A ventitré anni dal Decreto Legislativo 229/99, che con l’articolo 3 sancì il diritto ad avere prestazioni sociosanitarie integrate e rientranti nei «livelli essenziali ed uniformi d’assistenza» e a sei anni dalla Legge Regionale del Lazio 11/16 (arrivata purtroppo dopo oltre diciassette anni!), che ha dettato le Disposizioni per l’integrazione socio-sanitaria, credo sia ormai maturo il tempo che nella citta di Roma si attivino concreti passi di cambiamento verso una duratura scelta strategica di coordinamento dei diversi livelli istituzionali e un sistema cittadino di servizi integrati, partendo dalla primaria e fondamentale integrazione sociosanitaria.
Qualcuno, però, potrebbe obiettare che questo non è proprio il momento, che bisogna affrontare con tutte le energie disponibili priorità più urgenti: le forti difficoltà economiche ed energetiche, la pandemia non del tutto debellata e poi la guerra, le sanzioni, le ritorsioni… Tutto vero! Ma proprio perché ci troviamo in queste gravi situazioni di emergenza, occorre con più attenzione guardare a quei cittadini che, a prescindere dalle gravi emergenze ricordate, sono sempre e comunque morsi da grosse difficoltà esistenziali, per poter interagire autonomamente con l’ambiente sociale. Credo infatti che con onestà ed equità bisognerebbe fare con decisione per loro ciò che da molto tempo si ignora: utilizzare con intelligenza e bene le risorse già disponibili, soprattutto in relazione a quel patrimonio professionale degli Operatori Pubblici e del Terzo Settore così mal gestiti finora da un’organizzazione del welfare territoriale che rasenta lo spreco.
Ecco perché vogliamo l’integrazione sociosanitaria e vogliamo sostenere il Sindaco di Roma in questo cambiamento strutturale: una potente manutenzione, per realizzare finalmente l’integrazione dei servizi sociali con i servizi sanitari, caposaldo e condizione ineludibile per far parlare tutti con il linguaggio dei diritti di cittadinanza, a partire dal diritto alla salute nella multidimensionalità bio-psico-sociale, che richiede per ogni cittadino condizionato da fragilità una co/progettazione personalizzata, partecipata ed evolutiva.
Benché tantissimo si sia scritto e discusso su questo argomento, esistono ancora resistenze e non è ancora pacificamente acquisito l’assunto che la tutela della salute (stato di “bene-essere” della persona) sia un processo operativo che non si esaurisce negli interventi di medicina curativa da acuzie e/o di attenzione esclusiva ai problemi clinici delle persone, ma che esige molta attenzione ai condizionamenti sociali della salute stessa: reddito, livello d’istruzione, ambiente di vita, alimentazione, attività lavorativa, ruolo sociale, relazioni affettive soddisfacenti. Sono questi i determinanti sociali di salute che possono innescare dinamiche positive o negative in relazione alla quotidianità del vivere. Di conseguenza molti disagi e malesseri non vengono superati quando le azioni di sostegno siano frutto di analisi e approcci operativi strettamente monodisciplinari.
Credo innanzitutto che una prima causa vada ricercata in scelte politiche che non hanno saputo mettere in campo robusti processi generativi di una sistemica organizzazione di servizi calibrati per affrontare la complessità esistenziale delle persone e facilitarne il riconoscimento e il godimento dei diritti fondamentali della vita. Si è spesso assistito al succedersi di deboli e parziali scelte politiche, solo per rincorrere un successo immediato di questo o quel politico di turno, mentre andavano sempre più stratificandosi e irrobustendosi i disagi dei cittadini, allontanando ogni loro fiducia nel nostro welfare dei servizi territoriali.
Ma l’integrazione sociosanitaria non ha solo necessità di scelte politiche solide per decisioni lungimiranti e di una governance integrata dei servizi territoriali: ha contemporaneamente necessità di professionisti culturalmente capaci di cogliere la dimensione sinergica e plurale del proprio lavoro.
Tutti sappiamo che c’è stata una felice stagione in cui sono stati soprattutto gli operatori ad inventarsi quella cosa chiamata “servizi” e a collocarli non più in luoghi separati, ma nei luoghi della vita di tutti i cittadini. Quei servizi allo stato nascente erano alimentati da un sapere impastato di energica cultura socio/politica, più che da una tecnicalità specialistica, tutta tesa com’era a rompere emarginazioni e segregazioni in favore di un sostegno e miglioramento reale dell’esistenza di persone, segnate com’erano da diverse difficoltà esistenziali. Con il passare del tempo, però, l’esigenza di avere organizzazioni solidamente strutturate (si arriverà a parlare di aziende!) richiede sempre più agli operatori il possesso di competenze specialistiche, un sapere professionale più pertinente, specifico e approfondito, per onorare il mandato di Servizio Pubblico di tutela e sostegno di coloro che nel frattempo sono diventati “pazienti” e/o “utenti”.
Ma inizia da qui a verificarsi un effetto collaterale indesiderato: l’impronta specialistica ha ristretto conoscenze, analisi e soluzioni di problemi e sofferenze, calibrandoli unicamente sulla specifica competenza del professionista, spostandone l’azione verso un agire da solista unico e autodeterminante. Questo approccio operativo monoprofessionale e specialistico, basato sulla rigida divisione prestazionale dei “casi”, è però risultato unicamente utile per il professionista, liberandolo in tal modo dal dovere affrontare confronti e/o estenuanti mediazioni tra colleghi di altre discipline, ma soprattutto è servito da alibi per non doversi assumere l’onere di una “presa in carico globale” delle persone, specie se segnate da fragilità e da multiproblematicità.
È facile intuire come tutto questo abbia prodotto una certa resistenza e ritrosia (ma a volte si è trattato di vera e propria ostilità) da parte di molti professionisti a fare proprie proposte (o almeno ad accogliere positivamente proposte) di cambiamento verso l’integrazione sociosanitaria.
Fortunatamente questo approccio operativo si sta ormai sgretolando, poiché i cittadini e le loro Associazioni hanno acquisito piena consapevolezza dei propri diritti e della propria capacità contrattuale alla pari. I cittadini e le cittadine si sono organizzati e sono pronti ad esigere che gli interventi che li riguardano siano co/progettati e attenti al superamento della solipsistica cultura professionale mono/specialistica, generante parziali soluzioni insoddisfacenti e un tipico prodotto obsoleto, originato da un approccio attento a “trattare” solo bisogni (oltretutto singolarmente presi!) e poco attento ad un approccio per l’esigibilità dei diritti, che sposterebbe progettazione e azioni professionali su una permanente e coerente interazione tra le diverse competenze professionali, le diverse istituzioni e la co/partecipazione costruttiva delle persone coinvolte, nonché del loro contesto sociale di vita.
Si tratta di un salto di qualità nella visione di una sussidiarietà orizzontale in cui gli Enti Pubblici Locali hanno la possibilità di condividere e individuare i percorsi più adeguati in forma congiunta con gli Enti del Terzo Settore, secondo l’articolo 55 del Codice del Terzo Settore, su cui la Corte Costituzionale, con la Sentenza n. 131 del 2020, ha tolto ogni ambiguità interpretativa: co/progettazione con procedura ad evidenza pubblica, da non confondere con la procedura del Codice degli Appalti.
Si profila dunque l’avvio di un diverso approccio e di un sinergico intreccio tra iniziativa pubblica e risorse comunitarie, tra operatori sanitari, sociali, del Terzo Settore, dei cittadini/utenti e dei loro familiari. Un approccio diverso nei servizi territoriali, che sovverta le attuale culture, prassi e saperi professionali e produca l’irrinunciabile integrazione dei servizi su un riferimento del corso della vita delle persone e quindi sulla prospettiva evolutiva e inclusiva.
A livello istituzionale l’integrazione sociosanitaria pone innanzitutto la necessità di un corretto equilibrio tra le due istituzioni principali: Comune e ASL, senza dimenticare il ruolo attivo che dovrà rivestire il Terzo Settore e l’Associazionismo.
Per favorire un riequilibrio tra le professioni, affinché non emerga una prevalente visione bio/medica rigida e settoriale, occorre rafforzare strutturalmente i ruoli e le professioni sociali. Questo passaggio concettuale non è del tutto pacifico e richiederebbe una convinta adesione delle professioni sanitarie ad assumere nei loro interventi un’ottica anche sociale, riconoscendo pacificamente, come già sottolineato, il ruolo prevalente che hanno sul “bene-essere” dei cittadini gli ormai e ben noti determinanti sociali di salute.
Un’interessante prospettiva potrebbe essere quella di considerare il Comune quale “azionista di maggioranza” nel processo e nel governo dei servizi a integrazione sociosanitaria, in quanto Ente Pubblico designato dalla Costituzione a garante e salvaguardia dei diritti soggettivi di tutti i cittadini. Questo passaggio richiede però che si modifichi il modus operandi della dirigenza dell’Amministrazione Comunale, spesso dipendente da un’esclusiva visione giuridico-formalista delle norme. Si tratta in sostanza di abbandonare la produzione di provvedimenti e decisioni ossessivamente protesi alla rigida applicazione delle norme, in favore di provvedimenti e decisioni più interessati a ricercare (e se del caso anche ad inventare!) soluzioni che aiutino la reale esigibilità dei diritti, soprattutto per quelle persone con potere contrattuale debole. Significativo corollario potrebbe essere quello di attuare sistemi di valutazione ex/post (valutazione degli esiti) in sostituzione (o in integrazione, se si vuole) dei tranquillizzanti sistemi di controllo, protesi unicamente al preventivo accertamento dei requisiti e della corretta applicazione delle procedure richieste.
Riteniamo, quindi, che per ogni cittadino in carico ai Servizi Territoriali l’integrazione sociosanitaria possa produrre effetti positivi soprattutto se si attiva una presa in carico precoce e una progettazione personalizzata che permetta una collegiale ricalibratura dei saperi professionali nella valutazione e ancor più nella proposta di progetto personale, senza limitarsi, come spesso accade, alla semplice descrizione dello stato contingente della persona, ma ponga maggiore attenzione alla storia evolutiva della persona stessa, verificando quanto le soluzioni (fino ad allora adottate) abbiano contribuito a determinare un suo progresso o una sua recessione e assumendo un assetto progettuale che ciclicamente consideri valutazione e ri/progettazione nella sequenza: progetto-risultati-ri/progetto.
Infine, l’integrazione è necessaria per facilitare l’adozione del sistema Budget di Salute, strumento operativo sperimentato e consolidato nel determinare un buon successo dei progetti di vita personalizzati, fortemente connessi al contesto sociale di vita della persona, che quindi. da paziente/assistito, diventa co/progettatore e coproduttore del proprio “bene-essere”.
Nello specifico della città di Roma, chi scrive, insieme ad altri componenti di un Comitato Promotore, ha prodotto un appello al Sindaco della Capitale (disponibile a questo link), per esprimere la nostra piena condivisione nel dare forza al suo operato, con l’obiettivo di dare un sostegno forte alle decisioni che il Sindaco stesso vorrà assumere su un fondamentale cambiamento organizzativo strutturale, come del resto richiesto dalle norme, finora purtroppo disattese.
In tal modo vogliamo insieme restituire ai cittadini e alle cittadine la loro capacità contrattuale, per co/progettare una riorganizzazione dei servizi che possano veramente garantire il rispetto del diritto a facilmente fruire dei Servizi sanitari, sociosanitari e sociali in un sistema integrato, condiviso e in prospettiva inclusiva, richiedendo ai Servizi stessi di privilegiare nuove e diverse forme di progettualità, di tipo dialogico e partecipativo.
Già direttore del Servizio Disabilità e Salute Mentale di Roma Capitale.
Ricordiamo ancora il link al quale è presente l’appello al Sindaco di Roma lo di cui scrive Fausto Giancaterina nel presente contributo, volendo aderire al quale ogni Ente, Organismo di Terzo Settore, di Volontariato, Consulte o singoli Cittadini e Cittadine dovrà inviarlo a: appellosindacoroma@gmail.com.
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