Quel che significa uno Stato di Diritto

di Salvatore Cimmino
«I princìpi fondamentali di uno Stato di Diritto - scrive tra l’altro Salvatore Cimmino - sono la legalità, la garanzia dei diritti umani, dei diritti civili e dell’uguaglianza. Pertanto, in uno Stato di Diritto non si dovrebbero abbandonare le persone con disabilità con le loro famiglie perché non ci sono i soldi e uno Stato di Diritto è e dovrebbe essere un luogo senza barriere, fisiche e sociali, dove una persona con disabilità non viene considerata come una spesa che grava sulla comunità»

Bilancia della giustiziaChe cosa significa Stato di Diritto? Nell’accezione più ampia, con questa espressione si indica il tipo di Stato dove vige il primato della legge sul potere: è la legge che conferisce il potere e ne regola il comportamento. I princìpi fondamentali di uno Stato di Diritto sono dunque la legalità, la garanzia dei diritti umani, dei diritti civili e dell’uguaglianza.
Pertanto, in uno Stato di Diritto non si dovrebbe impedire ai bambini di andare a scuola e non si dovrebbero abbandonare le persone con disabilità con le loro famiglie perché non ci sono i soldi.
Uno Stato di Diritto è e dovrebbe essere un luogo senza barriere, fisiche e sociali, dove al centro c’è la persona con il suo volto, il suo nome e le sue peculiarità. In uno Stato di Diritto una persona con disabilità non viene considerata come una spesa che grava sulla comunità, ma una mano da stringere, una sfida che la scienza deve raccogliere.
E ancora, uno Stato di Diritto è e dovrebbe essere il luogo dove le risorse, i traguardi raggiunti dalla ricerca e la potenza delle tecnologie non sono e non dovrebbero essere orientate a moltiplicare i guadagni, a imporre un dominio, ma a diventare l’occhio per i non vedenti, il dispositivo protesico per gli amputati, l’apparecchio acustico digitale per i non udenti, l’esoscheletro per i paraplegici, il software vocale per i tetraplegici. E infine la personalizzazione di ogni ausilio che corrisponda alle esigenze delle molteplici disabilità.

I tempi sono maturi per rivedere i LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e il Nomenclatore Tariffario, lontani dai principi della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, per garantire ausili e dispositivi protesici ad ogni persona, adeguati alle loro esigenze, e farle uscire, finalmente, dall’invisibilità.
L’unica strada oggi percorribile credo sia quella di uno strumento legislativo che equipari gli accadimenti nella vita – l’invalidità civile – con gli infortuni sul lavoro. Consapevole che non sarà un traguardo facile, che la strada da intraprendere sarà lunga e piena di insidie, sono tuttavia convinto che sia l’unica capace di condurci a quella mèta tanto desiderata: la fine della “prigionia delle disabilità” e la completa libertà di scegliere la riabilitazione a noi più congeniale.

Parafrasando la nostra Costituzione, la sovranità risiede nella nazione, quindi nello Stato di Diritto: non più sovrani per “diritto divino”, bensì, il popolo è sovrano.

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