Noi, da qui, la seguiamo quasi in tempo reale, perfino dal cellulare. Può apparire tutto molto “veloce e moderno”. Invece no, la guerra in Ucraina, come ogni guerra di ieri e di oggi, è una lenta agonia che non corrisponde al battito disperato del cuore di chi da un giorno all’altro vede sconvolta la propria vita. E, se possibile, c’è chi paga un prezzo doppio. Sono i più fragili, anziani, bambine e bambini, persone con disabilità, condizioni che spesso si intersecano.
In Ucraina vivono 2 milioni e 700.000 persone con disabilità, 82.000 sono i minori con disabilità ricoverati presso gli istituti, moltissimi anche gli adulti con problemi motori, sensoriali o intellettivi che vivono permanentemente in strutture chiuse, di fatto tagliati fuori dalla comunità. L’emarginazione che subivano anche prima del conflitto si è aggravata con la pandemia, l’invasione russa ha reso tragica la loro condizione.
Immedesimatevi: siete in carrozzina, dovete scappare dai bombardamenti, ma i rifugi hanno le scale, quindi siete costretti a restare in casa, con un rischio di morte elevatissimo. Per allontanarvi dalla città la marcia è rallentata, se raggiungete i centri di accoglienza li trovate pieni di barriere, al pari dell’accesso all’acqua, ai servizi sanitari, ai soccorsi e ai trasporti. Magari avete una disabilità visiva o uditiva, o entrambe. Come accedere alle informazioni sull’evacuazione e sulla sicurezza, se non sono state pensate per essere fruite da persone con il vostro problema?
Come in ogni situazione di grave crisi umanitaria, aumentano i pregiudizi e il rischio di violenza, soprattutto per chi ha una disabilità intellettiva e per le donne con disabilità. È arrivata la notizia di un uomo con la sindrome di Down in fuga, respinto da tre diverse frontiere e rimandato in Ucraina. Gli uomini fino ai 60 anni non possono lasciare il Paese, devono combattere, non si guarda in faccia a nessuno. Dalla NADP, l’Assemblea Nazionale delle Persone con Disabilità dell’Ucraina, è arrivata una lettera-appello, diffusa dall’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, con parole che fanno entrare nel cuore del dramma. I disabili non stanno solo scappando, c’è chi cucina pasti, dà una mano negli ospedali, se può offre riparo agli sfollati interni. Altri preparano bottiglie molotov, uniti alle forze di difesa civile. Alcuni atleti paralimpici hanno preso le armi; un padre in sedia a rotelle, volontario nella resistenza, è stato ucciso mentre difendeva la sua famiglia e la sua casa. Le organizzazioni rappresentative di settore si stanno muovendo, l’EDF ha inviato una lettera aperta alle Istituzioni Europee e ai Capi di Stato, compresi quelli di Ucraina e Russia, sollecitando attenzione per scongiurare l’abbandono dei cittadini più vulnerabili.
Esistono obblighi internazionali che garantiscono la protezione delle persone con disabilità. Oltre ai princìpi umanitari generali, c’è l’articolo 11 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, dedicato appunto alle emergenze, e la Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU n. 2475-2019. Dall’Italia è arrivato l’appello della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap) alla ministra per le Disabilità Stefani e al ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale Di Maio, per la creazione di corridori umanitari dedicati alle persone con disabilità. La FISH si è resa in tal senso «disponibile ad ogni forma di collaborazione, per favorire l’attuazione di quanto richiesto».
La condanna unanime e gli aiuti che si stanno organizzando, al centro volti e storie. Due vanno raccontate, perché il lieto fine apre un seppur piccolo spiraglio di luce.
La prima ha avuto un’ampia risonanza sui mass-media nazionali: Elisa è una bimba di 8 anni disabile originaria di Kiev, vive a Palermo dove frequenta la scuola. Con la mamma era andata in Ucraina poco prima dell’inizio delle ostilità a prendere la sorella maggiore, ma il precipitare degli eventi le aveva bloccate nel Paese. Un uomo tedesco le ha accompagnate vicino al confine polacco, diciotto ore filate di viaggio in auto con il terrore delle bombe e quello di finire il cibo per Elisa, affetta da una grave malattia intestinale. Un ospedale di frontiera le ha accolte, l’instancabile solidarietà degli amici palermitani e delle istituzioni cittadine le ha infine fatte tornare in Italia.
Vicenda simile per il piccolo Erik, un bimbo di tre mesi affetto da SMA (atrofia muscolare spinale), ora al sicuro nel Reparto di Pediatria dell’Ospedale Santa Maria del Carmine di Rovereto (Trento). È stata l’Associazione italiana Famiglie SMA, in contatto con alcune famiglie ucraine con minori affetti dalla stessa patologia di Erik, a ricevere una richiesta urgente per accoglierlo in Italia. La Provincia, l’Azienda Sanitaria Locale e il Centro Clinico NEMO di Trento, specializzato nella cura delle malattie neuromuscolari, si sono attivati per il viaggio in treno verso la Polonia, seguito da un estenuante tragitto in automobile. Ora il piccolo è curato da un’équipe medica con competenze specifiche e adeguate attrezzature.
Molti bambini hanno le stesse necessità e se salvare uno di loro è una vittoria, l’auspicio rimane quello di portarne in salvo tanti altri. Sono questi i riscontri concreti delle norme internazionali che trattano l’inclusione delle persone con disabilità nei piani umanitari, vorremmo poterne parlare più spesso.