Il 25 novembre si celebrerà la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne e, come per altre ricorrenze analoghe, viene da interrogarsi sull’utilità di questi eventi, sull’interesse dell’ultimo minuto che passa quando il minuto è passato e ci rivediamo alla prossima Giornata. Non è tutta retorica, anche se di retorica se ne vede tanta, e a distinguere non ci vuole poi molto. Basta verificare se quelle facce le vedi anche tra una Giornata dedicata e l’altra… ecco, se ci sono anche nei giorni non deputati questo è un indizio di autenticità.
Possiamo salutare con favore che negli ultimi anni si parli maggiormente anche della violenza sulle donne con disabilità, prima non se ne parlava nemmeno retoricamente. Oggi il fenomeno ha assunto una dimensione pubblica, non estesissima, a dire il vero, ma va messo in conto che il progresso è una via lunga come una strada americana.
Nell’immaginario collettivo la violenza è quella fisica – le botte – o quella sessuale, e anche su questa è frequente che si tenda minimizzare. Com’eri vestita? Che ci facevi lì a quell’ora? Gli hai dato confidenza? Sono le domande fin troppo consuete che le donne si sentono rivolgere – talvolta anche da donne – quando trovano il coraggio di parlarne. La violenza psicologica invece potrebbe essere un’esagerazione. Quella economica… perché, esiste?
Guardo le Associazioni di persone con disabilità, una base di volontariato dove il femminile è molto rappresentato, ma molto meno nei Direttivi. Ci sono Associazioni attive da diversi decenni che non hanno mai avuto una donna alla Presidenza Nazionale. Non scendete in piazza a manifestare il 25 novembre, viene da dire. Non organizzate la mostra, il convegno, l’evento. Non che non servano, non è questo il punto, servirebbero anche, davanti al niente il qualcosa è più di niente. Ma servirebbe di più mettere in discussione gli assetti di potere all’interno delle Associazioni. Sarebbe più utile, ad esempio, impiegare quella giornata ad introdurre il vincolo che nei Direttivi vi sia «rappresentanza bilanciata di genere», come per altro previsto dalla Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità per la composizione del Comitato sui Diritti delle Persone con Disabilità (articolo 34, comma 4).
Ma che c’entra questo con la violenza? Beh, la violenza è un’erbaccia che prospera nella disparità. Se a casa nostra continuiamo a tenerci cara la disparità, la violenza la stiamo annaffiando. Non importa agirla in prima persona, basta continuare a tenere le donne sempre un gradino sotto e il gioco è fatto. In questo modo stiamo comunicando che le donne sono “esseri inferiori”. Se le trattassimo da pari, non starebbero certo un gradino sotto.
Non si può raggiungere la parità senza rompere gli equilibri consolidati. Le prime donne che chiedevano il diritto di voto venivano derise, ridicolizzate e insultate, qualche volta anche picchiate. Franca Viola, la prima donna italiana a rifiutare il matrimonio riparatore, dopo essere stata violentata, nel 1965, da Filippo Melodia (nipote del mafioso Vincenzo Rimi e componente di una famiglia benestante), subì molteplici intimidazioni e minacce. Possiamo presumere che la rottura degli equilibri all’interno delle Associazioni delle persone con disabilità non porti certo a esiti così violenti e traumatici come quelli degli esempi riportati. E proprio per questo sarebbe ora di iniziare a mettere a tema il sessismo all’interno delle Associazioni, sessismo di cui il mancato rispetto della parità di genere nei direttivi è solo una delle espressioni più vistose. Questo sì che sarebbe un modo di celebrare il 25 novembre fuori dalla retorica!
Per approfondire ulteriormente i temi riguardanti le donne con disabilità, oltre a fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, suggeriamo di accedere, nel sito del Centro Informare un’h, alle Sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità e Donne con disabilità.