Nei Paesi di frontiera, come ho già avuto modo di scrivere su queste stesse pagine, il passeur è colui che aiuta i clandestini a passare il confine. Per fare questo deve conoscere il percorso, le abitudini delle guardie frontaliere, le risorse psicofisiche delle persone che accompagna e i problemi che possono insorgere lungo il cammino. Dal passeur dipende la possibilità di oltrepassare il confine.
Anche la disabilità necessita di passeur esperti per entrare nel mondo del lavoro. Essi dovrebbero essere figure professionali che conoscono i percorsi di accesso al lavoro, le potenzialità di chi devono accompagnare, nonché i tempi, i modi e le regole che governano il sistema del lavoro e le problematicità perennemente in agguato.
Purtroppo gli operatori attualmente presenti nei Servizi per il Collocamento pubblici, privati e del privato sociale, non sono adeguatamente preparati, sono mal distribuiti sul territorio nazionale e del tutto insufficienti come numero. Non conoscono le leggi che regolano il mercato e i rapporti di lavoro, il mondo produttivo, l’organizzazione aziendale, il linguaggio imprenditoriale, le strategie di marketing e troppo spesso nemmeno le persone con disabilità.
La crisi economica non risolta, la pandemia e questa nuova “rivoluzione industriale” in atto impongono dunque un cambio di strategie che possono nascere solo da una nuova visione culturale del rapporto uomo/lavoro/inclusione (non solo per le persone con disabilità). Se questo non avverrà, ci troveremo ad inseguire le contraddizioni che il mercato inevitabilmente produrrà.
L’uomo, protagonista del suo lavoro, ha lasciato il posto all’uomo prestato al lavoro. In passato, il coltivatore, nei momenti di pausa, guardava compiaciuto il lavoro svolto,; così faceva il muratore e tutti gli altri. Il piacere del “lavoro fatto” era il primo, e spesso l’unico, appagamento della sua giornata lavorativa. Oggi non è più così! Sempre meno ci si sofferma a guardare, perché si ha fretta di finire e perché non è il fine ultimo del nostro operare.
Sempre più prestatori d’opera, detentori di capacità che vengono utilizzate da altri, per produzioni che spesso non conosciamo e non ne comprendiamo i risultati. Tutto si consuma in un ritmo veloce, mai rapido a sufficienza. È tempo di cambiare, senza nostalgie del passato e paure verso il futuro, non dimenticando però la persona, cosa rappresenta il lavoro per la sua vita privata e sociale.
Nel contempo la scuola, l’università, la cultura non possono dimenticare il loro ruolo pedagogico: non è possibile lasciare solo al mercato il compito di formare l’uomo e il lavoratore del domani. Purtroppo i “Maestri” sono in crisi. La scuola, il sindacato, gli esperti (sempre meno esperti) sono disorientati e rincorrono le trasformazioni, senza comprenderne il reale significato e non sapendo cosa proporre.
Ecco quindi che nel campo della disabilità/lavoro ci si confronta sulle Linee Guida per il collocamento mirato, previste dal Decreto Legislativo 151/15, ma mai pubblicate dal 2015, sulla necessità che le aziende dispongano di un disability manager, sull’Osservatorio Aziendale, sugli “accomodamenti ragionevoli”, sull’ICF (la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione Mondiale della Sanità) e così via. Tutte cose importanti, ma che da sole, a parere di chi scrive, non risolveranno mai il problema della transizione al lavoro e dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità.
Altrettanto inutile, ritengo, è scaricare ogni responsabilità sulle leggi e ritenere che una sola riforma normativa possa realizzare il concetto di collocamento mirato declinato dalla Legge 68/99 (Norme per il diritto al lavoro dei disabili). Ogni riflessione , ogni novità devono essere inserite in un disegno culturale e strategico complessivo che coinvolga tutto il sistema del collocamento delle persone con disabilità e la cultura obsoleta che lo sostiene.
Riprendiamo il confronto sul rapporto uomo/lavoro nella società contemporanea, sul mercato e sul mondo del lavoro che rincorrono a fatica l’evoluzione scientifica e tecnologica e quindi sulla riforma dei Centri per l’Impiego, del Collocamento Disabili, della formazione, nonché delle Leggi che li governano. Ogni iniziativa che prescinde da questo e ogni sterile imitazione di modelli esteri, sono destinati a naufragare miseramente.
Le scelte fatte dai Governi che si sono succeduti negli ultimi anni ne sono un’inequivocabile dimostrazione. Questa situazione sta spingendo le aziende sempre più verso un arroccamento difensivo, fatto di evasioni, elusioni, monetizzazioni degli obblighi, ricerca di “disabili-abili”, rapporti di lavoro precari, orari sempre più ridotti ecc. Da strenuo difensore della disabilità, mi trovo a comprendere il loro atteggiamento! Le aziende non conoscono la disabilità e spesso la temono; ma le loro paure, i loro pregiudizi non si sconfiggono con le imposizioni o con vuoti discorsi teorici. Solo l’esempio, l’esperienza diretta, politiche attive adeguate e figure professionali competenti possono produrre un cambiamento.
Il perpetuarsi errato e diseducante di politiche attive e passive e il mancato funzionamento del sistema del collocamento stanno spingendo sempre più le persone con disabilità verso i sostegni economici e non verso il lavoro. Circa il 50% delle persone iscritte negli elenchi del Collocamento Disabili non è in cerca di lavoro, mentre cresce l’interesse al lavoro fra le persone con basso potenziale occupazionale. Purtroppo, nonostante l’aggravarsi della situazione, la politica è sempre più superficiale verso l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità (basti vedere le varie stesure del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza); i mass-media sono sempre più disattenti al tema e gli esperti sempre meno aggiornati per poter sostenere il dibattito; questo, inevitabilmente, sta producendo una crescente disillusione sul futuro lavorativo di centinaia di migliaia di cittadini disabili.
Oltre ad un cambiamento culturale, il mondo della disabilità/lavoro ha bisogno di un Disability Job Supporter, ovvero di una figura professionale in grado di seguire tutto il processo inclusivo. Un professionista opportunamente educato e formato da esperti che operano concretamente nei campi di interesse. Egli dovrebbe essere presente in tutti i servizi per il lavoro, per valutare il potenziale occupazionale di ogni persona in cerca di lavoro. In altre parole, dovrebbe essere un orientatore in grado di indirizzare la persona disoccupata verso utili percorsi formativi e verso il mercato del lavoro. Egli dovrebbe sostenere la persona con disabilità nel percorso di avvicinamento al lavoro, e l’azienda nel momento dell’ inserimento e del mantenimento del posto di lavoro. Un “supporter per i disabili in cerca di lavoro” e per le aziende soggette agli obblighi della Legge 68/99. Quindi, in estrema sintesi, un supporter dell’inclusione lavorativa.
La mancanza di questa figura professionale pregiudica o ritarda l’accesso al lavoro degli iscritti negli elenchi del Collocamento Disabili e connota i Servizi Provinciali come meri uffici burocratico-amministrativi.
Quel che serve, dunque, è una figura che possieda una preparazione complessiva, conoscenze e competenze psicologiche, pedagogiche e consulenziali, che consentono di seguire tutta la filiera dell’inclusione e di operare con efficacia presso i Centri per l’Impiego, il Collocamento Disabili, i SIL (Servizi di Integrazione Lavorativa), la formazione professionale, la Scuola, l’Università, le Cooperative Sociali, le Associazioni imprenditoriali, quelle delle persone con disabilità, le Agenzie per il Lavoro e i Servizi Sociali e Sociosanitari. Un professionista indispensabile per il sistema del collocamento, che si dovrà occupare di una fascia sempre più ampia di inoccupati e disoccupati i quali necessiteranno di un sostegno per entrare o rientrare nel mondo del lavoro. Una figura professionale in grado di predisporre un Progetto personalizzato di accompagnamento al lavoro per la persona con disabilità, e un Progetto personalizzato per l’assolvimento degli obblighi per l’impresa.
La riforma dell’intero sistema di collocamento pubblico e in particolare dei Centri per l’Impiego deve partire obbligatoriamente da un aggiornamento culturale e da nuove e adeguate figure professionali, il resto credo siano solo chiacchiere utili a legittimare lo status quo e i molteplici interessi in gioco! L’esperienza non risolta dei Navigator ne è la dimostrazione!