Peggio ancora che discriminare è non riconoscere la discriminazione come tale

di Simona Lancioni*
Se un alunno con disabilità si ritrova ad andare in gita scolastica con un mezzo diverso da quello utilizzato dagli amici e dai compagni, questo non è dovuto alla sua disabilità, ma è una responsabilità di chi non ha ancora imparato ad organizzare servizi inclusivi, un aspetto, questo, da sottolineare, in relazione alla vicenda accaduta in una scuola dell’infanzia nella Provincia di Pisa, perché, a valutare dalle dichiarazioni rilasciate alla stampa locale, i primi a non averlo chiaro sono proprio i soggetti che svolgono una funzione educativa
Elaborazione grafica dedicata ai concetti di "inclusione", "integrazione", "segregazione" ed "esclusione"
Un’elaborazione grafica sotto forma di figurina, che può spiegare bene i concetti di “inclusione”, “integrazione”, “segregazione” ed “esclusione”

Dispiace dover raccontare storie di discriminazione, soprattutto se queste riguardano minori con disabilità. Ma c’è qualcosa di peggiore: scoprire cioè che chi ha posto in essere tale discriminazione non la riconosca come tale nemmeno se gliela fanno notare, e invece di scusarsi, come sarebbe decoroso fare, minimizza e si atteggia a vittima. Ma andiamo con ordine.

Ieri ci siamo occupati, su queste stesse pagine, della vicenda di Tommaso, un alunno con disabilità motoria di 6 anni che frequenta l’ultimo anno della scuola dell’infanzia del Comune di Bientina (Pisa). Tommaso, come abbiamo raccontato, è dovuto andare alla gita scolastica organizzata alla Riserva Bosco Tanali nel Padule, a pochi chilometri dalla scuola stessa, con un mezzo diverso dal pullman utilizzato dagli altri amici e compagni. «È impensabile che nel 2022 un Comune non sia attrezzato per il trasporto inclusivo dei bambini disabili», aveva osservato con amarezza la mamma di Tommaso. «Spiace constatare che la scuola, invece di affrontare e risolvere un problema che esiste da anni – aveva aggiunto –, si rifugi in un atteggiamento di comodo non adottando provvedimenti atti ad eliminare gli ostacoli, ma trovando soluzioni lesive della dignità e dello sviluppo psichico del bambino disabile». E che la soluzione trovata sia discriminatoria lo sanciscono innumerevoli norme – tra le quali citiamo, solo a titolo esemplificativo, l’articolo 12 della Legge 104/92 e l’articolo 24 della Convenzione ONU sui Diritti delle Persone con Disabilità (ratificata dall’Italia con la Legge 18/09) –, oltre a una consolidata giurisprudenza.

La storia in  questione si è arricchita di ulteriori particolari perché il quotidiano «La Nazione» ha opportunamente sentito tutti soggetti chiamati in causa, riportando, oltre alle dichiarazioni della mamma, anche quelle del Sindaco di Bientina – sentito perché il servizio di scuolabus è comunale – e della Dirigente Scolastica (Gabriele Nuti, Scuolabus non attrezzati per disabili. “Mio figlio separato dai compagni”, in «La Nazione», 7 maggio 2022).
«Sono stato informato dalla mamma del bambino la mattina stessa – ha dichiarato il sindaco Dario Carmassi –. Ci siamo confrontati a lungo telefonicamente proprio perché capisco la problematica e dal punto di vista umano sono loro molto vicino. Il dato di fatto è che gli scuolabus sono in questo momento privi dell’accessibilità per i disabili e il trasporto per gli spostamenti all’interno del comune viene garantito da un mezzo parallelo che può trasportare disabili. Non è una situazione che permarrà, perché se i mezzi attuali girano sulla scorta di una gara vecchia di sei anni, la nuova gara che sta per concludersi, garantirà che da settembre operino mezzi scolastici con pedane e attrezzature per disabili. Ho dato disponibilità alla mamma di incontrarci per evitare che in futuro possano ripetersi episodi simili, magari migliorando la comunicazione tra scuola e famiglia con l’aiuto anche del Comune».
Quelle del Sindaco appaiono come parole sobrie e ragionevoli, le parole di chi ha rilevato una criticità, la ammette, esprime vicinanza a chi ha subito una discriminazione, e illustra una progettualità che dovrebbe risolvere il problema.

Molto diversa è invece la postura assunta dalla dirigente scolastica Maria Rita Agata Ansaldi che, interpellata dal quotidiano, ha rilasciato la seguente dichiarazione: «La nostra scuola, come ho spiegato alla mamma, mette al centro l’inclusione, sempre. Il trasporto è offerto dall’amministrazione comunale, ponderato e personalizzato. Il Comune, in casi come questo, affianca lo scuolabus che non ha la pedana per le carrozzine, con un mezzo aggiuntivo attrezzato per il bisogno. In questo caso ha trasportato il bambino con la sua carrozzina, altri due compagni e la maestra. Sarebbe stato oggetto di lamentela, all’opposto, e questa volta giustificato, se non si fosse previsto un accorgimento. In questo caso vorrei davvero esprimere la mia amarezza per un atteggiamento, mi sembra, provocatorio, gratuito e anche offensivo nei confronti di tutto il personale della scuola che non si risparmia per organizzare le attività in un’ottica inclusiva, sempre». Di che si lamenta la famiglia, visto che Tommaso in gita c’è andato? La vera vittima qui è «tutto il personale della scuola». Sic!

Possiamo dedurre che Ansaldi, quando usa espressioni come «inclusione» e «ottica inclusiva», non abbia bene idea di cosa stia parlando. Il che è grave, considerato il ruolo che riveste, ma non irrimediabile, dunque proviamo a spiegarglielo con la figurina qui a fianco pubblicata, confidando che questa possa aiutarla a comprendere.
Quando abbiamo a che fare con soggetti esposti a discriminazione (non solo le persone con disabilità) possiamo assumere diversi atteggiamenti. Un primo atteggiamento è l’esclusione, che nella figurina vede tutti i soggetti uguali (qui rappresentati dai puntini verdi) dentro un grande cerchio (che rappresenta la società), mentre quelli colorati sono sparsi e posti all’eterno del cerchio. Ecco, è importante capire che l’esclusione è vietata, perché costituisce una forma di discriminazione.
Un altro atteggiamento è la segregazione: qui tutti i puntini verdi sono dentro al cerchio grande, mentre i puntini colorati stanno in un cerchio più piccolo posto al di fuori del cerchio grande. Anche la segregazione è vietata, perché anch’essa rappresenta una forma di discriminazione.
Poi abbiamo l’integrazione, con i pallini colorati che anche qui sono dentro ad un cerchio piccolo, ma questo, invece di essere posto fuori dal cerchio grande (la società), è posto al suo interno. In pratica abbiamo una situazione da “separati in casa”, e anche questo non va bene, perché i pallini colorati continuano ad essere trattati da diversi.
Infine abbiamo l’inclusione, raffigurata con un unico cerchio grande nel quale tutti i pallini verdi e colorati stanno felicemente insieme e si mescolano tra loro, la qual cosa è molto bella. Ecco, la circostanza che Tommaso abbia viaggiato con un mezzo separato configura una forma di segregazione e, guardando la figurina, si capisce chiaramente che non va bene per niente.

La vicenda fa tornare in mente le parole di don Lorenzo Milani: «Allora è più onesto dire che tutti i ragazzi nascono uguali e se in seguito non lo sono più, è colpa nostra e dobbiamo rimediare» (Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, postfazione di Alberto Melloni, con uno scritto di Pietro Citati, prima edizione Oscar Moderni, Milano, Mondadori, 2017, pagina 51). Un pensiero che, se applicato al caso in questione, porta ad affermare che se Tommaso viaggia separato e viene trattato da diverso, questo non è dovuto alla sua disabilità, ma è una responsabilità di chi non ha ancora imparato organizzare servizi inclusivi. Una scuola che non conosce cosa sia l’inclusione non la può praticare né insegnare.

Responsabile di Informare un’H-Centro Gabriele e Lorenzo Giuntinelli, Peccioli (Pisa), nel cui sito la presente riflessione è già apparsa. Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.

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