Stiamo seguendo ormai da molto tempo, sulle nostre pagine, il percorso del quarto Protocollo Aggiuntivo alla Convenzione di Oviedo (Convenzione sui Diritti Umani e la Biomedicina), redatta nel 1997 dal Consiglio d’Europa, che ormai da almeno tre anni sta suscitando dure reazioni a livello internazionale, da parte delle principali organizzazioni impegnate sul fronte della disabilità, che ne denunciano quelle che vengono ritenute come vere e proprie violazioni della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità.
Ebbene, quel percorso è ora alla viglia di un passaggio decisivo, se è vero che il 2 novembre prossimo la bozza di quel Protocollo dovrebbe essere posta in votazione dal Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa e in tal senso va segnalata la più recente azione di cui informa l’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, promossa da dieci componenti dell’Intergruppo sulla Disabilità del Parlamento Europeo e della Coalizione per la Salute e il Benessere Mentale, che hanno inviato congiuntamente una lettera (disponibile integralmente in inglese a questo link), invitando lo stesso Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa ad astenersi dall’adottare quella bozza.
Questa lettera, spedita il 25 ottobre scorso, è in realtà solo l’ultima di una serie di azioni a livello europeo e anche italiano, promosse in questi anni. Basti ricordare, ad esempio, l’altra lettera inviata tre anni fa al Segretario Generale del Consiglio d’Europa, da parte del citato EDF, insieme all’ENUSP (Rete Europea degli (ex-) Utenti e Sopravvissuti alla Psichiatria), ad Autism Europe, a Inclusion Europe, all’MHE (Mental Health Europe) e all’IDA (International Disability Alliance), nella quale si esprimevano «le più profonde preoccupazioni e contrarietà» all’adozione di quel progetto di Protocollo Aggiuntivo, sottolineando che «qualsiasi autorizzazione al trattamento coatto e all’istituzionalizzazione delle persone con disabilità costituisce una violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, in particolare degli articoli 14 (Libertà e sicurezza della persona), 15 (Diritto di non essere sottoposto a tortura, a pene o a trattamenti crudeli, inumani o degradanti), 17 (Protezione dell’integrità della persona) e 25 (Salute)».
Nonostante che le successive opposizioni e le azioni di pressione si siano letteralmente allargate a macchia d’olio, coinvolgendo un numero sempre maggiore di organizzazioni, il tutto nel quadro della campagna denominata #Withdraw Oviedo (“Ritirare Oviedo”), i quarantasette Stati Membri del Consiglio d’Europa hanno continuato a sostenere i lavori su quel progetto di Protocollo, arrivando appunto all’approvazione di un progetto definitivo che, come detto, dovrebbe ora essere messo ai voti il 2 novembre.
Nel nostro Paese, e su invito del FID (Forum Italiano sulla Disabilità), si era mossa anche la FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), inviando una lettera formale al Presidente del Consiglio Draghi e ai Ministri Speranza (Salute), Di Maio (Affari Esteri e Cooperazione Internazionale) e Stefani (Disabilità), ricordando innanzitutto a propria volta, le preoccupazioni e l’opposizione alla bozza di Protocollo Aggiuntivo «espresse dal Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone con Disabilità, dal Relatore Speciale sui Diritti delle Persone con Disabilità, dal Relatore Speciale sul Diritto alla Salute, dal Gruppo di Lavoro delle Nazioni Unite sulla detenzione arbitraria, da molte organizzazioni di persone con disabilità, organizzazioni per la salute mentale e per i diritti umani, dal Commissario per i Diritti Umani e dall’Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa».
Un ulteriore importante “mattone” alla campagna mirata al ritiro di quel Protocollo si era poi avuto nella primavera scorsa, quando Mauro Palma, responsabile del Garante Nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, aveva aperto così una comunicazione formale inviata al Presidente del Consiglio Draghi, ai Ministri della Salute e delle Disabilità Speranza e Stefani e alla Viceministra degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Sereni: «Il Garante Nazionale esprime le sue forti perplessità su alcune formulazioni contenute nel testo [di quel Protocollo], così come viene formulato, associandosi alle perplessità già espresse da altri attori istituzionali e associativi».
Riprendendo quindi quanto riportato nel giugno dello scorso anno, in sede di presentazione della propria Relazione Annuale al Parlamento, con posizioni già espresse in precedenza anche in un incontro a Strasburgo con Christos Giakoumopoulos, direttore generale dello Human Rights and Rule of Law del Consiglio d’Europa, il Garante aveva esposto anch’egli una serie di punti di contrarietà rispetto al contestato Protocollo, soffermandosi innanzitutto sui due ritenuti fondamentali: «il trattamento sanitario obbligatorio e il ricovero non volontario della persona con disabilità mentale». Il Protocollo, infatti, «dovrebbe aiutare gli Stati che lo ratificano a introdurre una regolamentazione di tipo normativo che, nell’àmbito dei trattamenti non volontari, produca una concreta protezione dei diritti umani e della dignità della persona. Dovrebbe altresì contenere una chiara affermazione dei principi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità e testimoniare lo sviluppo e la diffusione di una cultura psichiatrica che si vorrebbe lontana dal ricorso a misure coercitive, e dall’internamento istituzionalizzante della persona con disabilità psico-sociale».
Un ulteriore aspetto che al Garante aveva destato notevoli perplessità era stato «il riferimento all’ammissibilità di restrizioni della libertà “nell’interesse della pubblica sicurezza, della prevenzione del crimine e della protezione dei diritti e delle libertà altrui», mentre «nella Convenzione di Oviedo tali restrizioni non sono previste se non relativamente a esigenze di tutela della persona stessa. Infatti, l’articolo 7 della Convenzione stessa stabilisce che “la persona che soffre di un disturbo mentale grave non può essere sottoposta, senza il proprio consenso, a un intervento avente per oggetto il trattamento di questo disturbo se non quando l’assenza di un tale trattamento rischia di essere gravemente pregiudizievole alla sua salute e sotto riserva delle condizioni di protezione previste dalla legge comprendenti le procedure di sorveglianza e di controllo e le vie di ricorso».
E ancora, un altro punto critico, sempre secondo il Garante, riguardava la previsione nella bozza del Protocollo del cosiddetto Involuntary Placement (“sistemazione non volontaria”): «Non solo desta stupore la previsione di ciò, ma lascia perplessi anche la genericità e l’indefinitezza del concetto stesso, così come la mancanza dell’indicazione esplicita di quale debba essere il luogo del ricovero (si parla solo di appropriate environment [“ambiente appropriato”, N.d.R.]) e dei termini di durata massima. In tale modo, si lascia un ampio margine di interpretazione del ricovero non volontario, esponendo la persona con disabilità mentale al rischio di internamento o di ricovero in luoghi inappropriati per la sua stessa finalità, che è sempre la cura della persona».
«A questo proposito – è la conclusione di tale passaggio – è da rilevare la mancata esplicitazione dello scopo del ricovero obbligatorio in alcune parti del Protocollo. Sebbene sia un dato di fatto che ancora oggi, in alcuni Paesi d’Europa, esistano luoghi di internamento per persone con disabilità mentale, è da evidenziare il rischio che una previsione di luoghi di ricovero obbligatorio inserita nel Protocollo in modo così generico, senza previsione di eccezionalità e in assenza di una finalità terapeutica e di cura esplicitate, possa di fatto consolidare l‘esistenza di tali luoghi e non avviarne il processo di chiusura, come è avvenuto invece, quarant’anni fa, in Italia».
E da ultimo, ma non certo ultimo, il Garante aveva scritto che, «proprio per riportare come questo tema abbia caratterizzato la discussione in molti ambienti attenti alla questione psichiatrica e delle disabilità psico-sociali, occorre sottolineare che il concetto culturale che è stato – ed è tuttora – al centro dei diversi punti di vista è quello sulla legittimità stessa di “trattare” una persona contro la sua volontà».
Tornando dunque alla lettera inviata in questi giorni al Comitato di Bioetica del Consiglio d’Europa dai dieci componenti dell’Intergruppo sulla Disabilità del Parlamento Europeo e della Coalizione per la Salute e il Benessere Mentale, i sottoscrittori hanno ribadito che «se adottato, quel Protocollo, basato su un obsoleto modello medico di disabilità, andrebbe contro l’impegno dell’ampia maggioranza degli Stati Membri del Consiglio d’Europa, che ha firmato e ratificato la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità». «Invece – hanno aggiunto – la nostra proposta è quella di sviluppare raccomandazioni per promuovere la disponibilità e l’accessibilità dei servizi di salute mentale basati sul consenso libero e informato della persone».
Seguiremo naturalmente i prossimi sviluppi della questione. (Stefano Borgato)