Che la “post-verità” abbia invaso anche il territorio della disabilità? I ministri del Lavoro Orlando e pewr le Disabilità Stefani hanno dichiarato di avere operato con dedizione e competenza per risolvere i bisogni delle persone con disabilità, anche quelli lavorativi. Infatti hanno varato la Legge Delega in materia di disabilità [Legge 227/21, N.d.R.], ricaduta del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), e sdoganato, dopo sei anni di attesa, le Linee Guida per il collocamento mirato. Ma come stanno veramente le cose?
La Legge Delega non cita il tema lavoro, e alla richiesta di «come si può parlare di progetto di vita, del “Dopo di Noi” ecc. senza parlare di lavoro?», la risposta della ministra Stefani è stata: «Non è di mia competenza». Eppure si presenta in pubblico in tandem con il Ministro del Lavoro, quando si parla di lavoro per le persone con disabilità… Comunque sia, dalla Legge Delega non verranno sostegni all’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Poco più arriverà dal decantato programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori); infatti non è dato sapere quanto personale e quante risorse economiche le singole Regioni metteranno a disposizione del Collocamento Disabili. Del resto, anche in questo caso, Orlando, ministro competente, ha dichiarato che i Centri per l’Impiego e il Collocamento Disabili non sono di sua competenza, ma delle Regioni. Come ANDEL [Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro, N.d.R.], abbiamo pertanto deciso di chiedere quanto segue al Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, tramite un’Interrogazione Parlamentare promossa dalla senatrice Binetti: «Premesso che Il PNRR ha destinato un significativo finanziamento (6,6 miliardi di euro) al rilancio delle politiche attive per il lavoro (Missione M5C1); il Governo intende rispondere a questa sfida con il Programma GOL (Garanzia Occupabilità Lavoratori); dove […] l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità è parte integrante di tale programma, in quanto è scritto (Riforma 1.1 all’interno della Componente M5C1.1) espressamente: “Attenzione specifica sarà dedicata all’inserimento lavorativo delle persone con disabilità”; e visto che “il Ministro Orlando, poco dopo il suo insediamento, in una audizione presso l’XI Commissione della Camera (22 aprile 2021) ha riconosciuto questi ritardi e queste gravi disparità territoriali; [e che] il Decreto Ministeriale 5 novembre 2021 ha provveduto a ripartire fra le Regioni e le Province Autonome una prima tranche (annualità) dei finanziamenti del PNRR: 880 mln; si chiede se è possibile “sapere se sia stata prevista una ricognizione delle quote di finanziamento […] espressamente riservate, da ciascun Piano Regionale al rilancio del “collocamento mirato”».
Successivamente sono arrivate le citate Linee Guida in materia di collocamento mirato delle persone con disabilità (un esercizio di letteratura di 98 pagine), probabilmente scritte da chi non ha competenza ed esperienza diretta di collocamento delle persone con disabilità e di mercato del lavoro “debole”. Le Regioni infatti, in un documento di trenta punti, hanno prontamente sottolineato la scarsa fattibilità di quanto indicato. Ma poco importa, le responsabilità sono così scaricate su altri…
Che garanzie abbiamo, dunque, che le norme e le risorse messe in campo si trasformino in azioni efficaci? Quanti fondi verranno destinati dalle singole Regioni al collocamento delle persone con disabilità? Riusciremo a non vanificare un ‘occasione storica come questa per riformare il sistema di collocamento delle persone con disabilità?
Ma ritorniamo alle Linee Guida. Più volte ho scritto, anche su queste pagine, che le Linee Guida (il primo testo risale alla primavera del 2015) erano obsolete, e non avrebbero prodotto alcun positivo cambiamento nel sistema di collocamento pubblico, ma avrebbero rischiato di essere un comodo alibi per non fare nulla nei successivi cinque anni. Partiamo dalla Banca Dati Nazionale degli iscritti al Collocamento Disabili.
Il testo più volte riporta l’attenzione sul ruolo chiave dei sistemi informativi, ritenuti fondamentali per la costituzione della Banca Dati stessa e per l’integrazione fra i servizi del sistema di collocamento pubblico. Ma le stesse Regioni, nel loro citato documento, dichiarano che «tale integrazione appare assolutamente impossibile da gestire senza poter contare su sistemi informativi tra loro dialoganti e interconnessi, rendendo di fatto quasi impossibile lavorare in una logica di integrazione tra i vari soggetti». Detto in altre parole, le Regioni chiedono come si possa arrivare ad una Banca Dati Nazionale, se quelle Regionali e Provinciali non si parlano nemmeno fra di loro. Come si caricheranno i dati locali e come si manterrà il flusso degli iscritti? Perché si insiste nel creare una complessa e costosa nuova Banca Dati, senza pensare di raccordarla con quella già funzionante dell’INPS, che di fatto contiene tutti i dati anagrafici e quelli relativi agli accertamenti di invalidità delle persone con disabilità? Com’è possibile mettere in relazione anche i servizi del territorio (servizi sociali, sanitari educativi e formativi), quando non si riesce a mettere in rete nemmeno gli Uffici Provinciali del Collocamento Disabili? Nulla di tutto questo è stato previsto e pertanto, nei prossimi anni, continueremo a disporre di dati raccogliticci e inutili per valutare la realtà occupazionale delle persone con disabilità, per programmare politiche attive e per produrre utili relazioni al Parlamento.
Altro tema cui si pone particolare attenzione è quello delle Reti. Per Rete rivolta all’integrazione lavorativa si intende un gruppo di Enti che collaborino nella gestione di: servizi, progetti e azioni, a favore dell’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. Spesso la loro operatività si traduce nella presa in carico della persona, per realizzare un percorso di accompagnamento al lavoro.
Purtroppo le poche Reti esistenti, che vedono la presenza di servizi pubblici, cooperative sociali, enti di formazione, agenzie private ecc., sono scarsamente efficaci, in quanto ogni partner si attiva autonomamente, ritenendo di essere in possesso di tutte le competenze necessarie per promuovere l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità. I risultati sono alquanto deludenti e non giustificano il dispendio di denaro, energie e passione personale dei singoli operatori.
Siamo tutti concordi nell’affermare che le contraddizioni sociali richiedono la partecipazione di più soggetti sinergici, però ognuno dovrebbe contribuire valorizzando il proprio patrimonio di esperienze e conoscenze, evitando altresì sovrapposizioni, confusioni, e concorrenzialità. Bisognerebbe creare network locali. sistemi territoriali per il lavoro, coordinati, sinergici ed efficaci.
A suo tempo il console romano Menenio Agrippa spiegò alla plebe che nel corpo umano tutti gli organi sono connessi e sopravvivono solo se collaborano; solo così l’uomo può continuare a vivere! Ognuno con la propria funzione! È con questo principio che il mondo scientifico affronta le complessità. Il welfare e le contraddizioni sociali richiedono la partecipazione di più soggetti, in grado di suddividere i compiti e creare uno spirito di sussidiarietà verticale e orizzontale. Sul tema delle Reti le Regioni scrivono: «Al contempo, si ravvisa un elemento di criticità nell’interazione tra soggetti istituzionali (INAIL, INPS) e non, che intervengono nella materia del collocamento mirato secondo modalità che, di fatto, sono soggette ad una estrema varietà di assetti e soluzioni locali […]. Desta preoccupazione la responsabilità, in capo alla Regione, di una rete della quale non ha la governance».
A questo si aggiunga che stiamo parlando di soggetti i quali usano linguaggi tecnici differenti, prassi operative e figure professionali proprie. È sufficiente osservare i dati disponibili per vedere quanti disabili (non “disabili-abili” e “super-abili”) sono stati assunti in azienda, e con quale durata contrattuale, per rendersi conto che i risultati non valgono l’investimento profuso.
Parlando infine del personale e in attesa di tornare prossimamente su ulteriori questione, va detto che sono le stesse Regioni a denunciare la carenza di personale preparato a gestire la complessità dei provvedimenti burocratici, la non conoscenza del mercato del lavoro e del mondo del lavoro. La quasi totalità degli operatori dei servizi provinciali, infatti, non conosce il mercato del lavoro, le aziende, il linguaggio imprenditoriale, i bisogni aziendali, e si interfaccia a questo mondo unicamente come fosse una controparte riottosa nel rispettare gli obblighi di legge. La stessa impreparazione si riscontra poi nei confronti delle persone con disabilità, nelle capacità di valutarne il potenziale occupazionale e il bisogno di sostegno per poter trovare un’adeguata collocazione lavorativa.
Gli operatori vengono accusati sia dalle persone con disabilità, sia dalle aziende di essere incompetenti, ma questa non è una loro colpa: è il sistema del collocamento che dovrebbe formarli e aggiornarli, e soprattutto trasformare gli uffici del collocamento pubblico in servizi al cittadino con disabilità. Non si comprende come mai l’ANPAL (Agenzia Nazionale Politiche Attive Lavoro) non se ne faccia carico. Sarebbe infatti questo il solo modo per unificare a livello nazionale il comportamento del collocamento nei confronti delle persone con disabilità, delle aziende, dei servizi, delle cooperative sociali e delle associazioni. Né si dica che nemmeno questo “rientra nelle proprie competenze”…
Come ANDEL stiamo pertanto proponendo alle Regioni un progetto formativo per tutto il personale del Collocamento Disabili, e prossimamente faremo la stessa proposta all’ANPAL. Vedremo cosa ne sortirà!
Già responsabile del Collocamento Disabili e Fasce Deboli della Provincia di Lecco è oggi direttore generale dell’ANDEL (se ne legga la presentazione sulle nostre pagine), l’Agenzia Nazionale Disabilità e Lavoro (marino.botta@andelagenzia.it).
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