«La vita finisce solamente se io credo che quella parte di me che non c’è più era la più importante e il cammino insegna questo: a lasciar andare ciò che non c’è più per abbracciare e fare spazio a ciò che c’è ora»: è questo, in estrema sintesi, il senso, o meglio uno dei tanti significati, dell’esperienza di Pietro Scidurlo, quarantatreenne di Somma Lombardo (Varese), pioniere in Italia del trekking di lungo raggio per persone con disabilità.
Il binomio “sedia a rotelle-camminare” non è una contraddizione in termini, anzi, con la giusta dose di determinazione è diventata un’opportunità, una realtà tangibile per tanti pellegrini con disabilità che hanno trovato la giusta molla per partire lungo gli itinerari storici che attraversano l’Europa e l’Italia, grazie alla volontà di Pietro e dei collaboratori di Free Wheels, l’Associazione che ha fondato per supportare il desiderio di intraprendere esperienze di trekking seguendo i percorsi della fede e della cultura.
In effetti Pietro «è un camminatore che cammina, un viaggiatore che attraversa luoghi e vite e da essi si lascia attraversare»; ha percorso il Cammino di Santiago di Compostela in handbike per la prima volta nel 2012, un sogno realizzato che ha ripetuto altre tre volte. Avrebbe potuto tenere quei viaggi per sé, come arricchimento personale, invece ha arricchito la vita di altre persone che non trovavano risposte alle loro esigenze sui canonici canali di informazione, scrivendo a quattro mani con Luciano Callegari la Guida al Cammino di Santiago per tutti (Terre di Mezzo Editore, 2015), la prima e finora unica guida sull’accessibilità della Rotta Jacobea (sempre con la stessa casa editrice ha di recente pubblicato Per chi vuole non c’è destino (2020), di cui è autore assieme a Stefano Femminis, giornalista e responsabile della comunicazione della Curia di Milano.
In questa intervista, alla quale hanno contribuito i collaboratori di Free Wheels, ci racconta di sé, del passato che l’ha condotto fin qui e del futuro che lo vede impegnato con l’Associazione, per incrementare sempre più la presenza di viaggiatori con necessità specifiche. Un lavoro soprattutto culturale, per aprire un nuovo sguardo a chi, dalle Istituzioni agli operatori turistici, opera lungo le grandi arterie storiche, culturali e di pellegrinaggio, anche nella nostra Italia.
È cominciato tutto con la lettura di un romanzo, Il Cammino di Santiago di Paulo Coelho. Quando ha iniziato questo libro, chi era Pietro Scidurlo e chi era a lettura conclusa?
«Pietro, prima e dopo la lettura era esattamente la stessa persona. L’unica cosa che stava iniziando a cambiare era la sua prospettiva di vita, il modo di guardare al futuro, un domani non più basato sul caso, ma con un sogno da realizzare: percorrere la Rotta Jacobea».
Il suo primo pellegrinaggio lungo il Cammino di Santiago di Compostela risale al 2012, quasi 1.000 chilometri in handbike. Quale l’emozione prima della partenza e quella all’arrivo?
«Prima di partire le emozioni che si susseguirono non furono sempre e solo positive. Di fatto una settimana prima di partire il suo (primo) compagno di viaggio lo abbandonò senza grandi motivazioni. Ma proprio in quei sette giorni di conto alla rovescia il destino di Pietro cambiò molto velocemente, come se non potesse più sfuggire ad un impegno preso con la vita. Dall’incertezza della partenza alla presa di consapevolezza che da lì in poi non sarebbe più potuto tornare indietro. Allo stesso modo di quando, raggiunto l’Oceano Atlantico, comprese quale fosse davvero la sua strada».
In tasca aveva un sasso portato da casa, anche quello ha trovato significato lungo il viaggio…
«“Raccogli un sasso prima della partenza. Al momento giusto, saprai cosa farne”. Queste le esatte parole di un amico appena tornato dal Cammino. E così fece: raccolse quel sasso, lo chiuse in una sacca dello zaino e lo portò con se per oltre 650 chilometri, esattamente come un peso nella vita in attesa di liberarsi di esso. Ma come, dove e perché sarebbe avvenuto, l’avrebbe deciso solo la sua strada».
Ha ripercorso il Cammino altre tre volte. Quali le differenze rispetto alla prima esperienza, sia a livello emotivo che pratico? Chi accompagna Pietro in queste imprese?
«“Ogni volta che si chiude lo zaino e si parte, nulla sarà uguale a prima: né lo zaino, né la strada, né noi”, dice Pietro. Nonostante il percorso del Cammino Francese sia sempre lo stesso, cambia ogni giorno, così come noi, come le persone che incontriamo e i luoghi che attraversiamo consentendoci di sviluppare nuove consapevolezze. Siamo passi e storie, cadute e rialzate, salite e discese su una strada che solo alla fine ci mostrerà dove ci ha condotto.
Non ama far parlare di imprese come se i suoi passi fossero le “gesta di un eroe”. È un camminatore che cammina, un viaggiatore che attraversa luoghi e vite e da essi si lascia attraversare. Un uomo che parte con chi desidera condividere con lui un momento o un pezzo di strada; e che a volte parte da solo, nella consapevolezza di poter avere delle difficoltà e nella certezza che lungo la Via troverà compagni di strada che gli tenderanno una mano».
Quali incontri gli sono rimasti nel cuore? Ha incrociato altre persone con disabilità?
«Il cammino è un’esperienza di incontro, come non incontrare persone?! E tra queste – soprattutto negli ultimi anni – anche con disabilità o altre forme di necessità attorno alle quali costruire il proprio viaggio. Persone che lo hanno aiutato e a cui lui ha offerto aiuto. Gerard era un uomo sordo che veniva da Avignone e Pietro un pellegrino che parlava francese e spagnolo. Per questo Gerard chiese a Pietro, attraverso la lettura labiale, di aiutarlo a comunicare con gli altri. Come questo… tantissimi altri».
Com’è nata l’idea della Guida al Cammino di Santiago per tutti? Com’è strutturata questa guida e qual è la situazione dell’accessibilità lungo il percorso?
«L’idea di una guida per tutti nasce proprio dalla voglia di Pietro di dare risposte a chiunque avesse questo sogno in modo da non farlo restare all’interno di un cassetto e in modo che più persone senza distinzione potessero essere catapultate in un mondo che può davvero cambiarti. La guida presenta tre itinerari possibili: quello storico, quello adatto per le carrozzine da fuori-strada e quello asfaltato per le biciclette».
Si tratta della prima e finora unica guida europea dedicata al Cammino di Santiago destinata a “persone con esigenze speciali”, come le chiama Pietro, perché ognuno di noi, disabile e non, presenta necessità peculiari. La consigliereste quindi anche ai pellegrini senza disabilità?
«La domanda – ci perdoni – contiene un errore: le persone con disabilità hanno bisogni specifici per cui è errato definire le loro esigenze speciali, bensì appunto specifiche. Però può essere che in qualche altro articolo ci sia stato un refuso e – come da lei trovato – abbiano indicato Pietro quale autore di una dicitura errata. Noi di Free Wheels [l’Associazione fondata da Pietro Scidurlo di cui si parlerà ampiamente più avanti in questa intervista, N.d.R.) siamo tutti molto attenti all’uso delle parole, perché esse sono importanti.
Per quanto sappiamo, non potremo sempre vivere di rendita, non abbiamo inventato l’acqua calda ma Santiago per tutti, a distanza di sei anni dalla sua pubblicazione, per conto di Terre di Mezzo Editore e per mano di Pietro Scidurlo e Luciano Callegari, rappresenta ancora oggi quello spartiacque dove da un lato c’era l’incapacità di affiancare concetti come disabilità e trekking a lungo raggio, e dall’altra una visione nuova di questo tema che ha poi sancito un vero e sostanziale cambiamento culturale.
Da allora circa 8.000 persone con necessità specifiche, di cui oltre il 65% con disabilità, si sono rivolte a Free Wheels per intraprendere la peregrinazione jacopea e questa pubblicazione è stata da molti, viaggiatori e critici, considerata quel valido strumento ancora latitante, capace di infondere quel misto di sicurezza/concretezza che ha consentito a tante persone di intraprendere questa esperienza.
Moltissimi camminatori che oggi vivono questo cammino, magari anche in compagnia di persone a mobilità ridotta, si sono rivolti a Free Wheels per avere consigli, farsi spedire la guida, essere aiutati nella consultazione. Peccato che poi – come accaduto anche recentemente – si leggano articoli su gruppi di persone con disabilità che non menzionano questo libro, eliminando ogni possibilità aggiuntiva di far conoscere quella pubblicazione che li ha aiutati – per primi – a partire.
Una foto della guida nelle loro mani, una citazione del libro non toglie vigore o autenticità alla loro esperienza, anzi la fortifica e consentirebbe ad altri di seguire le loro orme. Peccato che ciò non avvenga. In questi – fortunatamente pochi – casi di mancata condivisione, crediamo che il Cammino abbia insegnato loro poco».
Quante sono nel mondo le vie di pellegrinaggio percorse ogni anno da migliaia di persone?
«In Italia ogni giorno nascono cammini o itinerari che vorrebbero fregiarsi di questo titolo, ma costruire una via che poi venga percorsa da migliaia di persone non è una cosa semplice. Altrettanto elencare le più note camminate perché qualcuno potrebbe sentirsi escluso. Certamente un cammino, per essere vissuto, deve garantire alcuni aspetti: sicurezza, segnaletica, ospitalità e ovviamente accessibilità. Pochi sono quelli veramente strutturati, ancor meno quelli accessibili».
In Italia abbiamo la Via Francigena che conduce a Roma, sappiamo che uno dei vostri prossimi sogni è una guida per tutti anche per questa antica strada di pellegrinaggio che attraversa la nostra penisola. A che punto è la realizzazione del progetto?
«La Via Francigena, Itinerario Culturale del Consiglio d’Europa, è di certo uno dei più lunghi cammini del continente e del nostro Paese e giorno dopo giorno si sta strutturando sempre più per essere accogliente per tutti. Dopo avere pubblicato la guida su Santiago, è vero che ci piacerebbe firmare una guida accessibile anche per questa grande Via, ma il lavoro da fare è un’epopea. In Spagna erano 1.000 chilometri circa con quattro grandi città. La Via Francigena in Italia è lunga il doppio e non si annoverano il numero di ospitalità, povera e turistica, che ci sono nelle tantissime città attraversate. Solo a Lucca ci saranno oltre 150 bed and breakfast, per fare un esempio. Per vederli tutti ed esprimersi in merito alla loro accessibilità serve tanto tempo. Immaginate di provare a fare la stessa cosa su luoghi come Siena, Roma e tantissime altre località turistiche toccate dall’itinerario.
Rendere la Via Francigena un percorso per tutti è un cammino stesso da fare a tappe. Ad oggi abbiamo fatto alcuni lavori lungo l’itinerario e quello in Lazio è di certo il più strutturato. Grazie a questo progetto abbiamo reso disponibile un percorso accessibile da Acquapendente a Roma, oltre 140 chilometri per tutti.
Ma l’accessibilità non è fatta solo di infrastruttura: bisognerà lavorare sulle ospitalità di questo tratto e sui servizi, per poi passare a farlo sulle altre Regioni. È un progetto scalabile e serviranno anni per giungerci. Iniziare a lavorarci oggi ci consentirà di esser considerati pionieri domani».
Per fare un viaggio di questo tipo con ridotta mobilità immagino non si possa guardare soltanto all’accessibilità delle strutture di accoglienza, ma anche a quella della strada vera e propria: si incontrano terreni accidentati e fangosi, pochi metri possono pregiudicare la percorribilità di un’intera tappa. Cosa si può fare su questo fronte?
Come già detto, l’accessibilità non è una strada percorribile da tutti, non è una struttura ricettiva e non sono solo e soltanto una serie di servizi al turista. È un vero e proprio treppiede laddove se una delle tre gambe cede, ne viene compromessa l’intera struttura.
Se per un momento vogliamo ragionare solo sull’infrastruttura – per rispondere in modo inequivocabile alla sua domanda – è esattamente così: pochi metri possono invalidare l’intera tappa. Se abbiamo un percorso su tratturo pianeggiante e a metà di esso è presente un dislivello di 40 centimetri rappresentato da due scalini in pietra, l’intero percorso diventa non percorribile in autonomia da persone a mobilità ridotta. Eppure, sistemare quei 60/80 centimetri di itinerario, rendendo più dolce il passaggio, non avrebbe grandi costi e sarebbe più comodo per tutti.
Cosa si può fare, dunque, e cosa facciamo noi? Si può segnalare la difficoltà a chi si occupa del percorso, a chi lo promuove e a chi ne tiene la giurisdizione. Noi nel frattempo cerchiamo delle varianti, quanto più sicure possibili, verso un nuovo sterrato o un asfalto, che permettano nel frattempo a tutti di percorrere la tappa».
L’Associazione Free Wheels, presentata al Consiglio d’Europa di Strasburgo come “buona pratica per gli Itinerari Culturali”, aiuta tutte le persone a intraprendere esperienze di trekking lungo gli itinerari europei della fede. Avete avviato collaborazioni con le Istituzioni, per rendere fruibili questi percorsi a tutti i pellegrini?
«Giusto per pulire il campo da informazioni parziali, grazie alla riforma degli ETS (Enti del Terzo Settore), le ONLUS non esistono più e Free Wheels giuridicamente è una OdV (Organizzazione di Volontariato). L’esperienza, il riconoscimento, le collaborazioni con l’Istituto degli Itinerari Culturali del Consiglio d’Europa sono stati fondamentali per sancire – coralmente – che le persone con bisogni specifici che fanno turismo sono turisti e come tali hanno una ricaduta – non indifferente – sui territori.
Le sole persone con disabilità in italia sono circa 10 milioni e oltre 127 milioni in Europa, un mercato che potrebbe attivare oltre 4 milioni di posti di lavoro e avere un Prodotto Interno Lordo (PIL) di circa 140 miliardi di euro; una fetta di mercato purtroppo ancora congelata, nonostante esistano buone pratiche di pionieri che dimostrano come investire su questa direttrice rappresenterebbe non solo un grande salto culturale per l’intero Paese, ma una scelta economica vincente.
Free Wheels, assieme a tante altre voci, crede che tutto ciò sia possibile e che pian piano questo passaggio avverrà. Oggi l’aspetto dell’accessibilità è attuale ed è stato – ad esempio – inserito nel PST, il Piano Strategico del Turismo del Ministero, oltre che considerato all’interno dei nuovi bandi del PNRR (Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza).
Da anni Free Wheels collabora con Enti ed Istituzioni e tantissimi altri partner (ne citiamo solo alcuni, come l’AEVF, l’Associazione Europea Vie Francigene, l’OdV Sentieri di Felicità, Movimento Lento, Radio Francigena, A.Mo.Do., Terre di Mezzo Editore e tanti altri), per far si che i cammini – tutti i cammini – siano presto un’esperienza per tutti.
Ad oggi abbiamo reso possibili oltre 3.000 chilometri di percorsi in tutta Europa e 10.000 persone si sono rivolte a noi per incamminarsi. Tutto questo non avremmo potuto farlo senza l’aiuto e la vicinanza di attori come loro, che su temi di questa portata non scendono a compromessi».
Avete già percorso la Ciclovia Francigena da Somma Lombardo (Varese) a Roma, viaggio concluso con l’accoglienza da parte del ministro della Cultura Dario Franceschini e l’abbraccio di Papa Francesco, e poi il tratto da Acquapendente (Viterbo) a Roma, quest’ultimo oggetto del documentario A ruota libera. In base a queste esperienze, come valuta la fruibilità della Via Francigena in Italia?
«La Via Francigena è l’asse europeo ed italiano più lungo, toccando 5 Stati, 16 Regioni e più di 600 Comuni per oltre 3.200 chilometri. Poterne percorrere un quarto, dalla sede di Free Wheels a Roma, con il duplice obiettivo di guardare il percorso con gli occhi di persone con disabilità da un lato (eravamo in cinque viaggiatori e tre di noi avevano bisogni specifici) e far sì che chi si occupa dell’itinerario considerasse la presenza e l’interesse di un nuovo pubblico anche sui cammini italiani dall’altro, ci ha permesso già nel 2016 di essere tra i primi ad avere un’idea chiara delle potenzialità e delle difficoltà che questo bellissimo cammino aveva e ha tutt’oggi per chi ha qualche difficoltà in più.
Noi abbiamo seguito il percorso ciclistico, pensato e progettato non esattamente per persone con disabilità, ma tanto meno per ciclisti “della domenica”. Alcuni tratti, per orografia territoriale, non potevano essere altrimenti; chi come Pietro Scidurlo (CEO di Free Wheels e autore di Terre di Mezzo Editore) costruisce itinerari sa che trovare la giusta distanza tra sicurezza e possibilità – per tutti – non è sempre facile. Si fa ciò che il territorio permette: non siamo qui per stendere lingue di cemento nei parchi, ma per trovare alternative e quando esse non esistono, per garantire la prima forma di accessibilità che andrebbe assicurata: quella alle informazioni.
La Via Francigena – ripercorrendo lo Stivale – in un certo punto deve scollinare la catena appenninica e questo, al pari del confine elvetico-italiano per il Colle del Gran San Bernardo, non è un passaggio semplice. Passare dall’Emilia-Romagna (Fiorenzuola d’Arda) alla Liguria (Sarzana) chiederà a chiunque, indistintamente, di scavare sul fondo delle proprie energie.
Ma come spesso capita a chi fa di questa modalità di turismo uno stile di vita, il vero cuore pulsante sta nell’accoglienza: molte sono le ospitalità, non solo private, ma anche municipali e religiose, che stanno abbracciando l’aspetto dell’accessibilità e se in alcuni casi troviamo luoghi pronti con ogni sorta di comodità, in altri casi sono le persone a fare la differenza. Ci è capitato molte, moltissime volte di trovarci in luoghi ameni, ma nulla che un sorriso, il sudore e l’apertura al dialogo per migliorarsi non abbia poi successivamente sbarrierato. In ogni forma e significato che il termine può assumere.
Ma ci sono anche aspetti meno belli da raccontare, che devono però farci riflettere su quanto ancora ci sia da lavorare. Uno di questi è l’accessibilità dei servizi al viaggiatore: bar, ristoranti, farmacie, fontane e quant’altro di più potremmo menzionare che non sempre sono fruibili anche da persone a ridotta mobilità. Questo è senza dubbio un neo del nostro Paese e che attraverso l’esperienza del cammino si può toccare con mano.
Poi però ci sono occasioni come A ruota libera, non solo un documentario, ma un vero e proprio viaggio di ricerca di un percorso per tutti, reso possibile da una grande squadra: dalle Agenzie Turistiche (ATI) coinvolte, ai professionisti che abilmente sono stati capaci di raccontare al meglio il lavoro di Free Wheels; dalle Associazioni del territorio che si sono attivate per portare ai nostri occhi i passaggi migliori, alle persone che ci hanno aperto le loro case; un esempio su tutti è una delle pochissime ospitalità a donativo ancora aperte sul tratto laziale. La Domus Peregrini di Montefiascone (Viterbo), casa di Immacolata e Franco che da anni aprono le loro porte, come un tempo, a noi viaggiatori erranti e che dell’accoglienza povera – nel senso più ricco del termine – hanno fatto una scelta di vita. L’importanza del territorio in progetti come questo è determinante.
Per tutti questi elementi invitiamo tutti a vivere l’esperienza del Cammino e la Via Francigena. Perché se a oggi non è accessibile, la presenza di viaggiatori con necessità specifiche può solo arricchire il panorama delle storie che si susseguono su un cammino di mille anni e più e far aprire un nuovo sguardo a chi opera per e su queste grandi vene emozionali della nostra Italia».
Tra le iniziative in cantiere per il 2022, vi è il cammino della Francigena da Fidenza (Parma) a Montecatone, presso Imola, in provincia di Bologna, sede del centro specializzato nella riabilitazione di pazienti con esiti di gravi lesioni spinali e cerebrali. Un viaggio con un alto valore simbolico di rinascita, per il cammino in se stesso e per la meta finale…
«Il viaggio è essenzialmente sinonimo di cambiamento e chiunque subisce un tale trauma come il non camminare più, ha bisogno di credere ancora, anzi, di credere nuovamente in qualcosa e di capire che la propria vita non si esaurisce con una limitazione fisica, ma comincia in modo diverso, ricomincia appunto. La vita finisce solamente se io credo che quella parte di me che non c’è più era la più importante e il cammino insegna questo: a lasciare andare ciò che non c’è più, per abbracciare e fare spazio a ciò che c’è ora. Questo processo non sempre avviene, perché conta molto anche il comportamento delle persone vicine e la loro resistenza al cambiamento e per questo è importante far comprendere che non c’è niente di più potente della nostra volontà di superare ogni limite».
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