La tragica sorte di Giovanni Manna, persona con malattia di Alzheimer deceduta dopo avere “abbandonato” l’Ospedale Gemelli di Roma, indica, ancora una volta, come la sorte delle persone con disabilità sia spesso legata al mancato rispetto dei loro diritti.
L’intera vicenda, iniziata il 20 novembre, è particolarmente complessa e gli accertamenti legali sono ancora in corso. Penso sia possibile riassumerla molto succintamente così: la persona in oggetto si sente male a casa propria, viene accompagnata dai figli in ospedale e lasciata in ospedale, affidandola al personale in servizio; esce dall’ospedale e viene trovata morta, alcuni giorni dopo, tra la vegetazione, in un luogo pubblico a 4 chilometri dall’ospedale, previo avvistamento dall’elicottero.
La stampa locale, la stampa nazionale, i telegiornali delle reti pubbliche e private, i programmi settimanali (ad esempio Chi l’ha visto?) dei media generalisti si sono occupati di quanto accaduto e, naturalmente, le versioni sono molteplici, ma solo parzialmente discordanti.
I familiari del defunto si sono affidati ad un legale e si è avviato, da parte della Procura, un procedimento; alcune ammissioni di responsabilità sarebbero state avanzate da parte dell’Ospedale.
Chi scrive non ritiene di avere titolo per esprimere valutazioni strettamente giuridiche. Ritiene invece di averne circa il mancato rispetto dei diritti delle persone con disabilità e come conoscitore della materia (basti pensare agli svariati articoli pubblicati su queste pagine o all’organizzazione di convegni di portata nazionale sul tema, uno fra tutti quello del 2007 a Loano, intitolato Leggi, diritti e legittime aspettative delle persone con disabilità e delle loro famiglie).
In particolare nell’articolo intitolato Da ricordare bene in caso di ricovero del 30 aprile 2007, cioè quattordici anni fa, riassumevo le precauzioni necessarie o comunque fortemente auspicabili che le famiglie avrebbero potuto/dovuto seguire in casi del genere e nulla lascia credere che la famiglia Manna non le abbia seguite, commettendo, se è possibile esprimersi così, un solo errore: non conoscere perfettamente i diritti delle persone con disabilità.
Per farla breve, i familiari avevano il diritto di accompagnare il signor Giovanni sull’ambulanza (magari sarebbe stato meglio avere dietro una certificazione di handicap grave ai sensi della Legge 104/92, articolo 3, comma 3, e un Decreto del Tribunale di nomina dell’amministratore di sostegno o tutore, se tali situazioni ricorrevano nel caso specifico): tali documenti, infatti, avrebbero attestato in maniera forte e chiara il proprio diritto anche nei confronti del personale ospedaliero. E quanto sopra anche “in tempo di Covid”, rispettando rigorosamente le procedure previste dai vari DPCM*.
Avendo passato negli ultimi anni più ore in Rianimazione che nel proprio letto di notte, a fianco di mia figlia Silvia, persona con grave disabilità [se ne legga, ad esempio, in “Un mese in Rianimazione, oggi”, N.d.R.], chi scrive condivide e partecipa al lutto della famiglia Manna e ne sostiene, per quel che vale il suo sostegno, i diritti.
*In particolare, si legge nel DPCM (Decreto del Presidente del Consiglio) del 2 marzo 2021 che «gli accompagnatori dei pazienti in possesso del riconoscimento di disabilità con connotazione di gravità ai sensi dell’art. 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104 possono prestare assistenza anche nel reparto di degenza nel rispetto delle indicazioni del direttore sanitario della struttura» (se ne legga sulle nostre pagine a questo link).