Com’è ben noto, l’amministrazione di sostegno è un istituto di tutela introdotto nel nostro ordinamento giuridico dalla Legge 6/04, che è andato ad affiancarsi all’interdizione e all’inabilitazione, cercando di superare la rigidità di quegli più antichi istituti. Lo scopo è quello di «[…] tutelare, con la minore limitazione possibile della capacità di agire, le persone prive in tutto o in parte di autonomia nell’espletamento delle funzioni della vita quotidiana, mediante interventi di sostegno temporaneo o permanente» (articolo 1 della Legge 6/04, grassetti nostri in questa e nelle successive citazioni). Insomma, si tratta di sostenere la persona per le sole cose che non riesce a svolgere autonomamente, e per il solo tempo necessario a tale scopo.
Il problema è che in sede applicativa sono state riscontrate numerose criticità che invece di semplificare la vita delle persone, hanno finito per lederne i diritti, come evidenziato anche in un approfondimento pubblicato qualche tempo fa su queste stesse pagine. Doveva essere un istituto volontaristico e gratuito, preposto a privilegiare, nella nomina, i familiari della persona beneficiaria o una persona di sua fiducia, ma in alcuni contesti si è trasformato in una “professione” remunerata affidata a sconosciuti. Talvolta, inoltre, la figura viene nominata senza che la stessa persona beneficiaria ne sia informata e càpita anche che al medesimo amministratore di sostengo vengano affidate diverse decine di beneficiari, così come che alcuni amministratori non instaurino alcun rapporto fiduciario con il beneficiario, limitandosi alla gestione finanziaria, senza curarsi dei progetti di vita del beneficiario stesso, delle sue aspirazioni e dei suoi reali bisogni.
E queste sono solo alcune delle degenerazioni messe in evidenza da diversi Enti che si sono occupati della questione.
Ragionando in astratto è difficile cogliere appieno l’impatto che l’applicazione quanto meno disinvolta della Legge 6/04 ha sulla vita di coloro che in teoria dovrebbero trarne benefici e dei loro familiari. Alcuni aspetti, però, diventano chiari, ascoltando le testimonianze di chi si è scontrato con il sistema.
È il caso di Gigi Monello, ex-insegnante di filosofia di Cagliari che, dopo quarant’anni passati nella scuola pubblica, si dedica ora a fare lo scrittore e l’editore, attività che prima svolgeva solo nel tempo libero.
Il professor Monello è formalmente accusato di avere inflitto maltrattamenti alla madre, la persona con cui da sempre conviveva, e di cui si prendeva cura. A denunciarlo è stata l’amministratrice di sostegno della genitrice, con l’appoggio di una congiunta e di un altro parente stretto di Monello.
Nel suo blog Picciokkumalu (in sardo “cattivo ragazzo”), Monello racconta che la querela si basa su «un apparato di fatti distorti o semplicemente inventati», ma ha comunque comportato che, il 21 luglio 2020 egli venisse allontanato dall’anziana madre nella parte terminale della sua vita.
Il 10 maggio prossimo, a mezzogiorno, presso il Tribunale di Cagliari, si aprirà il processo penale a suo carico. Alle 13, nello spazio all’aperto antistante l’ingresso del Tribunale stesso (Piazza della Repubblica, 18), ci sarà anche un presidio dell’Associazione Diritti alla Follia, uno degli Enti più attivi nel denunciare gli aspetti problematici dell’amministrazione di sostegno, nonché promotore della campagna Se la tutela diventa ragnatela, incentrata proprio su tali argomenti.
In un breve filmato, intitolato Lo strano caso del prof. Gigi Monello, viene sinteticamente ripercorsa la vicenda del professore sardo. «Mia madre è deceduta il 1° agosto 2021, all’età di 99 anni. Se n’è andata nella convinzione che il figlio con cui aveva condiviso un’intera vita fosse improvvisamente, e senza una ragione, divenuto tanto freddo e indifferente da abbandonarla. Nel suo ultimo anno di vita ha potuto vedermi, infatti, per sole tre ore». La narrazione è intercalata da alcune foto di famiglia e da immagini del Processo, il celeberrimo film diretto da Orson Welles nel 1962, tratto, a sua volta, dall’omonimo romanzo di Franz Kafka.
Il reato ascritto a Monello prevede una pena detentiva minima di tre anni. «Pur potendolo, non ho voluto fare ricorso al rito abbreviato e, d’intesa con i miei legali, ho scelto la via del processo ordinario. Confido che il dibattimento possa chiarire quale grave distorsione dei fatti sia stata compiuta in merito alla mia condotta. La presenza di chiunque volesse assistere alle udienze è per me gradita. Penso che la mia vicenda sia talmente sconcertante da assumere l’oggettivo profilo di un fatto di pubblico interesse. Per questo motivo, con l’Associazione Diritti alla Follia, ho deciso di dare ad essa la massima notorietà», si legge in un testo pubblicato nel sito dell’Associazione stessa.
Anche il Centro Informare un’h di Peccioli (Pisa) seguirà l’evolversi della vicenda, ritenendo che fare chiarezza circa l’applicazione dell’istituto dell’amministrazione di sostegno sia interesse di tutti e di tutte. (Simona Lancioni)
Il presente contributo è già apparso nel sito di Informare un’h-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli di Peccioli (Pisa) e viene qui ripreso – con alcune modifiche dovute al diverso contenitore – per gentile concessione.