Il mio antico professore del liceo ci ammoniva sempre: «Chi infarcisce il suo eloquio con citazioni latine, di sicuro non lo sa, il latino» e aveva pienamente ragione. Infatti, eccomi qui, da ex asino brufoloso, con questa bella infornata di vetuste espressioni.
Comunque c’è poco da fare, converrete con me che esiste una bella differenza tra l’esclamare «Ehi raga, al Meazza l’Inter s’è beccato tre pappine dal Napoli!» e la più solenne «Nemo propheta in patria». Inoltre è stato davvero impossibile resistere alla tentazione di accoppiare lo stile aulico del latino a certe situazioni terra terra in cui ci imbattiamo noi, umili disabili.
Quindi, se avrete lo stomaco di continuare la lettura, troverete qui di seguito qualche locuzione, magari inedita, con l’àmbito e il momento esatto in cui usarla, per stupire l’uditorio più di quanto siate mai riusciti a fare con il vostro solo handicap.
Mens sana in corpore sano
(“Mente sana in corpo sano”)
Mi voglio subito togliere dalle scatole questo principio di Giovenale, esecrato dal colto e dall’inclita. Dunque, il gentiluomo disabile sarà autorizzato ad utilizzarlo solo in senso antifrastico, come quando ascolterà un calciatore bagonghi balbettare in tivù le solite banalità sgrammaticate.
Albo signanda lapillo
(“Da segnare con un sassolino bianco”)
La locuzione si ricollega all’usanza romana di mettere da parte, al termine della giornata, un sassolino che la simboleggiasse a seconda della buona (bianco) o cattiva (nero) sorte. Per esempio, oggi hanno approvato il nostro progetto di Vita Indipendente…
Nigro notanda lapillo
(“Da segnare con un sassolino nero”)
Vedi sopra: oggi stesso abbiamo scoperto l’esigua entità del suddetto finanziamento assegnato al nostro progetto di Vita Indipendente…
Audentes fortuna iuvat
(“La fortuna aiuta gli audaci”)
Qui non si tratta di attaccare Enea, come si consiglia nel famoso esametro virgiliano, bensì di accettare la sommaria descrizione di un ingresso fatta da un amico («Te lo giuro Pino, non mi sembra proprio che la pizzeria abbia gli scalini!») e sfidare la “sorte architettonica” a testa alta e, scoliosi permettendo, schiena dritta, andando a cenare fuori al buio. Tanto poi, rientrati a casa a stomaco vuoto per colpa dei gradini, troveremo sempre in frigo l’avanzo di una pallida ala di pollo e del ketchup.
Excusatio non petita, accusatio manifesta
(“Scusa non richiesta, accusa manifesta”)
Questa locuzione latina, di origine però medievale, si attaglia perfettamente alle visite per la patente speciale di guida. Infatti, se la commissione medica è formata dai soliti esperti arcigni, diventa inutile tentar di coprire in anticipo i propri deficit fisici, adducendo come motivo un litigio col fidanzato/a.
Nomen omen
(“Il nome è un presagio”)
Quest’antica credenza di Plauto potrà far divertire, ma il sorriso si trasformerà in una smorfia di paura quando conosceremo la nostra nuova fisioterapista: la muscolosa e barbuta signorina Spaccalossi.
Dura lex, sed lex
(“La legge è dura, ma è legge”)
Oggi, questo arcinoto brocardo di Domizio Ulpiano non ha più lo scopo di risanare gli abusi del diritto pubblico e privato, ma è un chiaro invito a rispettare la legge anche nei casi in cui essa si presenti in modo rigido e rigoroso. Di conseguenza giova ricordare che se noi siamo disabili, il resto del mondo non lo è, ergo l’entrare gratis negli stadi, il bypassare le code e il parcheggiare dappertutto non ci esime dal rispettare tutte le altre (dure) leggi.
Quot capita, tot sententiae
(“Quante sono le teste, altrettanti sono i giudizi”)
Prima o poi ogni disabile degno di tale nome ha sussurrato con rabbia questa frase, tratta dal Formione del commediografo Terenzio. In quale occasione? Semplice: quando, con la sua diagnosi di patologia grave in mano, l’ennesimo specialista gliel’ha commentata diversamente dagli altri per l’ennesima volta.
Sine pennis volare haud facile est
(“Non è facile volare senza penne”)
Torniamo a Plauto (Poenulus, atto IV, scena II): questa è la risposta dello schiavo Sincerasto a Milpione, che gli suggerisce di agire senza timore. Tuttavia potrebbe benissimo essere la stessa replica a chi chiede come mai siamo giù di morale dopo che il nostro badante ci ha appena inviato un certificato di malattia di dieci giorni. Quindi, detto ciò, potremmo ancora aggiungere: «Et meae alae pennas non habent» (“E le mie ali non hanno penne”, in altre parole: e adesso chi mi metterà a letto?).
Semel in anno licet insanire
(“Una volta all’anno è lecito perdere la ragione”)
Di fronte alle nostre veementi proteste, l’assessore ai trasporti del Comune ci ha risposto (per la terza volta in dieci mesi) che l’acquisto di un pulmino munito di pedana è stato calendarizzato a breve. L’abbiamo travolto con la nostra massiccia carrozzina elettrica e allora, interrogati dai carabinieri, potremo finalmente utilizzare questa bella giustificazione di Seneca.
Ubi maior, minor cessat
(“Dove vi è il maggiore, il minore decade”)
Credevamo di essere disabili gravi ma onnipotenti, vale a dire dotati del carisma per soggiogare folle di normodotati in estasi… E invece no, questo principio appartenente a un formulario giuridico di matrice romana, viene applicato senza sconti non appena arriva un altro sventurato disabile, conciato solo un pochino peggio di noi.
Vanitas vanitatum et omnia vanitas
(“Vanità delle vanità e tutto è vanità”)
Bene, abbiamo appena vinto una medaglia in una gara delle Paralimpiadi, ma è proprio il caso d’insuperbirci guardando tutto il resto del mondo dall’alto in basso? E se qualcuno aprisse la versione in latino dell’Ecclesiaste e ci “sparasse addosso” la micidiale ridondanza di questo saggio memento?
Numquam periclum sine periclo vincitur
(“Il pericolo non lo si vince mai senza pericolo”)
Già ventun secoli fa il liberto drammaturgo Publilio Siro invitava a essere coraggiosi. Prendiamone atto quando, compilando l’ISEE per rinnovare il solito servizio comunale per noi “poveri” disabili, mentiremo sul conticino extra aperto per farvi confluire l’eredità del fu zio Temistocle.
Sutor, ne ultra crepidam!
(“Ciabattino, non [andare] oltre le scarpe!”)
Il naturalista e magistrato Caio Plinio Secondo è meglio conosciuto come Plinio il Vecchio, ma in ciò gli si fa un torto, in quanto la sua perentoria esortazione di non esprimersi su argomenti in cui non si ha alcuna competenza andrebbe applicata ancora oggi. A chi? Beh, ai normodotati sapientoni che consigliano ai disabili una cura farlocca, un terapista occupazionale, un metodo di resilienza, un tavolo di concertazione, una dieta, un pellegrinaggio, un santone eccetera.
Barba non facit philosophum
(“La barba non fa il filosofo”)
Autorevole equivalente latino del più modesto proverbio italiano dell’abito che non fa il monaco, rappresenta l’arma finale di un aspirante seduttore invalido. Infatti, quando il fascino della carrozzina s’ammoscia e le cupe testimonianze di vita vissuta provocano solo più larghi sbadigli nell’uditorio del sesso opposto al nostro, proviamo ancora a buttare là questo astuto Plutarco d’annata, chissà…
Per aspera ad astra
(“Attraverso le asperità sino alle stelle”)
Virgilio, uno dei molti padri di quest’espressione (citata da noi moderni in musica, cinema, sport, marchi commerciali, araldica varia e perfino nei videogiochi), intendeva sottolineare il difficile cammino degli eroi per essere definiti tali. In fondo, ma poi non così tanto, questo motto dovrebbe essere scritto in calce a ogni prognosi di disabilità grave, quando ci si affaccia al lungo itinerario da Camel Trophy dell’handicap, per arrivare infine a vedere, come diceva papà Dante, le stelle. Sì, ma quelle di dolore!
Nihil sub sole novum
(“Nulla di nuovo sotto il sole”)
Riaprendo l’Ecclesiaste chiuso poco fa, ci imbattiamo in questo «Ciò che è stato sarà e ciò che si è fatto si rifarà», cioè da quando la terra è stata creata, situazioni e fatti si ripetono di continuo e quindi niente è veramente una novità. Nel nostro piccolo sembra il perfetto commento a una delle tante rassegne stampa sulla disabilità: Inclusione, Empowerment, Autodeterminazione, Territorio, Facilitatori, Deistituzionalizzazione, Pari opportunità… e poi siamo sempre, più o meno, allo stesso punto.
Homo homini lupus
(“L’uomo è un lupo per l’uomo”)
Nata da una reminiscenza del poeta comico (ma non tanto) Cecilio Stazio, questa nota espressione viene spesso riesumata in occasione di guerre, atti terroristici, efferati delitti eccetera. D’ora in poi potremo rispolverarla anche noi disabili, quando alla cena benefica dei Lions un collega altrettanto invalido, usando la nostra stessa malizia, ci soffierà l’ultima tartina di lompo.
Publio Cornelio Infirmus
Nella colonnina qui a fianco a destra, riportiamo l’elenco dei vari contributi di Gianni Minasso pubblicati da «Superando.it», per la rubrica intitolata A 32 denti (Sorridere è lecito, approvare è cortesia).