In prossimità delle elezioni che dopodomani, 12 giugno, serviranno a rinnovare le Amministrazioni di moltissimi Comuni in Italia, abbiamo incontrato Valeria Valleri, donna con disabilità che si candida al Consiglio Comunale di Padova. E per l’occasione auguriamo un bel successo a tutte le persone con disabilità che si sono presentate come candidate, perché più persone con disabilità possono partecipare alla vita pubblica, più speranze vi sono di accelerare il processo inclusivo della società.
Ciao Valeria, allora innanzitutto presentati.
«Voglio come prima cosa ringraziarti per avermi proposto questa intervista. Ho 28 anni, sono nata in provincia di Verona, ho vissuto con la mia famiglia nell’Alto Vicentino e da quasi dieci anni vivo a Padova. Dopo il liceo scientifico, in contemporanea all’Accademia Musicale di Schio (Vicenza), ho conseguito la laurea triennale in Scienze Politiche e attualmente sto completando la laurea magistrale in Scienze del Governo.
Da quando mi sono stabilita a Padova, ma anche prima, ho sempre fatto attivismo in àmbito universitario e del sociale, oltreché prestato volontariato all’estero e in Italia attraverso Associazioni che si occupano di tematiche quali l’immigrazione, le pari opportunità, i diritti civili, economici, sociali e culturali. Parità di genere, lotta all’omofobia e all’abilismo, riduzione delle disuguaglianze sociali ed economiche e promozione dei diritti umani sono i temi di cui mi occupo da sempre nei vari settori sociali, esperienze lavorative nonché di studio».
Come mai e quando hai deciso di candidarti alle Comunali di Padova?
«La politica non è mai stata una cosa nuova per me, ma la lista Coalizione Civica mi ha proposto di fare la precisa scelta di partecipare, candidandomi, alle Amministrative di Padova; assieme a tutti gli altri candidati della medesima lista.
I motivi per cui ho scelto di farlo sono molteplici: innanzitutto voglio mettermi a disposizione per la città. Padova mi ha accolto, mi ha “incluso” in questa società e io so che con la mia esperienza di vita e con le mie capacità posso dare senz’altro il mio contributo in quanto cittadina. Ci sono poi i valori che porto con me o che mi hanno trasmesso, come il senso di giustizia, la solidarietà tra le persone, l’aiuto incondizionato reciproco, il senso della democrazia e del rispetto, ma anche la difesa di chi è più vulnerabile, la libertà e la non discriminazione nel senso più ampio possibile, che mi hanno portato alla grandissima consapevolezza di ammettere che io ho la possibilità, attraverso la politica, di poter portare quel cambiamento positivo che molte persone inascoltate o ignorate chiedono da molto tempo. Per portare un esempio concreto: molte persone con disabilità non hanno nemmeno la forza fisica di andare a manifestare per i loro diritti, anche perché spesso non hanno né i mezzi o gli ausili per farlo, né la salute per affrontare lo stress psicofisico di andare a difendere i loro diritti. Io ho la fortuna, anche se sono disabile grave, lesbica, donna e indigente, di potere ancora far sentire la mia voce e di avere ancora la forza di lottare per difendere i miei diritti. In qualche modo mi sento in una posizione di privilegio rispetto a molte persone che fanno parte di queste “categorie discriminate”, ma che non hanno i miei stessi mezzi o la stessa forza di agire per difendere i propri diritti. Quando vedo delle ingiustizie, delle disuguaglianze o delle discriminazioni di vario tipo, il mio senso di giustizia mi porta a non potermi rassegnare di fronte a queste cose e nasce in me una sorta di responsabilità morale nel provare a portare quel cambiamento necessario a una città, affinché diventi sempre più inclusiva, meno discriminatoria, più accessibile e con sempre meno disuguaglianze al suo interno. Proprio perché io ho la possibilità di poterlo fare, di provare a portare più diritti, soluzioni attraverso le voci degli altri; faccio da megafono per chi non ha voce, per chi non ha le forze per urlare e andare in piazza o partecipare alla vita politica e sociale».
Com’è Padova vissuta da una persona con disabilità? È accessibile, inclusiva, ci sono Associazioni?
«Rispetto a molte altre città posso dire, in via generale, che Padova ha raggiunto dei buoni risultati a livello di accessibilità, inclusione e sensibilità delle persone. Se invece usiamo la lente osservativa del “come dovrebbe essere” (senza cioè guardare al meno peggio), allora posso dire che c’è ancorsa parecchio lavoro da fare. Le difficoltà nell’agire con politiche pubbliche volte a migliorare la vita di una persona con disabilità sono sempre le stesse: la competenza di chi fa cosa, che spesso non è prettamente comunale e qualora invece lo fosse, c’è il problema dei fondi e delle risorse economiche irrisorie da poter utilizzare per soddisfare le varie esigenze. La soluzione è agire in modo sinergico tra Istituzioni, Enti, Associazioni e nei vari livelli di governo, per creare nuovi modi di agire rispetto a quelli già esistenti, dando vita a soluzioni nuove e mai pensate, che coinvolgano un po’ tutti i livelli di partecipazione dei cittadini all’interno della città.
Il sistema “Padova città a zero gare”, ad esempio, caratterizza un nuovo modo di agire, all’insegna di un’amministrazione condivisa, ovvero, in altre parole, avviare e rendere permanente l’attività di co-programmazione e co-progettazione in tutti i settori di interesse generale, per rendere concreto il principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 118 della nostra Costituzione. In questo modo possiamo favorire sempre di più l’integrazione tra i diversi servizi per affrontare le sfide emergenti nella nostra città e costruire soluzioni efficaci, flessibili e innovative. Condividere obiettivi, mettere in comune risorse, incentivare la cultura della collaborazione, riconoscere gli sguardi differenti e valorizzare le energie e le competenze diffuse di cittadini/cittadine e realtà sociali, sono le linee guida intorno alle quali crediamo sia possibile progettare interventi che producano cambiamenti significativi, per continuare a migliorare la qualità della vita e il benessere nella nostra città, nel segno appunto della co-responsabilità, della trasparenza e della collaborazione. Con l’amministrazione condivisa una moltitudine di servizi e progetti rivolti a soddisfare le esigenze delle persone con disabilità, avrebbero una notevole possibilità di successo e di essere portati a termine e soprattutto di soddisfarne i bisogni e le esigenze varie. Questo è uno dei tanti modi per combattere le disuguaglianze anche nell’àmbito della disabilità.
Per quanto riguarda le Associazioni patavine, posso sicuramente affermare che esiste un grande patrimonio associativo in tutti i settori sociali e anche in àmbito di disabilità; a mio avviso, però, spesso e purtroppo, molte di queste Associazioni fanno fatica a lavorare in rete e ciò comporta come conseguenza che non riescono a soddisfare i bisogni concreti e immediati delle persone con disabilità. Per esempio in Italia ci sono moltissime Associazioni per la vita indipendente, l’autonomia ecc., ma poi di fatto si è sempre dipendenti dai fondi statali, sia l’Associazione che la persona con disabilità».
Tu hai due lauree, entrambe conseguite all’Università a Padova. Come è stato? Consiglieresti quell’Università a chi è in carrozzina? O a chi è cieco/sordo?
«Fare l’università a Padova mi ha sicuramente agevolato, perché l’Ateneo si è dotato di un Ufficio Inclusione che si occupa proprio di includere gli studenti con disabilità e rendere sempre più inclusiva l’Università stessa, utilizzando i fondi propri, quelli del Ministero e anche quelli europei, oltre ad avvalersi di finanziamenti vari provenienti da altri Enti occasionali privati.
Con le ovvie criticità che possono esserci caso per caso, l’Università di Padova è sempre più accessibile sia a livello di barriere architettoniche che di efficienza dei servizi offerti dal citato Ufficio Inclusione. Da qualche anno, inoltre, è stato istituito un corso trasversale su Diritti umani e inclusione, che si inserisce sulla scia di quanto già realizzato nelle migliori Università internazionali [di tale corso si legga già ampiamente anche su queste pagine, N.d.R.]. È un corso aperto agli studenti di tutti i corsi di laurea triennali e magistrali dell’Ateneo, volto a trasmettere una cultura dell’inclusione in grado di dare dignità culturale, sociale e giuridica all’applicazione dei princìpi e dei valori dei diritti umani nei riguardi di tutti, e anche di coloro che hanno delle disabilità, che sperimentano vulnerabilità, che sono soggetti a discriminazioni. In generale mi sento di dire che è un’Università a misura di studente con disabilità, pur tenendo in considerazione che come in tutte le Università ci sono grandi criticità e che si può e si deve fare ancora meglio».
Cosa farai se verrai eletta? E conosci altri candidati con disabilità che si sono presentati alle elezioni a Padova?
«Sì, ce ne sono altri e questo è un buon segno per la città di Padova perché vuol dire che in qualche modo l’inclusione cui tutti aspiriamo si sta realizzando. Lentamente, troppo lentamente, ma sempre più disabili riescono a partecipare alla vita politica, ciò che fino a qualche anno fa era quasi un’utopia. Quello che sto facendo già è portare una visione diversa, nuova e più reale, nella politica e nelle decisioni. Uno dei pilastri e dei motti che porto con me e che non smetterò mai di trasmettere è una consapevolezza importantissima: tutti possiamo diventare disabili, in qualsiasi momento e in modi diversi, reversibili o irreversibili. La città dev’essere a misura di persone non solo normotipiche, perché è una questione che riguarderà tutti prima o poi; dal vecchietto col bastone, alla donna incinta o al disabile temporaneo. Io insisterò su questo e farò in modo che in tutti gli àmbiti in cui andrò ad agire si crei un sistema per cui si tenga conto anche degli aspetti dell’inclusione in tutti i sensi in cui questa può essere immaginata.
Questa è solo una delle cose che ho in mente di fare, molte altre sono scritte nel programma della lista per cui mi presento, soprattutto riguardo al sociale. Esiste ad esempio un movimento per la vita indipendente? Purtroppo no, a Padova purtroppo manca un movimento su questo tema, e infatti è mia intenzione affrontare anche questo nel caso venissi eletta».
Secondo te dovrebbe esistere un partito o un movimento politico fatto solo da persone con disabilità e dai loro caregiver?
«A mio parere non ce n’è bisogno, e tra i tanti motivi c’è quello della coerenza; una città, infatti, non dovrebbe creare partiti e movimenti troppo categorizzanti, altrimenti non diventerebbe inclusiva. Ogni persona/partito deve pensare all’inclusione e tenere conto che le persone sono eterogenee quando prendono le decisioni, non relegare questo compito ad un solo partito specifico; sarebbe un po’ ipocrita. D’altronde è quello che a mio parere sta succedendo al Governo con il Ministero per le Disabilità, tra l’altro senza portafoglio».
E per il lavoro, come siamo messi a Padova?
«Per quanto riguarda il lavoro nel settore della disabilità, tenendo conto che usciamo da un periodo di crisi difficilissimo, siamo sullo stesso ivello rispetto alle altre città d’Italia. Sicuramente però il mercato del lavoro è il migliore della Provincia perché Padova è un capoluogo florido e attivo in tutti gli àmbiti lavorativi; oltretutto c’è la buona notizia che nei prossimi anni arriveranno milioni di euro con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e questo sicuramente comporterà uno sviluppo della città, che però va attentamente seguito e monitorato perché possa essere generativo e per diminuire le disuguaglianze.
Padova ha sicuramente una marcia in più anche nel campo del lavoro per la presenza dell’Università di Padova e di grandi Istituzioni, come il Comune, che ogni anno offrono possibilità di concorsi con quote riservate, aumentando così l’offerta lavorativa per le persone con disabilità in città e in provincia».
Vuoi concludere esprimendo un desiderio personale?
«Desidero vedere la città che sento mia e che diventerà la mia casa puntare alla libertà sociale, intesa nel senso più ampio del termine, ovvero una libertà come condizione di base in cui ogni persona possa sentirsi libera di vivere la propria vita nel rispetto degli altri e non essere discriminata e allo stesso tempo sentire sempre meno il peso della propria condizione di vulnerabilità, che sia fisica, economica, sociale o culturale».