Non si può comprendere appieno la portata rivoluzionaria della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09) senza conoscere ciò che essa dispone in materia di capacità legale delle persone con disabilità, perché proprio dal riconoscimento e dall’esercizio di tale capacità dipende il godimento dei diritti umani e delle libertà fondamentali enunciati dalla Convezione stessa. Ma la piena comprensione del dettato normativo può risultare complessa per chi – come chi scrive – non ha una specifica formazione giuridica. Per questo risulta utile e preziosa l’analisi dell’articolo 12 (Uguale riconoscimento dinanzi alla legge: se ne legga nel box in calce il testo integrale) della Convenzione, proposta da Maria Giulia Bernardini, ricercatrice in Filosofia del Diritto presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Ferrara, nell’opera La capacità vulnerabile (Jovene, 2021).
Con l’articolo 12, dunque, la Convenzione ONU ha istituito la capacità legale universale, riconoscendo alle «persone con disabilità il diritto di effettuare scelte, prendere decisioni sulle proprie vite e godere della piena capacità giuridica e d’agire, nonché di usufruire dei supporti che si rendono necessari all’esercizio di tale diritto», spiega Bernardini (op. cit., p. 3). Tale disposizione si applica indiscriminatamente – senza distinzioni – a tutte le persone con disabilità, dunque anche alle persone con disabilità intellettive e psichiatriche che, notoriamente, sono state – ed in molti casi sono tutt’ora – soggette a “misure di tutela” che dovrebbero, appunto, tutelarle, ma che hanno finito col configurarsi come dispositivi di esclusione e di gerarchizzazione di individui e gruppi «non paradigmatici».
Il riconoscimento della capacità legale universale si propone di superare la dicotomia tra soggetto capace e incapace, proponendo una concezione della capacità graduale e modulabile in base alle reali e specifiche esigenze del soggetto stesso. In questa prospettiva il compito del diritto è quello di garantire a ciascun soggetto il maggior grado di capacità (d’agire) al fine di tutelare l’espressione delle diverse soggettività.
Quanto il tema sia complesso e sfaccettato si capisce già dal nome dell’opera – La capacità vulnerabile – che, mettendo in connessione due termini dai molteplici significati (capacità e vulnerabilità), restituisce una realtà composita e che si presta ad essere intesa sia nel senso di capacità del soggetto vulnerabile (accezione prevalente nella pubblicazione), sia in quello di capacità suscettibile di essere vulnerata.
Il testo si articola in tre capitoli che affrontano il tema considerato sia in prospettiva teorica che in quella empirica.
Il primo capitolo contiene la ricostruzione del dibattito filosofico-giuridico e filosofico-politico che ha indagato la relazione tra capacità e vulnerabilità, e si sofferma in particolare sul percorso di transizione dal soggetto di diritto liberale (astratto, autonomo, razionale, indipendente, autosufficiente, forte) alla «svolta» rappresentata dal paradigma della vulnerabilità, che mira ad ampliare il novero dei soggetti di diritto, sino ad includere il “soggetto concreto”, con le sue differenze e le sue specificità, e che costituisce il riferente teorico della capacità legale universale instituita dall’articolo 12.
Il secondo capitolo, quindi, analizza l’articolo in questione individuando diverse ambiguità presenti nel testo e alcune questioni controverse poste dall’interpretazione radicale, accolta sia dalla cosiddetta Disability Low Doctrine [“Dottrina della disabilità”, N.d.R.], che dal Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, ma non condivisa dall’Autrice. Una delle ambiguità di cui si tratta, ad esempio, è quella relativa alla stessa interpretazione dell’espressione Legal Capacity usata nel testo.
Già nei lavori preparatori della Convenzione alcuni volevano intendere tale espressione in modo restrittivo, e più precisamente come sola “capacità giuridica” (ovvero la capacità di un soggetto a essere titolare di diritti e doveri o più in generale di rapporti giuridici), mentre altri ritenevano che essa fosse comprensiva anche della “capacità di agire” (che consiste l’idoneità del soggetto a porre in essere atti giuridici validi). Bernardini ritiene che l’espressione, avendo una valenza simbolica, sia correttamente intesa includendo entrambi i tipi di capacità. Osserva a tal proposito l’Autrice: «L’aspetto simbolico sembra ancor più rilevante, tra l’altro, in relazione alla traduzione italiana dell’articolo 12, dove il richiamo alla legal capacity compare nei termini di capacità giuridica» (op. cit., pp. 54-55).
Nella sostanza l’articolo 12 della Convenzione richiede «di effettuare un bilanciamento tra la promozione dell’autonomia del soggetto con disabilità e la sua protezione, alla luce del principio di non discriminazione, a partire dall’assunto secondo il quale l’accertata presenza di un deficit (si pensi in particolar modo a quelli mentali) non può costituire valido argomento per negare presuntivamente la capacità della persona, anche nel caso in cui produca effetti sulla sua capacità decisionale» (op. cit., p. 61 [grassetti nostri nella presente e nelle successive citazioni]). Pertanto, le eventuali limitazioni alla capacità andranno stabilite (e giustificate) di volta in volta in relazione ai singoli casi, attraverso specifici provvedimenti autorizzatori, che dovranno comunque essere tesi «a valorizzare al più alto grado possibile la volontà del beneficiario» (op. cit., p. 80).
In merito all’interpretazione radicale (Thick) dell’articolo 12 della Convenzione che, come accennato, è maggioritaria, l’Autrice mostra come essa, in alcune situazioni, possa riversarsi inidonea – o addirittura controproducente – al fine di garantire l’uguaglianza sostanziale che vorrebbe promuovere. Infatti, l’insistenza nel proporre una lettura neutra della capacità del soggetto vulnerabile, senza soppesare adeguatamente l’impatto di tale impostazione nelle situazioni più severe, si presta a sfociare in forme di assimilazionismo che, occultando la specificità disabile, finiscono per danneggiare la stessa persona con disabilità. Un esempio può aiutare a comprendere meglio le implicazioni a cui si presta questo tipo di lettura.
Da un’interpretazione letterale della Convenzione consegue che tutte le persone con disabilità godono della capacità legale (giuridica e di agire) su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita. Dunque anche, ovviamente, in àmbito penalistico. Pertanto, posto che alla piena capacità consegue la piena responsabilità, siamo davvero sicuri che, sempre ad esempio, la persona con disabilità che commetta un illecito in preda ad una crisi psicotica ne debba rispondere e possa stare in giudizio esattamente come le altre persone? Certo, a questa persona andranno forniti tutti i supporti per stare in giudizio, ma sarebbe nel suo interesse non attribuire alcun rilievo alla disabilità, come sembrano sostenere alcuni degli studiosi e delle studiose che si occupano del tema (soprattutto nel contesto americano)?
L’ultimo capitolo prende in esame diversi casi concreti di soggetti esposti a discriminazione intersezionale, un tipo di discriminazione che scaturisce dalla compresenza, nella stessa persona, di più caratteristiche suscettibili di causare discriminazione fra loro interconnesse. In particolare sono considerate le prospettive delle donne con disabilità, delle persone migranti con disabilità e di quelle anziane non autosufficienti.
Le argomentazioni teoriche esposte nell’opera e gli esempi in questione hanno evidenziato come nell’epoca odierna l’atteggiamento riguardo alla capacità vulnerabile oscilli tra due poli: quello paternalistico, che mira a proteggere il soggetto ricorrendo all’incapacitazione, «e quello emancipazionista, che promuove e sostiene la capacità del singolo di agire autonomamente, indipendentemente dagli esiti (anche giuridici) delle sue azioni» (op. cit., p. 119). Di fatto questa bipolarizzazione sta determinando una fase di stallo nella riflessione teorico-giuridica sulla capacità. Un’impasse che l’Autrice auspica possa venire superata proprio a partire dalle sollecitazioni che scaturiscono dalla riflessione sulla capacità legale universale.
Quelli esposti sono solo alcuni degli aspetti considerati in una trattazione che nel complesso è condotta con rigore metodologico e coerenza argomentativa. Due i punti di forza dell’opera: l’approccio critico (Bernardini non si limita a descrivere le disposizioni e gli aspetti innovativi che esse introducono, ne indaga le incoerenze, le ambivalenze e le contraddizioni, ma, al contempo, si mostra propositiva), e l’ancoraggio alla realtà (sono innumerevoli i riferimenti al dato empirico). A ciò si aggiunga quell’“attenzione carezzevole” ai diritti umani delle persone esposte a emarginazione sociale già riscontrata in altri lavori della stessa Autrice. Una caratteristica che ben ripaga lo sforzo addizionale di comprensione che sceglie di affrontare chi, non avendo una specifica formazione giuridica, si cimenta con la lettura di questi elaborati, sapendo di trovare in essi ulteriori elementi e strumenti per promuovere una società realmente inclusiva di tutte e tutti.
Maria Giulia Bernardini, La capacità vulnerabile, Napoli, Jovene, 2021, 140 pagine.
Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità
Articolo 12: Uguale riconoscimento dinanzi alla legge
1. Gli Stati Parti riaffermano che le persone con disabilità hanno il diritto al riconoscimento in ogni luogo della loro personalità giuridica.
2. Gli Stati Parti riconoscono che le persone con disabilità godono della capacità giuridica su base di uguaglianza con gli altri in tutti gli aspetti della vita.
3. Gli Stati Parti adottano misure adeguate per consentire l’accesso da parte delle persone con disabilità al sostegno di cui dovessero necessitare per esercitare la propria capacità giuridica.
4. Gli Stati Parti assicurano che tutte le misure relative all’esercizio della capacità giuridica forniscano adeguate ed efficaci garanzie per prevenire abusi in conformità alle norme internazionali sui diritti umani. Tali garanzie devono assicurare che le misure relative all’esercizio della capacità giuridica rispettino i diritti, la volontà e le preferenze della persona, che siano scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita, che siano proporzionate e adatte alle condizioni della persona, che siano applicate per il più breve tempo possibile e siano soggette a periodica revisione da parte di una autorità competente, indipendente ed imparziale o di un organo giudiziario. Queste garanzie devono essere proporzionate al grado in cui le suddette misure incidono sui diritti e sugli interessi delle persone.
5. Sulla base di quanto disposto nel presente articolo, gli Stati Parti adottano tutte le misure adeguate ed efficaci per garantire l’uguale diritto delle persone con disabilità alla proprietà o ad ereditarla, al controllo dei propri affari finanziari e ad avere pari accesso a prestiti bancari, mutui e altre forme di credito finanziario, e assicurano che le persone con disabilità non vengano arbitrariamente private della loro proprietà.