È un dibattito senz’altro utile, quanto mai aperto e per certi versi anche inaspettato, quello suscitato dal contestato questionario CBI (Caregiver Burden Inventory), inviato ai caregiver familiari dai Comuni di Roma e di Nettuno, del quale ci siamo occupati nei giorni scorsi, dando spazio dapprima alla posizione della FISH (Federazione Italiana per il Superamento dell’Handicap), poi a quella dell’ANFFAS (Associazione Nazionale Famiglie di Persone con Disabilità Intellettiva e/o Relazionale). Oggi riceviamo e ben volentieri pubblichiamo l’opinione di Sofia Donato, portavoce del Comitato Familiari Comma 255.
Se la polemica imperversa per l’uso del questionario CBI (Caregiver Burden Inventory) è perché dei caregiver familiari non interessa a nessuno!
La CBI è una scala di autovalutazione dello stress che si usa dagli Anni Novanta in molti àmbiti, adottata da diverse Regioni italiane. In occasione del riparto del primo fondo dedicato interamente ai caregiver familiari (articolo 1, comma 254 della Legge 205/17, Legge di Bilancio per il 2018) – fondo nato per legiferare sulla materia e poi invece distribuito alle Regioni – in assenza di una legge nazionale che definisca la platea dei caregiver familiari, alcune Regioni hanno ritenuto di adottare la CBI, altre sperimentano la cosiddetta “scheda Francescutti” (dal nome del Presidente della Commissione istituita in seno al Ministero del Lavoro).
Ma lo scandalo non è la somministrazione del questionario, né i quesiti che riporta, né il linguaggio: se qualcuno ritiene un’offesa parlare di sentimenti come disagio o vergogna nella condizione dei caregiver familiari, è ben lontano dal nostro mondo e dalla nostra condizione. Una vita obbligata e non scelta, come quella del caregiver familiare, vincolata in ogni momento della giornata, comporta nel proprio percorso anche il riconoscimento e il superamento di questi sentimenti naturalmente umani, imposti dalla nostra società performante e per nulla attenta all’altro né inclusiva.
Nella querelle politica pre elettorale ci si dimentica che esiste un esercito di caregiver familiari che attendono di veder riconosciuta la loro dignità di cittadini.
Le Associazioni e le Federazioni di persone con disabilità insorgono e s’indignano? Ai vari tavoli regionali c’erano e c’eravamo anche noi che siamo stati gli unici, in quanto caregiver familiari e non disabili, ad opporci al percorso che a noi si sta imponendo e all’uso di strumenti inadeguati, così come alle proposte di “servizi” offerti che certo non aiutano la nostra emancipazione dal nostro congiunto con disabilità e non ci riportano a riappropriarci dei nostri diritti individuali.
I caregiver familiari sono un esercito silenzioso, disilluso e allo stremo delle forze. Genitori, fratelli, coniugi, figli, familiari conviventi di persone con disabilità grave a cui con infinito amore, responsabilmente e necessariamente, dedicano la loro vita. Sono coloro che accudiscono un congiunto con disabilità grave, convivente, che non ha la possibilità o la capacità di individuare ed esprimere le proprie necessità, frustrazioni e desideri. Traduttori delle loro esigenze, interpreti dei loro desideri, organizzatori del loro quotidiano, progettisti del loro futuro durante e dopo di noi, registi dei servizi alla persona con disabilità di cui i nostri congiunti vivono.
Un esercito che, effettivamente, si vergogna… di una società che grida allo scandalo, ma non entra mai nel contesto e nella vita dei cittadini per garantire loro i sostegni dovuti: sostegni, non servizi!