Miscelando sapientemente racconto biografico e fiction Niente lacrime per Rosemary. La drammatica storia della Kennedy dimenticata (Fabbri, 2021), di Simona Capodanno e Marina Marazza, ripercorre la dolorosa vicenda umana e familiare di Rose Marie Kennedy (1918-2005), meglio conosciuta come Rosemary.
Rosemary è stata la terza (e prima femmina) dei nove figli di Joseph P. Kennedy e Rose Fitzgerald, nonché sorella minore di John Fitzgerald Kennedy (1917-1963), meglio noto con il diminutivo di Jack, che divenne il 35° presidente degli Stati Uniti d’America nel 1961 e venne assassinato a Dallas nel 1963.
I primi due figli dei Kennedy erano nati in casa e i coniugi Kennedy decisero di far nascere in casa anche Rosemary. L’infermiera che assistette la madre durante il parto, nell’attesa che arrivasse il medico, indusse la partoriente a trattenere il feto all’interno del canale uterino per oltre due ore, la qual cosa produsse alla bambina una sofferenza fetale e un danno cerebrale di un’entità non quantificabile al momento della nascita.
Per molto tempo la famiglia mostrò Rosemary come la più bella delle figlie Kennedy, ma fece molta attenzione a nascondere al pubblico quella disabilità che la stessa famiglia riuscì ad ammettere al proprio interno solo dopo molti anni. Rosemary poté frequentare molte scuole differenti, e le furono affiancati molti insegnanti e assistenti privati, ma questo non fu sufficiente a colmare il divario che la separava dai coetanei e dai fratelli e sorelle.
«Se fosse stata figlia di genitori qualsiasi, senza particolari velleità, avrebbe potuto proseguire una vita tranquilla, smettere di studiare e vivere semplicemente all’ombra di una famiglia ricchissima senza alcun bisogno di trovarsi un lavoro, né di dover dimostrare nulla. Non è indispensabile saper battere impeccabilmente la palla a tennis o scrivere senza errori di ortografia. Peccato che i Kennedy fossero i Kennedy», si legge in un passaggio dell’opera. Ed è forse questo uno degli aspetti più terribili dell’intera vicenda: il fatto che anche Rosemary, come i fratelli e le sorelle, fosse bersaglio di aspettative di performance, di perfezione e di successo inarrivabili per lei.
«Se arrivi secondo, hai perso», era il motto del padre Joe, e se perdi vuol dire che non ti sei impegnato abbastanza. «I Kennedy non piangono», era invece la filosofia di vita che la madre Rose fece propria e alla quale si aspettava si uniformassero i figli anche nei momenti più difficili delle loro esistenze.
Per i Kennedy fu già abbastanza complesso accettare l’idea che Rosemary, ormai adolescente, si comportasse ancora come una bambina, ma quando, a partire dai vent’anni, sbocciò in tutta la sua esuberante bellezza ed iniziò ad interessarsi agli uomini, la loro paura divenne quella di ritrovarsi coinvolti in uno scandalo sessuale. Se non fosse tragica, la situazione farebbe quasi sorridere, visto che sin dalle prime pagine del libro Joe, capostipite della dinastia Kennedy, viene presentato come un «malato di sesso» (un erotomane, diremmo oggi, anche se a quei tempi il termine ancora non esisteva), che passa da un letto all’altro, nascondendo, con la complicità della moglie, la sua vera natura sotto un’aria di cittadino modello, cattolico e morigerato padre di ben nove figli/e. Ma si sa, la libertà sessuale delle donne non è misurata con lo stesso metro di quella maschile, e uno scandalo sessuale legato a una figlia con disabilità avrebbe potuto mandare in frantumi le smisurate ambizioni dei Kennedy.
Pare dunque che sia stato proprio questo timore ciò che indusse Joe a far sottoporre Rosemary ad una lobotomia, un intervento sperimentale che le venne praticato nel novembre del 1941 presso l’ospedale della George Washington University dai medici Walter Freeman e James Watts. Allora Rosemary aveva 23 anni. La persona che uscì dall’intervento non aveva più niente della ragazza solare e innamorata della vita che era sempre stata: riusciva a pronunciare solo poche parole sconnesse, aveva problemi motori, aveva perso l’uso di un braccio e di una gamba (che non riuscì mai recuperare), doveva spostarsi in sedia a rotelle ed era divenuta incontinente.
Joe era l’unico dei Kennedy ad essere informato dall’accaduto, mentre non è dato sapere quando sia stata informata la madre Rose e quale sia stata la sua reazione alla notizia, anche se rimane il dato che si deciderà ad andare a trovare sua figlia solo vent’anni dopo l’operazione e che il loro rapporto non si aggiusterà mai. Agli altri figli e figlie venne raccontato che Rosemary si trovava nel Midwest, dove lavorava come assistente maestra in una scuola, e pare che questi/e per molti anni si siano accontentati di questa spiegazione.
Dopo l’intervento Rosemary venne spostata alla Craig House, sul fiume Hudson, a un’ottantina di chilometri da New York, dove rimase per sette anni. Quindi, per tutelare meglio la riservatezza (il problema di Joe e di Rose è sempre stato quello di salvare le apparenze), venne trasferita presso il Santa Coletta di Jefferson, nel Wisconsin, un istituto religioso tenuto da suore.
Proprio le suore della struttura divennero la sua nuova famiglia, imparando a volerle bene e aiutandola a recuperare alcune funzionalità fisiche e, almeno in parte, la memoria e la parola. Dietro impulso di Eunice, la sorella che maggiormente le rimase affezionata, poté tornare in famiglia per brevi visite in occasione di qualche festività e durante le vacanze.
Rosemary si spense all’Atkinson Memorial Hospital, vicino al Santa Coletta, nel 2005, all’età di 86 anni. Oggi la lobotomia è una pratica che suscita orrore, ma la sessualità delle donne con disabilità – specie delle donne con disabilità intellettiva – tende ancora ad essere considerata come un aspetto da tenere sotto controllo, da negare o inibire in molti casi, e non come una componente della vita che ogni persona deve legittimamente poter esprimere.
Nonostante anche lei abbia fatto parte di una delle famiglie più potenti d’America, la sua storia è ancora poco conosciuta, ed è proprio questo il motivo che ha indotto le due Autrici a scriverne la biografia.
«Un cognome celebre, ma un’esistenza dimenticata», sintetizza Marina Marazza, in una nota posta a conclusione del volume. «[…] la storia che raccontiamo è autentica e documentata, ci sono solo poche “licenze creative” che non vanno a modificare i fatti. I dialoghi scritti da Marina sono quanto di più verosimile si possa immaginare. Il risultato spero sia qualcosa da leggere con interesse e con passione, ma anche con lo spirito critico che va dedicato a una denuncia: quello che è stato fatto a Rosemary gridava vendetta», precisa Simona Capodanno, nella medesima nota. E aggiunge: «Una vita passata per la maggior parte nell’immobilità, seduta su una sedia a rotelle, relegata in una casa di riposo. Eppure, Rosemary non è rimasta in silenzio, il suo grido ha raggiunto i cuori dei suoi potenti fratelli e sorelle ed è stato in grado di compiere un piccolo grande miracolo, trasformando per sempre la loro percezione delle disabilità. Un lascito immenso anche per tutti noi [grassetto nostro nella citazione, N.d.R.]».
Jack, infatti, andrà a trovare sua sorella al Santa Coletta solo nel 1958, in occasione di una tappa della campagna presidenziale nel Wisconsin, e rimase talmente impressionato dalle sue condizioni da riproporsi che, se fosse diventato presidente, avrebbe proposto interventi a tutela delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Una volta eletto Presidente, tenne fede alla promessa, attuando una lunga serie di riforme destinate alle persone con disabilità, stanziando ingenti fondi per la ricerca sulle malattie mentali, creando enti, scuole ed associazioni.
Anche il fratello Ted, senatore del Massachusetts per oltre quarantasette anni, ha varato numerosissime leggi a favore delle persone con disabilità, tra le quali va citato innanzitutto l’ADA, l’Americans with Disabilities Act, che proibisce la discriminazione delle persone con disabilità, tutelandone la presenza in tutte le aree dell’occupazione, dello studio e dello sport.
E ancora, Jean, l’ultima dei nove fratelli Kennedy, morta nel 2020, ex ambasciatrice americana a Dublino, ha contribuito alla causa della disabilità, fondando la VSA, Very Special Arts, organizzazione no-profit che ha lo scopo di dare alle persone con disabilità la possibilità di partecipare e godere delle arti. Attraverso essa ogni anno, in cinquantadue Paesi, persone di tutte le età e abilità partecipano a programmi di musica, danza, arti visive, teatro e arti letterarie.
Ma fu soprattutto con Eunice e con i suoi figli (in particolare Anthony e Timothy Shriver) che Rosemary riuscì ad instaurare un bellissimo rapporto di grande affetto reciproco. Ed è stata Eunice, dagli Anni Sessanta in avanti, ad intraprendere una serie di iniziative per i ragazzi e le ragazze con disabilità, come i campi estivi per i/le giovani con problemi mentali, lanciati nel 1962, e gli Special Olympics, lanciati a Chicago nel 1968, ossia le Olimpiadi dedicate ad atleti/e con disabilità intellettiva che oggi allenano e fanno gareggiare più di cinque milioni di atleti/e con disabilità di oltre 170 Paesi in tutto il mondo [dell’avvio degli Special Olympics nel 1968 si legga ampiamente anche sulle nostre pagine, N.d.R.].
Attualmente gli Special Olympics sono riconosciuti dal CIO, il Comitato Olimpico Internazionale, ed hanno come presidente Timothy Shriver, il figlio di Eunice.
«Non è davvero poco quello che Rosemary è riuscita a ispirare ai suoi fratelli e sorelle, e poi ai suoi nipoti. Senza muoversi, senza quasi parlare, ha condotto la sua rivoluzione muta, in grado di sovvertite e smuovere gli animi. La vita di Rosemary Kennedy merita di essere conosciuta non solo per rendere a lei un po’ di giustizia postuma, ma soprattutto, come diceva sua sorella Eunice parlando di quella che riteneva la sua missione, “per rendere il mondo un posto migliore”», si legge nella parte conclusiva dell’opera.