostenibile, insieme all’Alto Commissariato dell’ONU per i Rifugiati e all’IDCM, il Centro Internazionale di Monitoraggio delle migrazioni causate da eventi ambientali.
Per far capire l’importanza e la stretta attualità di tale tema, in un’epoca come questa in cui la questione dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze si sta manifestando in tutta la sua realtà, basterà ricordare la denuncia riferita a suo tempo anche dal nostro giornale, rispetto a quanto accadde nel 2005 negli Stati Uniti, quando l’uragano Katrina devastò la costa sud-orientale del Paese, causando 1.800 vittime e decine di migliaia di sfollati, con la città di New Orleans che per l’80% fu sommersa dalle acque. Ebbene, quella catastrofe ebbe a dir poco un impatto sproporzionato sulle persone più vulnerabili, alla maggior parte delle quali venne sostanzialmente negato il “diritto al salvataggio”.
Durante l’incontro di cui si è detto, dunque, è emersa tutta l’importanza di includere pienamente le persone con disabilità nelle azioni riguardanti il cambiamento climatico, tramite una loro partecipazione attiva e facendo sì che le iniziative prese a livello internazionale vengano efficacemente applicate e implementate anche nei vari Stati nazionali.
Particolarmente drammatico è stato il quadro presentato da Sainimili Tawake, coordinatore regionale sui cambiamenti climatici nel Forum sulla Disabilità del Pacifico, i cui rilievi possono per altro essere applicabili anche per il resto del mondo. «Dai risultati preliminari di un nostro studio pilota condotto in tre diversi Paesi – ha sottolineato infatti – emerge con chiarezza che le persone con disabilità sono a malapena incluse nelle varie azioni per il clima, anche a causa di stanziamenti limitati o addirittura inesistenti per questo scopo». «Sovente, inoltre, sono le stesse persone con disabilità – ha aggiunto Tawake – a non avere affatto la percezione di cosa comporti questo fenomeno, pur subendone spesso le dure conseguenze. È quindi necessario in primo luogo aumentare la loro consapevolezza, coinvolgendo i vari responsabili politici».
Da un punto di vista materiale, infine, l’esponente del Forum del Pacifico ha ricordato «la mancanza quasi totale di infrastrutture accessibili legate all’evacuazione delle persone con disabilità, con centri quasi sempre a dir poco sovraffollati».
Spicca anche la mancanza di dati plausibili sull’evacuazione di persone con disabilità a causa di emergenze ambientali. «Quel che è certo – come ha dichiarato la ricercatrice dell’IDCM Louisa Yasukawa – è che tali situazioni rappresentano grossi rischi in molte fasi per le persone con disabilità, anche di violenze e discriminazioni».
Più volte, durante l’incontro, si è fatto riferimento alla necessità di applicare concretamente quanto prescritto dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, e in particolare dal terzo comma del quarto articolo di essa (Obblighi generali) («Nell’elaborazione e nell’attuazione della legislazione e delle politiche da adottare, così come negli altri processi decisionali relativi a questioni concernenti le persone con disabilità, gli Stati Parti operano in stretta consultazione e coinvolgono attivamente le persone con disabilità, compresi i minori con disabilità, attraverso le loro organizzazioni rappresentative»), nonché, segnatamente, dall’undicesimo articolo sulle Situazioni di rischio ed emergenze umanitarie («Gli Stati Parti adottano, in conformità agli obblighi derivanti dal diritto internazionale, compreso il diritto internazionale umanitario e le norme internazionali sui diritti umani, tutte le misure necessarie per garantire la protezione e la sicurezza delle persone con disabilità in situazioni di rischio, incluse […] catastrofi naturali»). Una necessità, questa, che confligge purtroppo con una realtà in cui «le persone con disabilità stanno subendo gli effetti del cambiamento climatico più di altre», come ha dichiarato senza mezzi termini Asha Hans, che ha fondato e dirige la Scuola di Studi sulle Donne dell’Università di Utkal in India, la quale ha dato anche spazio alla drammatica situazione delle donne con disabilità nel proprio Paese.
Si possono pertanto sintetizzare in alcuni punti le conclusioni cui si è giunti al termine dell’incontro, vale a dire, quale base di ogni azione, la necessità di produrre dati disaggregati per i vari tipi di disabilità, e tra uomini, donne e minori con disabilità. Sarà quindi indispensabile muoversi decisamente nella direzione di includere le persone con disabilità in ogni azione riguardante i cambiamenti climatici, costruendo e ampliando le partnership tra le loro organizzazioni e le Nazioni Unite, oltreché tenendo sempre conto di ogni possibile “accomodamento ragionevole”, dei princìpi di progettazione universale e delle conquiste date dalle tecnologie assistive. (Stefano Borgato)
Un testo di approfondimento sull’incontro di cui si parla nel presente contributo è disponibile (in inglese) a questo link.
Più in generale, per approfondire ulteriormente la materia delle persone con disabilità di fronte ai vari tipi di emergenze, è possibile accedere al nostro testo intitolato Soccorrere tutti significa soccorrere meglio (a questo link), al cui fianco vi è il lungo elenco dei contributi da noi pubblicati in questi anni.
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