Nella Gazzetta Ufficiale del 20 luglio scorso è stato pubblicato il DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio) del 17 dicembre 2020 che introduce il Reddito di libertà per le donne vittime di violenza. La misura prevede un sussidio che può arrivare sino ad un massimo di 400 euro mensili, per un massimo di dodici mensilità.
Si tratta di un provvedimento nuovo per il contesto nazionale, ma già attivo in alcune Regioni, tra cui la Sardegna che, oltre a istituirla, ha previsto anche di accordare priorità d’accesso al sussidio economico alle donne vittime di violenza con figli minori, con figli disabili e alle donne con disabilità (se ne legga già anche su queste pagine).
La normativa nazionale, pur destinando la misura «alle donne che hanno subito violenza e si trovino in condizioni di particolare vulnerabilità o in condizione di povertà», non contiene alcuna indicazione in merito ad una priorità d’accesso simile a quella prevista nel “modello sardo”.
Illustriamo di seguito le prime indicazioni contenute nel citato DPCM, in attesa che l’INPS, cui è affidato il compito di riconoscere ed erogare i contributi in questione, fornisca ulteriori istruzioni operative.
Il Decreto istituisce il «Fondo per il reddito di libertà per le donne vittime di violenza» mediante un incremento di 3 milioni di euro per l’anno 2020 del «Fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità». Il Fondo è finalizzato a contenere i gravi effetti economici derivanti dall’emergenza epidemiologica da Covid, in particolare per quanto concerne le donne in condizione di maggiore vulnerabilità, nonché di favorire, attraverso l’indipendenza economica, percorsi di autonomia e di emancipazione delle donne vittime di violenza in condizione di povertà.
Il Decreto definisce inoltre i criteri di riparto delle risorse e il loro trasferimento alle Regioni e alle Province autonome di Trento e di Bolzano sulla base dei dati ISTAT al 1° gennaio 2020, riferiti alla popolazione femminile residente nei Comuni di ciascuna Regione appartenente alla fascia di età 18-67 anni.
Un inciso: la tabella 1 con il riparto delle risorse è allegata al Decreto in formato immagine, dunque non accessibile agli screen reader (lettori di schermo) comunemente utilizzati dalle persone con disabilità visive.
Tornando al merito del provvedimento, ciascuna Regione può incrementare la somma stanziata con ulteriori risorse proprie traferendole direttamente all’INPS.
Come accennato, il contributo viene erogato nella misura massima di 400 euro pro capite su base mensile, per un massimo di dodici mensilità. Esso è destinato alle donne vittime di violenza, sole o con figli minori, seguite dai Centri Antiviolenza riconosciuti dalle Regioni e dai Servizi Sociali, nei percorsi di fuoriuscita dalla violenza, al fine di contribuire a sostenerne l’autonomia.
Il Reddito di libertà è riconosciuto, su istanza di parte, alle donne che hanno subito violenza e si trovino in condizioni di particolare vulnerabilità o in situazione di povertà, la cui condizione di bisogno straordinaria o urgente è dichiarata dal servizio sociale professionale di riferimento territoriale attraverso una dichiarazione firmata dal rappresentante legale del Centro Antiviolenza che ha preso in carico la donna. Le richieste vanno presentate all’INPS utilizzando un modello di domanda predisposto dal medesimo Istituto (unitamente alla dichiarazione del servizio sociale territoriale), che dev’essere presentato secondo le modalità stabilite dallo stesso.
La misura è finalizzata a sostenere prioritariamente le spese per assicurare l’autonomia abitativa e la riacquisizione dell’autonomia personale, nonché il percorso scolastico e formativo dei/delle figli/figlie minori e non è incompatibile con altri strumenti di sostegno come il Reddito di cittadinanza. All’INPS è richiesto di fornire i dati statistici sulle prestazioni erogate e sulle beneficiarie della misura.
È apprezzabile che la misura sia rivolta alle donne che hanno subito violenza e si trovino in condizioni di particolare vulnerabilità o in condizione di povertà. Infatti ciò è in linea con l’indirizzo tracciato dalla Convenzione di Istanbul, la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la Legge 77/13 (si veda in merito la seguente nota). Tale espressione dovrebbe ricomprendere al proprio interno anche le donne con disabilità.
Convince meno la discrezionalità accordata ai servizi sociali professionali di riferimento territoriale nel dichiarare la condizione di bisogno straordinaria o urgente delle donne vittime di violenza, necessaria per accedere alla misura. Sarebbe stato utile, infatti, riconoscere una priorità di accesso alle donne soggette a discriminazioni multiple e intersezionali e questo non solo in considerazione del virtuoso esempio sardo di cui si è detto inizialmente, ma anche in relazione alle indicazioni politiche espresse nelle quattro mozioni in tema di contrasto alla discriminazione multipla delle donne con disabilità, approvate all’unanimità dalla Camera il 15 ottobre 2019, come avevamo ampiamente riferito a suo tempo.
Per approfondire ulteriormente i temi trattati nel presente testo, oltreché fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, si può anche accedere, nel sito del Centro Informare un’h, alle Sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità e Donne con disabilità.