«La nostra ambiziosa missione è quella di trasformare l’immaginario e la narrazione della disabilità, mutando la società e abbattendo gli stereotipi, perché non ci sono vite destinate solo alla cura e all’assistenza: pensiamo che ogni vita, anche di chi può comunicare solo attraverso un puntatore oculare, abbia diritto ad essere messo nelle condizioni di poter prendere decisioni, di poter essere parte attiva della propria esistenza, del proprio percorso verso la felicità, costruendo autonomia e condivisione»: a scriverlo nel web è Valentina Perniciaro, madre di Sirio, ragazzo con disabilità, e presidente della Fondazione Tetrabondi, nata grazie a una raccolta fondi nel web e della quale si è già parlato molto, anche a livello internazionale.
A curare una lunga intervista con la stessa Valentina Perniciaro è stata Zoe Rondini.
Cara Valentina, tu hai costituito la Fondazione Tetrabondi che si propone di diffondere un linguaggio della disabilità schietto e senza retorica. Inoltre la Fondazione promuove un approccio diverso, concreto e vitale, incentrato sulla persona, i diritti e le opportunità. Tale visione vuole essere di supporto nel quotidiano delle persone con disabilità e delle loro famiglie. Ci vuoi raccontare meglio questa mission, da quale “esigenza” è nata e come la portate avanti?
«Ho cominciato a raccontare la nostra quotidianità, perché cercavo di aiutare le altre famiglie. Navigando in rete mi sono resa conto che mancavano dei racconti ironici sulle disabilità. La rete è utile a mettere in contatto le persone: ho trovato supporto anche nei vari gruppi Facebook. Una delle mie più care amiche l’ho conosciuta nella pagina Facebook Tracheostomy; entrambe cercavamo consigli su come gestire le emergenze, come affrontare la quotidianità o fare “follie”, come ad esempio andare al mare. Ecco, la rete ci ha permesso di avere supporto e scambiarci consigli tra mamme. Nelle mie ricerche non trovavo però un racconto, che fosse ironico, su una situazione estremamente complessa come quella di Sirio. È stato Nilo, il mio figlio più grande, ad avere l’idea di aprire una pagina di Sirio dove postare video divertenti del fratello. È nato così un racconto ironico sulla nostra vita.
Mi ricordo che quando abbiamo iniziato a raccontare sui social, Sirio aveva fatto i suoi primi passi; aveva 5 anni. Nei suoi primi anni di vita, i medici che lo seguivano dicevano che non si sarebbe mai mosso. Il nome Tetrabondi è venuto in mente a me e a Nilo: anni fa sognavamo di comprare un truck food [camioncino itinerante dotato di cucina, N.,d.R.,]e girare il mondo, poi le cose sono andate diversamente… Nella pagina di Tetrabondi cerchiamo di raccontare la nostra famiglia che tenta di essere comunque felice.
Sirio è un bambino irriverente, simpatico e consapevole delle sue difficoltà. La nostra è una battaglia di presenza: Sirio ha la bava, è storto, è un “mostro” eppure noi ci siamo, siamo nel mondo, ci vogliamo stare con la nostra voglia di correre, anche se non sappiamo camminare! Eccoci, ci raccontiamo per quello che siamo!
Dopo il nostro “esordio” in rete, altre famiglie si sono unite nel raccontare non solo i bisogni, ma soprattutto il desiderio di vivere pienamente la vita».
Uno dei vostri obiettivi è quello di promuovere un nuovo concetto di disabilità che ne rivoluzioni l’approccio. In Italia si parla da anni di inclusione, dovremmo essere uno dei Paesi più sensibilizzati, ma c’è ancora una forte discrepanza tra leggi, dibatti e realtà dei fatti. A tuo avviso cosa manca o cosa si potrebbe migliorare per l’inclusione e una maggior qualità della vita per le famiglie dove vi è una persona con disabilità?
«Per garantire maggiore inclusione e diritti ci sarebbe bisogno di una maggiore cultura sociale. Sarebbe necessaria una vera e propria rivoluzione culturale che sovvertisse completamente il modo in cui l’intera società osserva le varie vulnerabilità, dalle più lievi alle più complesse.
Noi l’inclusione la pretendiamo in ogni contesto. Ciò detto, il tutto deve essere compreso in primis da chi si occupa della riabilitazione e dell’assistenza delle persone con disabilità. Spesso, infatti, manca in queste figure professionali la fiducia per la persona che hanno davanti. Al di là della diagnosi e della riabilitazione, gli specialisti non tengono presenti i desideri, il progetto di vita della persona e della famiglia. Molte volte si mette in atto un approccio riabilitativo, sulla base dei protocolli nell’àmbito della neuroriabilitazione e della paralisi cerebrale o di un danno celebrale alla nascita. Così facendo, però, non si tiene conto che ogni situazione è diversa e avrebbe il diritto di essere trattata secondo la sua unicità. I vari interventi scolastici, medici, terapeutici e a favore dell’inclusione sociale, dovrebbero pertanto essere personalizzati.
Un bambino come Sirio raramente lo si incontra in giro, negli spazi pubblici. Spesso non sono ammessi nella scuola dell’obbligo, poiché in situazioni di gastrostomia e tracheostomia non gli viene fornita l’assistenza infermieristica che gli permetterebbe una vita più normale possibile. Non incontrando, quindi, i “tanti Sirio” che ci sono nel mondo, gli altri non accedono al fatto che ci siano tante possibilità diverse di ridere e di vivere».
Sirio, dunque, ha dei problemi per la leggerezza dei medici. Ti va di spiegare la sua situazione? E se te la senti, c’è qualcosa che vorresti dire al medico che lo ha dimesso troppo presto?
«Sirio è nato molto prematuro, alla trentesima settimana con dieci settimane d’anticipo. Nonostante ciò, la sua condizione clinica era ottimale: alla nascita il respiro era spontaneo. Nella sua prima settimana di vita è stato tenuto in incubatrice in un reparto semintensivo, fino al raggiungimento del peso adeguato. In questa fase non ha mai avuto bisogno del sostegno respiratorio. Nonostante ciò, in quel periodo ha avuto diversi crolli a livello respiratorio, anche se non è stato mai intubato. Soffriva di forti bradicardie che ci dicevano essere tipiche per un prematuro. Ha avuto un iter burrascoso, ma non diverso da altri prematuri. Tutti lo chiamavano “la Ferrari del reparto”. Il primario lo usava come esempio di ciò che si vede raramente in medicina, questo perché era un “prematuro puro” cioè non ha avuto problemi da questa condizione.
Poi lo dimettono un mese prima del previsto, pesava un chilo nove e ottanta. Il primo controllo era fissato dopo una settimana. Eravamo felici di essere tutti a casa un mese prima del previsto, ma questa felicità è durata pochissimo, poiché la mattina del 4 ottobre 2013 Sirio ha avuto una “morte in culla”. Infatti, dopo avere portato il fratello Nilo a scuola, quindi nell’arco delle prime ore del mattino, mi sono accorta che Sirio non respirava. Corriamo in ospedale dove viene rianimato. E questo è l’inizio della sua seconda vita. I medici del pronto soccorso non si spiegavano come mai un bimbo così piccolo fosse stato mandato a casa.
Ci sono tante cose che vorrei dire al medico che ha dimesso Sirio troppo presto. Quell’uomo non mi ha più guardato in faccia, malgrado abbia avuto Sirio come paziente per altri quattro mesi. A lungo abbiamo meditato sulla possibilità di far valutare le cartelle cliniche e far causa al reparto. È stata una decisione faticosa. Si trattava della più importante Neonatologia d’Italia: non sarebbe stato facile trovare un neonatologo disposto a firmare una relazione che parlasse degli errori commessi. Sarebbe stata una causa complicata, poiché i protocolli della Neonatologia sono molto labili. Abbiamo quindi scelto di dedicare le energie e le risorse economiche a nostro figlio. Vorrei però sottolineare che la causa non avrebbe avuto nulla di penale: chiedevamo un risarcimento per garantire a Sirio un futuro decente. Ci siamo messi molte volte nei panni di quell’équipe medica e probabilmente se fossi stata al loro posto mi sarei comportata come loro.
So per certo che Sirio ha fatto da spartiacque per quell’ospedale. Nei cinque mesi che siamo stati li, infatti, nessun neonato con un peso inferiore ai due chili è stato dimesso. Nell’ospedale era scattato un “protocollo Sirio”. Nel nostro caso la leggerezza di quella decisione la pagheremo per tutta la vita. La paga e la pagherà soprattutto mio figlio. La cosa più importante è che certe situazioni non riaccadano ad altri ed è anche auspicabile che quando si dimette un paziente come Sirio, lo si faccia istruendo la famiglia. Noi abbiamo imparato a rianimare e abbiamo rianimato il nostro bambino decine e decine di volte; penso che con la giusta preparazione potevamo fare il minimo indispensabile al momento della “morte in culla”».
Tu sei una mamma molto giovane e vitale di due bellissimi bambini, Nilo e Sirio. Come ha fatto la tua famiglia a rimanere unita e a fare squadra tutti insieme?
«Come famiglia ti assicuro, Zoe, che siamo un bel casino! Forse siamo rimasti uniti perché siamo stati in grado di chiedere e pretendere aiuto. Senza le dieci ore di assistenza domiciliare al giorno forse saremmo impazziti. Per fortuna io e Paolo, mio marito, abbiamo vissuto la situazione supportandoci. Lui ed io abbiamo due vite e due età completamente diverse! Abbiamo vent’anni di differenza, ma siamo entrambi battaglieri e siamo persone che non si danno per vinte: non possiamo immaginare un figlio senza nessuna possibilità di sbocco. La rivoluzione di Sirio nel voler cambiare il mondo è stata la forza che ci ha unito. Ogni piccolo grande traguardo non sarebbe possibile senza la forza di tutti. Il profondo rispetto e la stima reciproca ci da la forza di supportarci.
C’è anche da dire che è difficile perché siamo molto soli: io ho perso mia madre dopo un anno che Sirio è stato dimesso per la seconda volta dall’ospedale. Mia madre era “la nonna giovane”, “la nonna tata”, “la nonna pazza e divertente” che avrebbe dato a Nilo la spensieratezza e la serenità che merita. Abbiamo perso lei e tante altre figure. La nostra famiglia è sempre in emergenza, non ha mai tregua, Nilo è cresciuto così, per questo è un bimbo molto diverso dagli altri, molto intelligente, ma anche fragile e molto ribelle. Rimanere uniti è una battaglia quotidiana».
Mi hanno colpito la tua vitalità e il tuo sorriso. Ci sono genitori che scappano di fronte alla disabilità dei figli e altri che iniziano con la grinta e vitalità, ma poi, con il subentrare di altre vicende personali e negative, gettano la spugna. Hai mai paura che ti possa capitare ciò? C’è qualcosa che vorresti dire a chi “fugge” di fronte alla disabilità del figlio/a?
«Malgrado mi ritenga una persona determinata, che non si tira indietro di fronte a tante battaglie, ho paura che mi possa capitare di perdere la grinta e la vitalità con la quale affronto la disabilità di Sirio. A volte mi immagino Sirio adulto, io anziana e ho paura di ciò. Mi sono lanciata nell’avventura della Fondazione Tetrabondi proprio per cercare di costruire un futuro che faccia meno paura. L’intento è di mettere mio figlio in condizioni di autodeterminarsi malgrado l’assistenza della quale avrà sempre bisogno.
Alle persone che fuggono vorrei dire che la solitudine è inevitabile quando la vita viene stravolta a livello relazionale, sociale… Bisogna essere sempre forti per “frantumare e distruggere” – voglio usare queste parole forti – l’isolamento e l’autoisolamento. L’affacciarsi dell’isolamento è inevitabile, ma non deve avere la meglio sulle nostre vite. È importante reagire, alzare la testa malgrado tutto. Non bisogna smettere di cercare la propria felicità: conosco coppie che dopo la nascita di un figlio con disabilità hanno smesso di fare l’amore. Non volevano distogliere le attenzioni dal figlio. È basilare curare la relazione nella coppia e non smettere di sentirsi donne. Così facendo si cerca di non soccombere al dolore».
Come ti immagini Sirio e suo fratello Nilo tra quindici anni?
«È una domanda complessa. Tra quindici anni Nilo ne avrà 27, sarà un uomo diverso dagli altri, oggi è già un adolescente diverso dagli altri. Mi colpisce la sua sensibilità e la sua voglia di vivere una Vita un po’ sfrenata, senza regole. Tutto ciò è la reazione di avere accanto una Vita ipercontrollata e ipermedicalizzata. Immagino Nilo in futuro come un ragazzo ribelle. Ora è un paladino della giustizia e un lottatore dei diritti dei deboli, spero che continuerà su questa strada.
Allo stesso tempo mi auguro che diventi un ragazzo Libero di fare le sue scelte, Libero da suo fratello, Libero di abbandonarci. Temo che tutto questo non lo sarà mai, cosicché un mio grande rimpianto è di aver messo al mondo un uomo che forse non sarà mai libero. Mi auguro che andrà a scoprire e scegliere tutto il mondo che lo aspetta al di fuori della nostra famiglia; l’idea che non sarà così mi spaventa moltissimo. Se penso di non avere dato vita ad una persona liberà provo rabbia e frustrazione.
Per il futuro di Sirio ho meno paura perché già ora che ha solo 8 anni ha un carattere determinato e irriverente. Mi auguro che nonostante tutto, riesca, da grande, a conquistare una sua privacy».
Come vive le terapie Sirio? Te la senti di raccontare i punti di forza e ciò che potrebbe essere migliorato?
«Sirio è uno dei più grandi “lavoratori della storia”. Lavora sodo da quanto ha quattro mesi di vita, come hai fatto anche tu Zoe e come i bambini che sono costretti ad essere manipolati e sotto terapia da quando nascono. Mio figlio, da quando comunicava solo con gli occhi – ciò che è stato per tanto tempo della sua vita -, ha sempre dimostrato entusiasmo verso le terapie riabilitative. Da queste è riuscito a “strappare” sempre tanto, con buon umore. La lotta che abbiamo fatto noi genitori, e che ha portato i suoi frutti, è stata quella di cercare di avere una continuità con le stesse terapie. Siamo riusciti a costruire una famiglia nell’équipe che con amorevolezza e competenza segue Sirio. Un consiglio che vorrei dare a gli altri genitori è di fidarsi dei terapisti. Molte volte le famiglie cambiano persone ed entrano in contrasto con l’equipe riabilitativa; ciò non giova a nessuno».
E la scuola, come la vive Sirio?
«La scuola è per lui un’esperienza positiva. Noi lo abbiamo iscritto all’asilo a tre anni contro il parere di tutti. Nessuna scuola voleva accettarne l’iscrizione, ci consigliavano di aspettare fino alla scuola dell’obbligo. Noi genitori ci siamo imposti e direi che l’inserimento è stato molto positivo. Abbiamo costruito un buon rapporto con il personale scolastico, anche se non è stato semplice avere una continuità con le educatrici, ma ce l’abbiamo fatta.
Alle elementari si è presentata la sordità di Sirio e con tutta la classe è stato intrapreso un percorso giocoso per imparare la Lingua dei Segni. È una strada essenziale, perché ha dato a mio figlio una completa autonomia di comunicare con i compagni. Da ciò abbiamo poi deciso di iscriverlo al tempo pieno delle elementari.
Capisco i suoi sforzi tra lo studio, la logopedia, la fisioterapia, la disfagia… è un percorso faticoso, ma Sirio lo affronta con gioia: il mettersi in gioco, l’essere competitivo gli permette ti fare tanti passi in avanti».
A proposito di autonomia e fase adulta, per fortuna Sirio ha un bel caratterino… In altri casi le persone con disabilità non riescono a farsi rispettare da chi si dovrebbe prendere cura di loro al di fuori della famiglia (ad esempio badanti o personale di istituti e case famiglia). Altre volte le famiglie desiderano il meglio per i loro figli, ma temono che essi, per vari motivi, non si facciano rispettare. O ancora succede che la famiglia dica «sei adulto, cavatela da solo/a», ma non sempre essere adulto vuol dire cavarsela in tutte le situazioni… Che consiglio ti senti di dare a queste famiglie?
«Non è facile dare consigli alle altre famiglie in quanto ogni persona e ogni bambino ha la sua storia, ogni situazione è diversa dall’altra… Sicuramente è importante fornire tutti gli strumenti possibili che possano tirar fuori il carattere della persona e quindi la sua possibilità di farsi rispettare. È importante che la persona sia messa nelle condizioni di comunicare le esigenze, i bisogni, i rifiuti. La prima forma di autodeterminazione è il “NO” più del “SI’”. Quindi è importante mettere sempre la persona nelle condizioni di dare il proprio riscontro, fornire le proprie emozioni su una determinata situazione. Penso sia fondamentale aiutare le persone a “strappare autonomia” e a stimolarle a tirar fuori la loro personalità e il loro carattere.
Riguardo alla fase adulta, sono ancora meno in grado di dare consigli, poiché non solo non la conosco ancora, ma come puoi immaginare mi spaventa. Ritengo importante il saper chiedere aiuto e il saper delegare: non pretendere, come genitore, di dover fare tutto per il proprio figlio. Per riuscire a cavarsela da soli, le persone con disabilità devono avere qualcuno accanto che permetta loro di essere il più possibile autonomi. È una strada che va costruita insieme e spesso l’orgoglio dei genitori che pensano di farcela sempre da soli è controproducente perché nessuno ce la può fare totalmente da solo».
Ti va di parlare del crowdfunding [raccolta fondi nel web, N.d.R.] per sostenere i progetti della Fondazione Tetrabondi?
«Il crowdfunding dei Tetrabondi è nato dai consigli di varie persone che mi spingevano a fare questo “salto”.
Tempo fa abbiamo cominciato a raccontarci sui social network. Da un giorno all’altro siamo diventati virali: il video di Sirio che entrava a scuola da solo, trascinando in modo buffo e goffo lo zaino, ha fatto il giro del mondo. Era la prima riapertura delle scuole durante la pandemia, non ci aspettavamo tanta attenzione verso questo video, quando c’erano notizie ben più importanti. L’agenzia di stampa «Reuters», ad esempio, ha fatto un servizio su di noi che è stato tradotto in diverse lingue. C’è stato un crescendo di interesse, da parte di varie TV, per le nostre narrazioni ci hanno contattato la RAI, Discovery Channel… e perfino il Papa. Si è scatenato di tutto intorno a noi, capisco che tanto interesse non era rivolto ad un unico e semplice video di Sirio che entra a scuola da solo, ma per il nostro modo di raccontare diversamente la disabilità. Tutto ciò mi ha dato l’input per farmi coraggio e cercare di strutturare un’attività con la quale promuovere dei progetti.
Consigliata da amici, tra i quali degli avvocati, ho deciso dunque di dare vita ad una Fondazione di partecipazione, che non ha alcun scopo di lucro, con una struttura forte, per portare avanti tanti progetti nell’àmbito del Terzo Settore.
Per costituire una Fondazione servono dagli 80.000 ai 100.000 euro, chi mi consigliava di costituire una Fondazione, quindi, mi ha suggerito di fare partire un crowdfunding. Perfino la squadra di calcio della Roma voleva sostenere la nascita della nostra Fondazione: hanno fatto un servizio televisivo con Sirio durante una loro partita. Nella stessa settimana è uscito anche il servizio su di noi con l’intervista del Papa, abbiamo cercato di prendere la palla al balzo e lanciare la nostra campagna di raccolta fondi. Nell’arco di pochi giorni la raccolta fondi ha superato la cifra da noi sperata. Migliaia di persone ci hanno dimostrato il loro affetto oltre a sostenerci economicamente. Tutto ciò mi ha dato molta fiducia nel progetti che vogliamo portare avanti. Forse è la prima Fondazione nella storia di questo Paese che nasce totalmente dal basso!
Come Fondazione abbiamo pochi mesi di vita, ma già abbiamo realizzato degli eventi in piazza. Per ora è una bella storia perché siamo riusciti a creare una miscela tra mondi diversi che normalmente non si incontrano».