Come avevamo riferito all’inizio di marzo, dopo un lungo iter seguito anche dal nostro giornale, è stata definita la Strategia Europea per i Diritti delle Persone con Disabilità 2021-2030 (disponibile integralmente a questo link), significativamente intitolata Union of Equality (letteralmente “Un’Unione di Uguaglianza”). Si tratta, vale la pena sottolinearlo una volta ancora, di un punto di partenza realmente decisivo, per i diritti delle persone con disabilità nel Vecchio Continente e non solo, che merita anche in Italia la maggior visibilità possibile. Particolarmente meritorio, in tal senso, è stato l’incontro online promosso il 24 aprile scorso dalla Consulta Provinciale delle Persone con Disabilità di Massa Carrara, rispetto al quale, in sede di presentazione, avevamo segnalato la presenza tra i partecipanti dell’eurodeputato Brando Benifei, uno degli artefici della nuova Strategia Europea.
Nel tentativo quindi di contribuire a nostra volta alla conoscenza e alla diffusione di questo importante documento, diamo spazio qui di seguito a un’ampia intervista realizzata da Anna Maria Gioria allo stesso Benifei.
La pandemia ha acutizzato certe problematiche, come la solitudine, la violenza, la non opportunità di esprimersi, di viaggiare da parte delle persone disabili. Onorevole Benifei, pensa che la Strategia sia un nuovo inizio per migliorare la vita delle persone con disabilità?
«Purtroppo sappiamo bene che questa pandemia ha colpito più duramente chi già prima di essa si trovava più isolato. La difficoltà di accedere alle cure con l’attuale pressione sul Sistema Sanitario Nazionale, la disoccupazione e le ristrette possibilità dei servizi sociali delle Pubbliche Amministrazioni hanno complicato un quadro di solitudine e marginalizzazione che per tantissime persone nel nostro Paese era già molto complesso. Anche per questo la Strategia, con le sue direttrici principali e le sue importanti iniziative, rappresenta un passo avanti importante nella direzione di assicurare all’interno dell’Unione Europea i diritti garantiti dalla Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità. Penso per esempio alle parti sui temi dell’accessibilità e della vita autonoma, due temi su cui, anche nel nostro Paese, c’è ancora molto da fare, e per cui la Strategia rappresenterà uno strumento importante. Che, tuttavia, non è e non deve essere visto come il punto di arrivo del percorso di eguaglianza sostanziale che da anni portiamo avanti insieme alle associazioni che si occupano di disabilità, ma come un primo passo nella direzione giusta».
Una delle parole chiave del documento è accessibilità. Di solito la si usa in particolare per l’eliminazione di barriere architettoniche di luoghi fisici, mentre la Strategia la allarga ad altre realtà molto importanti. Si parla, infatti, di accessibilità alla salute, alla cultura, all’informazione, al mondo digitale, alla burocrazia e alla giustizia. Può fare degli esempi pratici di queste valenze?
«Era da molto tempo che chiedevamo che il concetto di accessibilità fosse inteso non soltanto da un punto di vista fisico, tema su cui purtroppo rimane ancora molto da fare, ma in un’accezione più trasversale ai diversi àmbiti della vita delle persone. Cito soltanto uno dei temi che giustamente faceva presente, quello del digitale. Su questo già la Legge Europea sull’Accessibilità (European Accessibility Act), varata nel 2019 dal Parlamento Europeo, aveva posto alcune questioni importanti: in un mondo dove la tecnologia e i servizi digitali diventano sempre più parte integrante della vita delle persone, non possiamo permettere che alcuni ne restino esclusi e vengano perciò ulteriormente marginalizzati. Per fare questo abbiamo bisogno di sistemi e servizi digitali Designed for all, ossia progettati e sviluppati per poter essere utilizzati da tutti, comprese le persone con disabilità.
Solo pochi giorni fa ho partecipato ad un convegno organizzato da Apple sulle tecnologie Designed for all e sull’accessibilità dei loro prodotti a fini educativi. La Strategia riprende questo concetto rafforzandolo e ponendo degli obiettivi nel medio termine a livello europeo, a quanto pare con risultati già concreti sulla ricerca e sviluppo delle grandi compagnie.
Come dicevo, questo approccio vale per tutti gli altri àmbiti della vita delle persone, ed è un cambiamento importante di metodo che sono sicuro produrrà risultati concreti nei prossimi anni».
Un altro termine ricorrente nel documento è inclusione, riferito in particolare a due àmbiti molto importanti, come l’istruzione e il lavoro. Ci può spiegare come intendete agire per coniugare elementi così importanti?
«Istruzione e lavoro rappresentano da sempre le due leve principali nei processi di inclusione sociale. Sono infatti due momenti della vita delle persone in cui si cimenta un senso di comunità, con gli altri studenti e con i colleghi. Ma, forse ancora più importante, sono anche gli àmbiti grazie ai quali si acquistano competenze e si ha la possibilità di sperimentare e trovare il proprio percorso di realizzazione personale. È evidente, quindi, che debbano essere gli àmbiti attraverso cui raggiungere l’inclusione delle persone con disabilità.
Da una parte, per quanto riguarda l’istruzione, aumentando il supporto all’apprendimento e il sostegno che svolgono un ruolo importantissimo. Dall’altra, per quanto riguarda il lavoro, il tema è sicuramente più complesso. I dati ci mostrano infatti che è nel settore lavorativo che ancora oggi vi sono le maggiori discriminazioni e ingiustizie nei confronti delle persone con disabilità. Per esempio, riscontriamo livelli di disoccupazione più elevati e retribuzioni inferiori a parità di mansioni rispetto ai lavoratori senza disabilità. La Strategia fissa dei punti fermi su questi due temi, ma a mio parere ancora molto va fatto, come ho anche ribadito solo pochi mesi fa durante una discussione in seduta plenaria del Parlamento Europeo in cui si discuteva della Convenzione ONU con riferimento all’occupazione. Io credo per esempio che nel futuro andranno rese obbligatorie quote di assunzioni per persone con disabilità nelle grandi aziende, stimolate ovviamente anche da forti incentivi. Così come credo che bisognerà rendere equa la retribuzione a parità di mansione svolta, realtà purtroppo ancora rarissima. Un’insopportabile discriminazione che è ancora molto presente a causa di antichi pregiudizi che dobbiamo togliere di mezzo una volta per tutte.
Come dicevo, il mio impegno da questo punto di vista continuerà anche nei prossimi anni per raggiungere questi obiettivi, che sono più ambiziosi di quelli attualmente contenuti nella Strategia».
Un fondamentale obiettivo della strategia è quello di favorire i viaggi all’interno dei Paesi dell’Unione Europea. Lei, durante l’incontro organizzato dalla Consulta di Massa Carrara, ha sottolineato che proprio in questi giorni state lavorando ad interventi per il trasporto ferroviario, e quindi anche nelle stazioni, in concreto di cosa si tratta?
«Quello dell’accessibilità dei mezzi di trasporto e della libertà di spostamento per le persone con disabilità è un tema importantissimo e centrale, se vogliamo davvero parlare di vita indipendente. Negli ultimi anni in Italia sono stati fatti passi in avanti per quanto riguarda l’adeguamento delle stazioni ferroviarie e dei treni regionali, ma purtroppo questi sono interventi non sempre sufficienti e spesso limitati ad alcune parti del nostro Paese. Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano questo tema avrà tuttavia finalmente lo spazio che si merita, con finanziamenti adeguati per compiere questo grande sforzo di ammodernamento del nostro sistema di infrastrutture, soprattutto su rotaia».
Sempre rispetto alla promozione degli spostamenti all’interno dell’Unione Europea, la Strategia prevede l’attuazione dell’ACCESSIBLE BLU e della “Tessera Europea di Disabilità”? Di che cosa si tratta?
«Per quanto riguarda l’ACCESSIBLE BLU si tratta in realtà di uniformare gli usi a livello comune. La “Tessera Europea di Disabilità” rappresenta invece una delle innovazioni più importanti della Strategia: da anni, infatti, come Parlamento Europeo chiedevamo che la Commissione intervenisse per uniformare il sistema delle tessere di disabilità, in modo da evitare inaccettabili discriminazioni durante soggiorni in un Paese Membro diverso dal proprio. Era già stato avviato un progetto pilota in alcuni paesi, tra cui l’Italia, che ha dato ottimi riscontri. Questa tessera permetterà l’automatica riconoscibilità a livello europeo dei diritti connessi alla condizione di disabilità, indipendentemente dal Paese di provenienza. È un grande passo avanti che, come dicevo, metterà fine ad una situazione di discriminazione intollerabile».
La Strategia si basa sull’articolo 19 della Convenzione ONU, secondo il quale alle persone con disabilità va garantito il diritto di una vita indipendente, della partecipazione alla vita della comunità e della libertà di poter scegliere dove, come e con chi vivere. Quali programmi sono previsti, affinché tutto ciò si concretizzi?
«Questo è un aspetto su cui si dovranno concentrare i Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza nazionali, poiché la Strategia indica solamente gli obiettivi da raggiungere.
Al tema delle infrastrutture sociali è dedicata la seconda componente della Missione 5 del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, chiamata Inclusione e Sociale. Ancor più nello specifico, nella bozza presentata, la prima linea di intervento della prima componente, intitolata Servizi socio-assistenziali, disabilità e marginalità, prevede una linea di finanziamento specifico per il valore di mezzo miliardo di euro specificamente per Percorsi di autonomia per i disabili.
Oltre a queste risorse importanti, il dato positivo è che finalmente ci si stia muovendo nell’ottica di un approccio trasversale a tutte le politiche pubbliche, come più volte indicato e richiesto dalle Associazioni del settore, e che tutte le iniziative sociali dovranno tenere conto delle esigenze delle persone con disabilità».
Per realizzare tutto ciò la Comunità Europea mette a disposizione dei vari Paesi Membri molti fondi. Come sono gestiti e come vengono erogati?
«Prendo la questione da lontano, ma penso sia importante per far capire a chi legge: la Strategia per i Diritti delle Persone con Disabilità non è un programma europeo. Non apre quindi delle linee di finanziamento dirette. Essa serve invece per fissare obiettivi che dovranno essere raggiunti anche per mezzo dei diversi programmi. A questo punto c’è una seconda distinzione da fare. Normalmente i fondi europei derivavano soltanto dal bilancio pluriennale dell’Unione Europea, il Quadro Finanziario Pluriennale (QFP). In esso sono presenti tutti i fondi europei più famosi (Erasmus+, Fondi di Coesione, Sviluppo Rurale, Horizon ecc.), che vengono gestiti direttamente dalla Commissione o da sue Agenzie delegate, o per alcuni programmi dalle Regioni attraverso i Programmi Operativi Regionali (POR). Alcuni di questi Programmi hanno call specifiche per quanto riguarda progetti a favore delle persone con disabilità. Per la prima volta, però, con l’aggiunta di Next Generation EU [il pacchetto di fondi concordato dall’Unione Europea in risposta alla crisi pandemica, N.d.R.], l’Unione mette a disposizione dei fondi agli Stati Membri per intervenire contro la crisi portata dalla pandemia. Questi finanziamenti devono essere concordati attraverso l’elaborazione dei Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza.
Come dicevo anche in precedenza, all’interno del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza italiano troveranno spazio percorsi di inclusione sociale e di adeguamento infrastrutturale a vantaggio delle persone con disabilità. Questo infatti è uno dei temi che la Commissione Europea indica come necessari per favorire l’inclusione sociale, uno degli assi su cui si misurerà la nostra capacità di riprenderci da questa crisi».
Un’ultima domanda che esula un po’ dall’argomento Strategia. Anche su queste pagine è stato affrontato diverse volte il tema del nuovo Piano Educativo Individualizzato (PEI) per gli alunni e le alunne con disabilità, messo in discussione da una serie di organizzazioni di settore secondo le quali esso porterebbe a una regressione dello stesso percorso inclusivo. Da politico italiano, cosa ne pensa?
«Questo è un tema molto delicato su cui, sono sincero, non ho un’opinione definitiva. Anche perché l’educazione e lo sviluppo dei ragazzi sono temi molto sensibili su cui ho sempre creduto ci sia bisogno di forti competenze specifiche anche per chi se ne occupa in politica. Di solito, però, per quanto riguarda le persone con disabilità, sono proprio le Associazioni del settore e le famiglie dei ragazzi a vivere quotidianamente il problema e ad avere quindi reale contezza delle loro necessità.
Sicuramente credo valga lo stesso discorso che dal mio punto di vista vale anche per altri àmbiti delle politiche pubbliche, e cioè che le Associazioni che rappresentano le persone con disabilità devono essere coinvolte ad ogni livello dell’elaborazione delle politiche: dal loro concepimento, alla fase di elaborazione, approvazione, esecuzione e infine di monitoraggio dei risultati. A maggior ragione, su un tema così sensibile e importante, è bene che le Associazioni vengano consultate e che le decisioni venissero prese sulla base dei loro suggerimenti».