Albergo Etico: un progetto di realizzazione professionale e vita indipendente

di Martina Dei Cas*
È lo chef Antonio De Benedetto l’ideatore di Albergo Etico, ambizioso progetto di realizzazione professionale e vita indipendente, che da una quindicina d’anni ha già coinvolto più di cento giovani con disabilità, per lo più intellettiva. «Nel 2006 - racconta De Benedetto -, arrivò in stage nel mio ristorante un ragazzo con la sindrome di Down assieme al quale ho imparato a guardare la disabilità da un altro punto di vista e ho pensato che sarebbe stato bello costruire un metodo di formazione attivo per il miglioramento delle persone con disabilità, attraverso le mansioni alberghiere»
Albergo Etico: giovani con sindrome di Down
Giovani con disbailità intellettiva coinvolti nel progetto di Albergo Etico

«Somministriamo disabilità alla popolazione “in modo omeopatico”, per cambiare la società civile. E non ci lasciamo scoraggiare da niente, nemmeno dal Covid»: comincia così una chiacchierata con lo chef astigiano Antonio De Benedetto, inventore dell’Albergo Etico e presidente dell’omonima Associazione [se ne legga già in un precedente servizio di «Superando.it», N.d.R.] che attualmente gestisce quattro strutture, ad Asti, Roma, Fénis in Valle d’Aosta e nelle Blue Mountains australiane.
Nelle cucine, alla reception e ai piani, lavorano giovani con la sindrome di Down, accompagnati attraverso il metodo educativo Download in un ambizioso progetto di realizzazione professionale e vita indipendente.

Chef De Benedetto, Albergo Etico rappresenta una doppia rivoluzione, sia nel mondo dell’hôtellerie che in quello della disabilità. Come nacque l’idea?
«Era il 2006, quando nel mio ristorante arrivò in stage Niccolò, un ragazzo con la sindrome di Down. Assieme a lui ho imparato a guardare la disabilità da un altro punto di vista. E ho pensato che sarebbe stato bello costruire un metodo di formazione attivo per il miglioramento delle persone con disabilità intellettiva, sensoriale e fisica attraverso le mansioni alberghiere».

In che cosa consiste il vostro metodo?
«Il nostro metodo – che chiamiamo Download perché il caposervizio della struttura centrale, ovvero l’Albergo Etico, passa le competenze ai ragazzi – è molto simile a quello montessoriano. Lì il luogo delle scoperte è la casa, nel nostro caso invece è l’hotel, accanto al quale si trova sempre un’“accademia dell’indipendenza”, ovvero un appartamento in cui i ragazzi vivono da soli in autogestione».

La vera rivoluzione, però, comincia a casa…
«Sì. Molto spesso i genitori dei ragazzi con disabilità sono pieni di paure. Per questo la prima cosa che insegnamo ai nostri studenti è utilizzare il coltello. Crediamo che si debba spiegare come gestire il pericolo, non come evitarlo. E in hotel, di pericoli ce ne sono parecchi, dalle lame al fuoco, passando per il freddo intenso delle celle frigo».

Qual è il ruolo della famiglia in questo processo?
«Fondamentale. Fin dal primo giorno, stringiamo con mamme e papà un vero e proprio patto formativo. Li teniamo sempre aggiornati sui temi affrontati in classe e chiediamo loro di replicarli a casa. Per esempio, raccomandiamo di insegnare ai figli a gestire l’intero ciclo di lavaggio del proprio abbigliamento, fino alla stiratura e alla preparazione della valigia. Ma anche di dare la libertà di invitare un amico e di preparare la cena per lui e di ospitarlo per una notte. Proprio per questo abbiamo creato la cosiddetta “Divisione Super Mamma”, in cui le mamme dei ragazzi che sono con noi da più tempo spiegano le diverse tappe del percorso alle famiglie che sono appena entrate nel network».

La chiave sta quindi nella reciprocità?
«Esatto, noi non insegnamo, se le famiglie a loro volta non insegnano. Il nostro metodo si basa sulla replicazione in casa delle mansioni alberghiere. E la mamma è il primo certificatore del processo di apprendimento. Vogliamo far passare il messaggio per cui un figlio con disabilità non è un figlio senza possibilità, bensì un figlio per cui le possibilità vanno costruite. Bisogna avere il coraggio di lasciarlo fare. Dobbiamo lavorare insieme e favorire i processi di educazione tra pari.
In questi anni siamo entrati in contatto con oltre cento ragazzi e ragazze. La formazione alberghiera è accompagnata da quella scolastica – 20% teorica e 80% pratica – grazie alla collaborazione della Scuola Alberghiera Colline Astigiane, dove io ero docente. Ogni anno, la struttura accoglie otto ragazzi, che poi completano il percorso con lo stage all’Albergo Etico».

L’Albergo Etico pilota, quello di Asti, ha ventuno camere e una capienza di una sessantina di ospiti e ha aperto nel 2015. Si ricorda la prima cliente?
«Una signora svizzera».

Obiettivi per il futuro?
«Espandere la nostra rete. Spero che entro il 2023 saranno operativi almeno una quindicina di Alberghi Etici. Ne abbiamo già in cantiere uno a Sondrio e un altro a Cordoba in Argentina».

Prima del Covid, molte delle vostre attività erano in presenza e vi prendevano parte ragazzi e ragazze da Catanzaro ad Aosta. Ma come vi organizzate per gestire in sicurezza questi viaggi su e giù per lo Stivale?
«Costruendo un “paracadute”, ovvero un capillare sistema di controllo e preparandoli come se fossero una sorta di “militari in missione”. Innanzitutto, allertiamo una rete di volontari lungo il tragitto, pronti a intervenire in caso di problemi. E poi usiamo la tecnologia. Insegnamo ai ragazzi a utilizzare la geolocalizzazione e a inviare tramite Whatsapp una fotografia ai genitori in tutti i momenti chiave del viaggio, per esempio quando salgono sul treno oppure quando arrivano in una determinata stazione».

Quanto ha inciso la pandemia sulla vostra realtà?
«In realtà più che incidere, ci ha dimostrato quanto le nostre mamme siano davvero super. In meno di una settimana dall’annuncio del primo lockdown, infatti, affinché i ragazzi restassero in contatto tra loro, sono riuscite a mettere in piedi ben undici laboratori virtuali, di cucina, sala, pasticceria, fotografia, teatro, uso del PC, manualità, canto, linguaggio dei segni, judo e inglese».

Il presente servizio è stato pubblicato da «pro.di.gio.», rivista dell’Associazione Prodigio di Trento. Viene qui ripreso – con minimi riadattamenti dovuti al diverso contesto – per gentile concessione.

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