Come segnalato nei giorni scorsi, chi scrive, come Centro Informare un’H, ha aderito al presidio organizzato per ieri, 23 marzo, davanti al Tribunale di Firenze, dall’Associazione Diritti alla Follia, per denunciare la sistematica violazione dei diritti umani di Yaska, una donna interessata da schizofrenia residente nel capoluogo toscano e che oggi ha 31 anni. Dal 4 agosto 2015, infatti, Yaska, è stata sottratta alla famiglia, istituzionalizzata, sottoposta ad interdizione e vive tuttora in uno stato di segregazione. A chi volesse conoscere maggiori dettagli sulla vicenda suggeriamo la lettura dell’approfondimento pubblicato su queste stesse pagine.
Per sottrarre Yaska alla famiglia, dunque, e in particolare alle cure della madre, Jeanette Fraga, sono stati intrapresi nei confronti di quest’ultima diversi procedimenti penali. Uno per disturbo della quiete pubblica, un altro per maltrattamenti e un terzo per sequestro di persona ai danni della figlia. Dopo che, nel 2019, Yaska era rimasta incinta – nonostante fosse già istituzionalizzata e sottoposta a interdizione –, sono stati intrapresi altri due procedimenti penali, uno nei confronti di Fabio, fidanzato con Yaska da dieci anni, per violenza sessuale, e l’altro sempre a carico di Fraga per concorso in violenza sessuale. Tutti questi procedimenti sono stati intrapresi senza mai chiedere a Yaska se effettivamente,fosse stata maltrattata, sequestrata e violentata. In particolare i procedimenti relativi alla presunta violenza sessuale sono stati presi sulla base del pregiudizio – perché di questo si tratta – che una persona con disabilità psichiatrica non sia in grado di esprimere un valido consenso ai rapporti sessuali.
Fatto sta che per i primi due procedimenti (disturbo della quiete pubblica e maltrattamenti) Fraga è stata assolta già in primo grado; per il sequestro di persona è stata condannata in primo grado ad una pena di cinque mesi con attenuanti, ha fatto ricorso in appello ed è in attesa di giudizio; nel frattempo Fabio, che ha scelto un rito abbreviato, è stato assolto dall’accusa di violenza sessuale perché «il fatto non sussiste»; e ieri, all’udienza tenutasi dinanzi al Collegio A della Seconda Sezione Penale del Tribunale di Firenze, presieduto da Virginia Mazzeo, Jeanette Fraga, che aveva scelto un procedimento separato rispetto a quello del fidanzato della figlia, è stata anche lei assolta, perché «il fatto non sussiste», dall’accusa di concorso in violenza sessuale ai danni della figlia Yaska.
Nella sostanza, dei quattro procedimenti a suo carico, ne rimane in piedi solo uno, quello di sequestro di persona, per il quale le è stata comminata una pena minima per il tipo di reato in questione (segno che anche il Giudice non fosse particolarmente persuaso della fondatezza del reato ascritto), e che verosimilmente non verrà confermata in appello. Questo vuol dire che stanno decadendo una ad una tutte le motivazioni utilizzate per sottrarre Yaska alle cure della madre, ma intanto Yaska continua a rimanere istituzionalizzata e da novembre scorso le viene pure impedito di incontrare anche gli altri parenti (la sorella, il fratello e il padre), nonostante nei loro confronti non ci sia alcun procedimento penale, e Yaska manifesti costantemente di voler vedere sia loro che la madre. Va inoltre rilevato che le due assoluzioni per i procedimenti di violenza sessuale, smentiscono le perizie tecniche secondo le quali una persona con disabilità psichiatrica non è in grado di esprimere un valido consenso ai rapporti sessuali.
Il presidio di ieri a Firenze era volto sia a sostenere Jeanette Fraga, sia a chiedere la fine della segregazione di Yaska. Questo il commento a caldo del legale di Fraga, Michele Capano: «Finisce “a tarallucci e vino” perché la Procura e il Tribunale si sono resi conto che, in nome dell’accanimento contro Jeanette Fraga, sarebbero stati coinvolti magistrati, medici, operatori: tutti a conoscenza della relazione di Yaska. Una pagina oscura, l’ennesima, nel libro nero della storia giudiziaria italiana. Chiederemo conto, in giudizio, della lesione dei diritti fondamentali alla relazione familiare che sono stati prodotti in nome di un’accusa infondata, ma nessuno restituirà a Yaska la vita perduta di una relazione d’amore criminalizzata e massacrata dalla Procura di Firenze e dal Giudice Tutelare, che hanno letteralmente terrorizzato un compagno, F.F., tanto più prezioso nella situazione di disabilità vissuta da Yaska, che ha dovuto mettersi da parte e affrontare un processo».
«È giunto il momento di “liberare” Yaska e farla uscire dalla struttura che la ospita con la forza – aggiunge Cristina Paderi, segretaria dell’Associazione Diritti alla Follia -, restituendola agli affetti familiari che da mesi non ha la possibilità di coltivare e prendendo atto che – prima e più delle relazioni psichiatriche, che anche in questo processo vengono smentite dagli esiti giudiziari – vi sono dei diritti fondamentali riguardo alle proprie scelte esistenziali che devono essere riconosciuti in ogni caso alle persone con disabilità».
Anche Alberto Brugnettini, del CCDU (Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani), presente al presidio, ha voluto commentare l’assoluzione: «Esprimiamo soddisfazione per questo esito: quando i magistrati decidono di entrare nel merito delle vicende umane, senza appiattirsi sulle opinioni espresse dagli psichiatri, i diritti umani vincono. Speriamo che, sull’onda di questa sentenza, anche la vicenda di Yaska si possa concludere velocemente».
Chiusa quindi questa brutta parentesi, il passo successivo sarà la richiesta della revoca dell’interdizione di Yaska. In questo percorso Yaska e la sua famiglia continueranno ad essere supportati da Diritti alla Follia. E tuttavia ci sono altre cose che possono fare le persone comuni, i media e l’associazionismo delle persone con disabilità. Tutti questi soggetti, infatti, possono contribuire a tenere alta l’attenzione sulla vicenda di Yaska.
Spesso le persone con disabilità e le famiglie che si relazionano con le Istituzioni si scontrano con un muro di gomma. È fondamentale far sentire che la comunità sta seguendo l’evoluzione della vicenda e che le violazioni dei diritti umani ai danni delle persone con disabili non sono tollerate. Sotto questo profilo è certamente apprezzabile che la UILDM (Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare) e la FISH (Federazione Italiana per il Superamento Handicap) abbiano aderito all’appello lanciato da Diritti alla Follia per liberare Yaska (se ne legga anche su queste pagine). Sarebbe però auspicabile che anche altre organizzazioni le seguissero. Non lasciamo sole Yaska e la sua famiglia!
Ad un altro livello, poi, dovrebbero essere le Associazioni rappresentate nell’Osservatorio Nazionale sulla Condizione delle Persone con Disabilità, che ha funzioni consultive e di supporto tecnico-scientifico per l’elaborazione delle politiche nazionali in materia di disabilità nel nostro Paese, a chiedere con urgenza l’abolizione dei più antichi istituti di tutela – l’interdizione e l’inabilitazione – perché in palese contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (rarificata dall’Italia con la Legge 18/09), e in particolare con l’articolo 12, in materia di Uguale riconoscimento dinanzi alla legge, nonché una revisione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, perché in sede applicativa anch’esso viene talvolta impiegato in modo illegittimo (se ne legga nell’approfondimento a questo link, curato da chi scrive). Va infatti ricordato che nel 2016 è stato lo stesso Comitato ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità, l’organo di esperti ed esperte indipendenti preposto a vigilare sulla corretta attuazione della Convenzione, a raccomandare all’Italia «di abrogare tutte le leggi che permettono la sostituzione nella presa di decisioni da parte dei tutori legali, compreso il meccanismo dell’amministratore di sostegno, e di emanare e attuare provvedimenti per il sostegno alla presa di decisioni» (punto 28).
La maggior parte delle violazioni dei diritti umani che ancora oggi Yaska subisce derivano proprio dalla circostanza che la sua volontà, i suoi desideri e le sue preferenze relative alle scelte che ne riguardano la vita sono sistematicamente ignorati in ragione della sua disabilità. È arrivato quindi il momento di affermare con forza ciò che prescrive la Convenzione ONU, ossia che qualsiasi decisione riguardante la vita di una persona con disabilità deve rispettare i diritti, la volontà e le preferenze della persona stessa, e ciò a prescindere dal grado e dal tipo di disabilità.
Continueremo naturalmente a seguire e a divulgare gli sviluppi della vicenda di Yaska e della sua famiglia, augurandoci di poter dare buone notizie anche sul fronte delle modifiche agli istituti di tutela in un futuro non troppo lontano.
Per approfondire i temi riguardanti le donne con disabilità, e in particolare quelli legati alla vicenda di cui si parla nel presente contributo, oltre a fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, suggeriamo di accedere, nel sito del Centro Informare un’h, alle Sezioni La violenza nei confronti delle donne con disabilità, Donne con disabilità: diritti sessuali e riproduttivi e Donne con disabilità.