Negli Anni Settanta, a Ferrara, l’ingegnere Serafino Monini e la moglie Caterina Indelli acquistano una villa rinascimentale con annesso terreno, per creare un’azienda agricola che offra un avvenire lavorativo a Carlo, il figlio con disabilità. Purtroppo il ragazzo viene a mancare appena quindicenne, prima che l’idea prenda corpo. Il sogno dei suoi genitori, però, non rimane in un cassetto: oggi, infatti, i tre fratelli di Carlo e gli altri eredi lo stanno trasformando in un luogo tangibile per accogliere i giovani con disabilità al termine delle scuole superiori con percorsi occupazionali su misura, aiutandoli ad affrontare quel “salto nel vuoto” che spesso è il passaggio dagli studi al lavoro.
È questo il Progetto Imoletta, nome che racchiude la Fondazione di Partecipazione senza scopo di lucro e la fattoria sociale e didattica Villa Imoletta che in questi mesi sta muovendo i primi passi. Due realtà connesse, la prima nata con lo scopo di sostenere la seconda, mettendo a disposizione, oltre alle risorse economiche, l’immobile e le sue pertinenze.
Protagonista assoluta è l’imponente magione, delizia cinquecentesca fatta erigere dal conte Giovanni Battista Laderchi, detto Imola (donde Imoletta), diplomatico di Alfonso II d’Este. La villa a pianta rettangolare si sviluppa su tre piani ed è circondata da circa tre ettari di terra coltivabile, un grande prato, un bosco e una torre, antica colombaia, che determina il confine della tenuta. Tanta bellezza a 12 chilometri da Ferrara, in località Quartesana, è stata restaurata e la piantina di ciò che sarà mostra la fattoria con un’area sportiva, un orto e una serra.
Deus ex machina è Tullio Monini, uno dei fratelli di Carlo, un uomo che ha dedicato la vita alla disabilità, all’educazione e ai servizi per le famiglie. La progettualità di Villa Imoletta è frutto della sua esperienza sul campo e prende spunto dalle più innovative attività di inclusione lavorativa avviate in altre città italiane.
La vocazione contadina del Ferrarese porta a cercare sbocchi in questo settore, in sinergia con la filiera floro-orto-vivaistica, il piccolo artigianato e la vendita al dettaglio di prodotti agricoli. Saranno quattro le aree di intervento, la prima delle quali, di carattere sociale, asse portante della fattoria. Lì si concentrerà la formazione dei ragazzi con disabilità cognitiva e comportamentale di grado medio, affidata a personale specializzato e sotto la supervisione del Collegio Scientifico della Fondazione, garante della qualità dei progetti. I componenti (insegnanti, neuropsichiatri, educatori e assistenti sociali), ricopriranno le cariche a titolo gratuito, così come i membri del Consiglio di Amministrazione della Fondazione, la quale non interverrà direttamente nei servizi offerti che saranno affidati a partnership con Cooperative, Imprese Sociali e Associazioni, avvalendosi inoltre del supporto di volontari, giovani in servizio civile e studenti universitari.
Gli stage prevedono l’orticoltura, l’allevamento di piccoli animali, la trasformazione e distribuzione dei prodotti. Questo per quanto riguarda l’area agricola, ma si è pensato anche all’àmbito ricreativo con laboratori per i più piccoli, attività ludiche di gruppo, Pet Therapy (“terapia con gli animali”), sagre e feste (già alla fine di maggio si è svolto il Mercatino dell’Usato di Imoletta, aperto a tutti).
Villa Imoletta non resterà isolata, diverrà infatti un punto di aggregazione per famiglie con bambini, scolaresche e cittadini di diversa età e provenienza, un ampio target di destinatari che porta alla quarta area di intervento, quella dell’ospitalità. La villa e gli spazi circostanti si prestano infatti all’organizzazione di eventi di vario genere e, in futuro, a diventare un bed and breakfast.
La fattoria sarà un incubatore di microprogetti da sviluppare sul territorio (piccoli negozi, laboratori, ristorazione veloce, affittacamere), ma i giovani con disabilità potranno anche impegnarsi per il bene comune, occupandosi della manutenzione delle aree verdi cittadine o contribuendo ai percorsi turistici.
L’esperienza all’interno della fattoria è pensata per durare non più di due-tre anni, necessari per far emergere competenze e inclinazioni da “spendere” nel mondo esterno. Gli operatori resteranno sempre a disposizione dei giovani, quando avranno bisogno di una ricarica affettiva o incontreranno momenti di difficoltà.
Ora si stanno progressivamente inaugurando le attività, partite con due incontri dedicati ai sibling (fratelli e sorelle di persone con disabilità) e ai genitori, per dare voce a temi caldi come l’autonomia, l’affettività, la sessualità e lo stress da accudimento.
Più di trecento alunni e alunne con certificazione di disabilità frequentano ogni anno gli Istituti Superiori di Ferrara, cosicché, partendo dalla scuola materna, trascorrono sedici anni in un ambiente che li vede e li fa crescere. Quando il percorso di studi finisce, le relazioni e le amicizie rischiano di disperdersi, e le strade da intraprendere sono due: i centri diurni, dove convivono realtà umane in un range di età dai 16 ai 65 anni, oppure si rimane a casa, in famiglia. La Fattoria Villa Imoletta è la terza via, quella meno semplice, probabilmente, perché la sua pluralità di iniziative pone al centro le persone e valori dimenticati come l’attenzione e il prendersi cura degli altri, della natura, della comunità e del territorio, senza escludere nessuno, una sfida che per realizzarsi richiede un ripensamento dei modelli culturali imperanti. È la via meno semplice, ma l’unica possibile.
Il presente contributo è già apparso in “InVisibili”, blog del «Corriere della Sera.it» (con il titolo “Villa Imoletta, la fattoria sociale e didattica che unisce l’intera comunità ferrarese”). Viene qui ripreso, con minimi riadattamenti al diverso contenitore, per gentile concessione.
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