Nel linguaggio corrente vengono usati molti termini per indicare la condizione di persona con disabilità uditiva, forse nel tentativo di dare maggiore precisione e correttezza all’espressione usata. In realtà non sempre i termini risultano appropriati, anzi spesso determinano notevole imprecisione sotto il profilo linguistico, lessicale, semantico e ancor più sotto l’aspetto giuridico: sordomuto, sordo, sordastro, ipoacusico, minore ipoacusico, anacusico, cofotico, presbiacusico, sordo prelinguale, sordo preverbale, sordaggine, mutismo, muto, non udente, audioleso, sordità congenita, sordità genetica, sordità prenatale, sordità perinatale, sordità postnatale, sordità acquisita, sordità pura, sordità sindromica o non sindromica, sordità neuro sensoriale, sordità trasmissiva, sordità centrale, sordocecità, sordettino, sordetto, sordacchione, sordone, sordaccio, sordità ototossica o da farmaco, sordità indotta, sordità improvvisa, sordità provvisoria, sordo lieve, sordo medio, sordo grave, sordo profondo, sordità severa, sordo monolaterale, sordo bilaterale, sordità a/simmetrica, invalido civile sordo, minorato uditivo, sordoudente…
È dunque evidente la possibilità di esprimere concetti riferiti alla sordità in maniera non sempre corretta, adeguata e perfino gli addetti ai lavori incappano in confusioni e fraintendimenti o fattori apparentemente discriminatori.
Se tuttavia nel linguaggio corrente è in parte lecito aspettarsi imprecisioni espressive e di contenuto, quando i termini assumono uso e carattere tecnico-giuridico, devono essere esatti, precisi, altrimenti si possono generare gravi equivoci o danni personali.
Per tale ragione si è reso necessario correggere il termine sordomuto usato sempre e diffusamente nelle leggi e nelle norme dello Stato Italiano, e quindi nei testi elaborati da Regioni, Province, Comuni e dalle singole Amministrazioni. Proprio la Legge n. 95 del 20 febbraio 2006, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 marzo 2006, ha corretto questo errore, questa anomalia.
Questa Legge, chiamata Nuova disciplina in favore dei minorati auditivi, che si presenta male nella denominazione, in realtà risolve il problema tecnico giuridico attraverso tre commi di un unico e semplice articolo, qui di seguito riportati, fondamentalmente mirato a correggere la precedente Legge n. 381 del 1970 nella sua imprecisione relativa alla definizione di sordomutismo:
«Art. 1. 1. In tutte le disposizioni legislative vigenti, il termine “sordomuto” è sostituito con l’espressione “sordo”. 2. Il secondo comma dell’articolo 1 della legge n. 381/70 è sostituito dal seguente: “Agli effetti della presente legge si considera sordo il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia compromesso il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da causa di guerra, di lavoro o di servizio”». 3. Al primo comma dell’articolo 3 della legge n. 381/70, le parole: “L’accertamento del sordomutismo” sono sostituite dalle seguenti: “L’accertamento della condizione di sordo come definita dal secondo comma dell’articolo 1”».
Pertanto, in maniera completamente sbagliata fino all’anno 2006, per la vigenza della Legge 381/70 e successive, era dunque obbligatorio usare il termine “sordomuto”, per indicare, anche e soprattutto nei documenti ufficiali, le persone con sordità grave o profonda, se divenuti tali nei primi anni di vita: niente di più sbagliato. Perfino nei Verbali di prima istanza delle Commissioni Mediche e nei successivi livelli di accertamento bisognava obbligatoriamente usare questa errata terminologia, utilizzata poi anche nelle certificazioni conseguenti e successive in àmbito sanitario, scolastico, assistenziale e previdenziale e in ultima analisi nel linguaggio corrente.
È dunque proprio la formulazione della Legge 381/70, denominata Aumento del contributo ordinario dello Stato a favore dell’Ente nazionale per la protezione e l’assistenza ai sordomuti e delle misure dell’assegno di assistenza ai sordomuti, che all’articolo 1, comma 2 definiva in modo sbagliato “il sordomuto”; infatti a tale comma essa stabiliva che «agli effetti della presente legge si considera sordomuto il minorato sensoriale dell’udito affetto da sordità congenita o acquisita durante l’età evolutiva che gli abbia impedito il normale apprendimento del linguaggio parlato, purché la sordità non sia di natura esclusivamente psichica o dipendente da cause di guerra, di lavoro o di servizio».
La Legge 381/70, recante quattordici articoli e fondamentalmente utile per finanziare e sostenere economicamente e strutturalmente l’ENS (Ente Nazionale Sordomuti), istituiva contemporaneamente «l’assegno di assistenza ai sordomuti». Il problema consisteva nel definire in maniera completamente sbagliata la persona sordomuta. Un minore che diventava sordo non alla nascita o nei primi tre anni di vita (sordità pre-verbale) veniva di fatto definito così sordomuto, anche se fino a quella età aveva acquisito normale espressività e competenza verbale, al pari dei coetanei, e posseduto una ricca memoria uditiva. Era obbligatoria la definizione di sordomutismo in particolare per i bambini con sordità grave/profonda insorta nella fascia di età compresa fra i 3 e i 12 anni, ovvero per i minori con sordità prelinguale, come successivamente definito e riportato all’articolo 4 della Legge 508/88 (Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti), che istituiva la concessione della «indennità di comunicazione» appunto per coloro la cui sordità grave /profonda fosse insorta prima del dodicesimo anno di età.
In conclusione, la Legge 95/06 era indispensabile per correggere gli errori della precedente Legge 381/70. Contestualmente, però, va notato che per molte persone sorde preverbali, ovvero sorde dalla nascita e dai primi tre anni di vita, che probabilmente avevano frequentato scuole speciali per sordomuti e sordastri, ormai abituate non solo linguisticamente, ma anche culturalmente, alla denominazione di persona sordomuta, la proposta di definirsi solamente come “persona sorda” possa avere determinato una certa insoddisfazione, se non addirittura fastidio e irritazione. Ed è legittimo che esse possano definirsi “sordomute” se lo desiderano, ma deve essere chiaro anche a loro che questa definizione non è corretta sotto il profilo giuridico, per quanto premesso, e che dunque tale termine non può essere adottato superficialmente in nessun testo di legge o provvedimento, ma può essere naturalmente usato nel linguaggio corrente e non da addetti e professionisti in materia.
Vale inoltre la pena ricordare che molte anche fra le persone sorde dalla nascita o nei primi tre anni di vita (sordità preverbale) già molto prima del 2006 si presentavano con competenza linguistica verbale adeguata alla propria età. Certamente hanno contribuito a questi risultati i precoci interventi protesici, abilitativi logopedici e l’inclusione nelle scuole comuni già dal 1977, anno in cui è caduto l’obbligo di frequenza delle scuole speciali.
Oggi invece, specie nelle situazioni di sordità pure, la possibilità di recuperare la capacità percettiva uditiva e quella di acquisire e sviluppare il linguaggio verbale è veramente alla portata di tutti i bambini sordi profondi dalla nascita e sotto i tre anni, bambini che comunque rimangono sordi.