Dopo la nostra prima riflessione sulla Nona Relazione sullo stato di attuazione della Legge 68/99 [la Legge 68/99 reca “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”, N.d.R.], depositata in Parlamento all’inizio di quest’anno e riguardante gli anni 2016, 2017 e 2018, proseguiamo in questo nuovo contributo l’analisi di tale documento, parlando degli avviamenti al lavoro.
Le persone con disabilità occupate, dunque, sono il 35,8%, mentre il 20,7% è in cerca di un’occupazione e il 43%, amareggiato e deluso, ha oramai rinunciato. Si tratta di dati che non rispondono nemmeno lontanamente ai bisogni occupazionali di circa un milione di persone con disabilità iscritte al Collocamento Disabili, ma che sottacciono anche una serie di aspetti da chiarire meglio, per rappresentare e comprendere la reale situazione in cui versa il sistema di collocamento italiano. Molte domande, infatti, non hanno una risposta, né esiste una banca dati aggiornata in tempo reale che consenta di comprendere meglio come vengono assunti i lavoratori con disabilità.
Ad esempio: qual è la durata dei rapporti di lavoro? Nel caso dei lavoratori con disabilità, possiamo dire con assoluta tranquillità che la quasi totalità, più del 95% dei contratti di accesso al mondo del lavoro, sono a tempo determinato. Le aziende, infatti, sono estremamente prudenti nell’assumere persone con disabilità, così come lo sono nel trasformare il rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Altro quesito: il rapporto di lavoro è part time o a tempo pieno? La quasi totalità dei contratti sono part time. Le aziende, infatti, assolvono l’obbligo di legge assumendo lavoratori al 51 % dell’orario previsto dal contratto di lavoro, regola, questa, che vale per tutte le aziende con più di 35 dipendenti, mentre quelle che hanno dai 15 ai 35 dipendenti possono rispettare la legge assumendo lavoratori anche per 6 ore alla settimana, purché essi abbiano una percentuale di invalidità pari o superiore al 50%.
E ancora: quando si parla di incremento o di calo dell’occupazione non si parla mai di ore lavorate, ma di numero di contratti stipulati o di nullaosta rilasciati dagli Uffici Provinciali.
La Nona Relazione di cui si parla riporta un numero di inserimenti pari a 39.229: ma corrispondono ad altrettanti lavoratori? No. Fatta eccezione, infatti, per i pochi avviamenti numerici (che avvengono quando l’ azienda non assolve autonomamente agli obblighi assuntivi previsti), la quasi totalità si autocolloca, trova un lavoro tramite le agenzie private, o viene inserita tramite i Servizi Territoriali promossi dai Comuni, dalle ASL ecc. Si tratta dunque di un sistema che non riesce a collocare più di 20/30.000 persone all’anno e che lascia esclusi tutti quelli che hanno disabilità complesse, determinate da problemi intellettivi, mentali o da malattie rare.
Questa situazione peggiorerà al termine del blocco dei licenziamenti e della pandemia. Quanti degli attuali occupati sono stati inseriti prima dell’anno 2000 attraverso il vecchio collocamento obbligatorio? Non si sa! Ma sappiamo che il 53,7% degli occupati hanno superato i 50 anni, e che vengono conteggiati come inserimenti realizzati dal nuovo Collocamento Disabili, ossia dopo l’anno 2000. Quanti hanno avuto una proposta di lavoro? E quanto hanno dovuto attendere prima di averla? Non è possibile avere un dato ufficiale, tuttavia il percepito e le testimonianze ci dicono che la quasi totalità, nonostante i lunghi anni di attesa, non è mai stata contattata dal Collocamento Disabili. A chi può servire, dunque, un Collocamento così?
Dalle risposte e dalle non risposte si evince un sistema di collocamento del tutto inefficace, burocratico e spesso anche di ostacolo all’inclusione lavorativa. Questo a prescindere dalla buona volontà dei singoli operatori. Una situazione che ci ha esposto a critiche da parte di organismi internazionali, da quegli stessi che avevano elogiato il sistema italiano e la Legge 68/99.
In vent’anni siamo riusciti a cancellare la stima degli altri Paesi e la fiducia delle centinaia di migliaia di persone con disabilità in cerca di lavoro.
Ma ora c’è il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, 4,4 miliardi di euro, che diventeranno 4,9 con i fondi del programma React EU (Recovery Assistance for Cohesion and the Territories of Europe). 880 milioni sono già stati versati alle Regioni per investirli nel collocamento pubblico. Pertanto arriveranno risorse economiche e personale in quantità e potremo quindi tornare a sperare di dare un’occupazione a chi ha bisogno di lavoro. Ma sarà proprio così?
Dai primi provvedimenti e dalle sortite dei Ministri interessati si può comprendere che le risorse verranno affidate a quegli stessi che hanno portato al fallimento dell’intero sistema del collocamento dei disabili. Si finanziano Centri per l’Impiego che non funzionano, senza alcun intento di riformare queste inefficaci strutture regionali. Si è deciso di sfornare le obsolete e inutili Linee Guida previste dal Decreto Legislativo 151/15, parlare di accomodamenti ragionevoli, di smart working ecc., come strumenti risolutori di tutti i problemi occupazionali. Pensieri estemporanei, non inseriti in un quadro strategico di riforma del sistema, espressi da esponenti politici che parlano senza alcuna competenza e che ascoltano tecnici senza alcuna esperienza. Non una parola pertinente che affronti una sola delle cause che hanno portato al fallimento, non un’idea o una scelta che possa indicare nuove vie. Venditori di fumo che addormentano le coscienze e non disturbano politici e parti sociali prive di idee e interessate ai selfie con i personaggi politici di spicco. Personaggi superficiali, ignari del fatto che la disabilità richiede modestia e rispetto. Si imparino ad ascoltare i portatori di bisogno, solo così si troveranno le soluzioni ai loro problemi!
Partendo quindi dalle riflessioni stimolate dalla Nona Relazione sulla Legge 68/99, chiediamo: norme che uniformino i Servizi Provinciali su tutto il territorio nazionale; una banca dati nazionale; un aggiornamento della stessa Legge 68/99; un efficace piano formativo per gli operatori addetti; il riconoscimento e la formazione di una nuova e indispensabile figura professionale, il Disability Job Supporter, in grado di curare la transizione dalla scuola al mondo del lavoro, di accompagnare al lavoro le persone con disabilità e di sostenere le aziende nella gestione della disabilità/lavoro; e ancora, politiche attive nazionali promosse dall’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro); la creazione di sistemi territoriali per il lavoro (non reti inefficaci) che vedano il coinvolgimento del pubblico, del privato, e del privato sociale; e infine il coinvolgimento del Terzo Settore. Solo così torneremo ad essere un modello per l’Europa, uscendo dalla trappola delle politiche passive, e daremo una risposta a chi è disperatamente in cerca di lavoro, rendendo protagoniste del loro collocamento le stesse persone con disabilità.
Non aspettiamo! Non stiamo a vedere cosa faranno! Perseguiamo ogni strada per farci sentire, per farci ascoltare! Non fidiamoci di chi dice che lavora per noi!
Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco è oggi direttore generale dell’ANDEL (se ne legga la presentazione sulle nostre pagine), l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (marino.botta@andelagenzia.it).
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