A pochi giorni dal 2 Aprile, è forse utile aprire una riflessione intorno al significato di una ricorrenza di alto valore simbolico qual è sicuramente la Giornata Mondiale per la Consapevolezza dell’Autismo.
Un’analisi che abbia l’obiettivo di raccontare, non in chiave autoreferenziale, la realtà che le famiglie vivono ogni giorno non può prescindere, per cominciare, dai dati epidemiologici associati a questo complesso disturbo.
Con un rapporto di 1 a 77, possiamo affermare che siano almeno 600.000 le persone autistiche che vivono in Italia. Per altro, se teniamo conto anche dei nuclei familiari, formati da entrambi i genitori e da almeno un fratello/sorella, il numero, già di per sé considerevole, si impenna vertiginosamente perché, moltiplicato per quattro, restituisce una stima “terrificante” nella sua crudezza, di 2 milioni e 400.000 persone quotidianamente coinvolte.
Vale la pena sottolineare che si tratta (persino) di una stima in difetto, visto che sono poco attendibili i dati riferiti agli autistici adulti, molti dei quali – sprovvisti di diagnosi – diventano di fatto invisibili dopo i 18 anni, passando sotto la categoria generica di “handicap mentale grave”, con ciò che ne consegue!
Questa imponente fascia di popolazione è letteralmente abbandonata a se stessa. Quasi sempre sono infatti i familiari a doversi far carico degli impegni che sarebbe dovere dello Stato (di uno Stato che aspiri ad essere definito civile) assumere direttamente. È sulle esili spalle delle famiglie che grava il carico esorbitante di situazioni spesso gravose e gravosissime.
Le contraddizioni – ma sarebbe più giusto chiamarle inadempienze – sono molteplici. Nel passaggio dalla minore alla maggiore età, ad esempio, è molto carente la continuità nell’erogazione di quegli interventi specifici di cui gli autistici hanno assoluta necessità, essendo l’autismo un disturbo long life [che dura tutta la vita, N.d.R.], con la conseguente perdita di autonomie e abilità faticosamente raggiunte, accompagnate dal rischio di gravi abusi farmacologici.
Alle famiglie vengono offerte “soluzioni” di marcata impronta assistenziale, che poco o nulla hanno a che vedere con il soddisfacimento di bisogni di così elevata connotazione. I Servizi e le Istituzioni non comprendono che con l’autismo siamo davanti ad una compromissione neurobiologica complessa che rende questa patologia “altro”, rispetto a forme diverse di handicap discendenti da un disagio psichico, tale da richiedere un approccio multisistemico che – vale la pena ribadirlo – è l’antitesi del “modello” tanto caro a una larga parte della psichiatria, prigioniera di uno stigma duro a morire, fondato sulla somministrazione di massicce dosi di psicofarmaci con cui si illude di contrastare alcune delle manifestazioni più eclatanti associate al disturbo, senza minimamente indagarne le cause, legate invece, come ben sappiamo, a molteplici fattori.
È perciò oltremodo urgente che persone come i nostri figli passino dalla condizione di “paziente autistico” a quella di “Persona con autismo” che, grazie ad un vero e non solo reclamizzato progetto di vita, ad una vera e non solo reclamizzata presa in carico globale, viva con dignità e decoro il suo tempo.
Senza questo incipit culturale tutto è destinato a ridursi a mero accudimento e custodia e i nostri figli continueranno ad essere mortificati da un deplorevole silenzio che ne accelererà fatalmente il declino.
Lo Stato, anziché limitarsi ad illuminare di blu i suoi Palazzi, fingendo di mostrare il 2 Aprile l’attenzione e la sensibilità che esibisce in minima parte nei restanti 364 giorni dell’anno, riconosca, rispetti e soprattutto applichi i diritti riconosciuti a chi soffre di questa grave disabilità. Applichi le Leggi che ad oggi esistono solo sulla carta: per citarne alcune la 328/00 sul progetto di vita, la 68/99 su disabilità e lavoro, la 134/15 sull’autismo, la 112/16 sul “Dopo di Noi” (o “Durante e Dopo di Noi”).
Dia risposte concrete alla mancanza di specialisti e alla carenza di formazione specifica; favorisca l’inclusione scolastica e la continuità nell’erogazione della terapia ABA [Analisi Applicata del Comportamento, N.d.R.] anche durante l’orario scolastico; dia attuazione, dopo ben cinque anni, al Decreto sui nuovi LEA (Livelli Essenziali di Assistenza) e all’approvazione del Nomenclatore che aggiorna le tariffe per l’assistenza specialistica ambulatoriale e protesica; garantisca percorsi ospedalieri dedicati, prendendo a modello la Rete DAMA [“Disabled Advanced Medical Assistance”, ovvero “Assistenza medica avanzata alle persone con disabilità”, N.d.R.]; si impegni perché nei Pronto Soccorso siano predisposti percorsi preferenziali e vi sia personale medico e paramedico formato nell’accoglienza e nella cura delle Persone autistiche; dica basta a strutture alienanti e si adoperi per favorire la creazione di piccole comunità di tipo familiare, integrate sul territorio, in cui diventi possibile migliorare le capacità di socializzazione degli utenti conferendo loro nuove abilità, in grado, perché no?, di sfociare in un inserimento lavorativo protetto; applichi la mozione di indirizzo politico approvata il 3 marzo scorso, con voto unanime, dalla Camera; riconosca il valore e l’importanza dei caregiver, con una Legge che purtroppo tarda invece – vergognosamente – ad essere approvata.
Il 2 Aprile le televisioni e i giornali mostrino per una volta attenzione non all’audience ma alle emergenze che caratterizzano l’autismo. Diano voce non alle solite icone mediatiche, ma a quei genitori stravolti e consumati dalla fatica, che lottano ogni giorno per sopravvivere. E con loro diano spazio a quelli che sono i reali e unici protagonisti: i bambini, gli adolescenti, gli adulti con autismo. Insieme possono spezzare la retorica di questa giornata, magari attraverso parole simili a queste: «I medici hanno detto che avevo l’autismo. Mia madre mi prese le mani, mi guardò negli occhi e disse: “Tu sei perfetto”. Non temere le persone con autismo, abbracciale. Non cacciarle via dalla tua vita ma accettale perché solo allora essi brilleranno». (Paul Isaacs). O anche: «Ci vuole un villaggio per crescere un bambino. Ci vuole un bambino con autismo per elevare la coscienza del paese». (Coach Elaine Hall). Oppure ancora: «Non conosco nessuno che è totalmente autistico o puramente neurotipico. Anche Dio ha avuto alcuni momenti autistici, motivo per cui i pianeti ruotano» (Jerry Newport) o infine, alla maniera di Temple Grandin, «io sono diverso, non inferiore».
Le famiglie non possono più essere lasciate sole. A loro volta devono comprendere che solo se sceglieranno di essere protagoniste in prima persona potranno incidere significativamente sul miglioramento della qualità della vita dei loro figli. Il cambiamento non passerà mai dai palloncini blu tenuti per mano, né dai selfie con politici opportunisti che ammiccano ipocriti sorrisi di circostanza, né dai like su Facebook, né dalle facili e spesso ingiuste critiche alle Associazioni. È necessario passare dalla delega inconcludente alla partecipazione diretta, alla denuncia in tutte (proprio tutte) le sedi ove ciò si renda necessario.
Bisogna ricercare in fretta, perciò “durante noi” e non “dopo di noi” le soluzioni più adeguate. Guai ad abbassare la guardia: deve diventare, quella con i Servizi e le Istituzioni, una competizione tra pari e non impari, perché pensare il contrario è un insulto alla nostra intelligenza. Sino a quando ne avremo la forza, combatteremo questa battaglia di civiltà, perché a noi interessa solo esclusivamente il bene dei nostri ragazzi indifesi.
È ora di capire finalmente che la consapevolezza che dà titolo alla giornata del 2 Aprile è proprio quella che manca alle nostre controparti. Fuori dal coro sta a noi riprendere in mano il destino dei nostri cari. Sta a noi fare del 2 Aprile una giornata, prima ancora che simbolica, di lotta. È questo che serve davvero ai nostri figli e a noi!
Padre di un uomo con autismo (www.facebook.com/autismoIN). Autore dei libri “Mio figlio è autistico” e “L’identità invisibile. Essere autistico, essere adulto”.
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