Giusto nei giorni scorsi il Comitato delle Donne dell’EDF, il Forum Europeo sulla Disabilità, ha ricordato, nell’àmbito della propria Assemblea Generale, come le donne con disabilità abbiano da due a cinque volte più probabilità di subire violenza rispetto alle altre donne. Eppure, nonostante queste evidenze, almeno qui in Italia sono davvero pochi i Servizi Antiviolenza preparati ad accogliere le vittime di violenza con disabilità. Tra quei pochi ci sono ad esempio gli sportelli CHIAMA chiAMA, inaugurati nell’Area Metropolitana di Bologna nel maggio del 2020 dall’Associazione MondoDonna (capofila del progetto) e dall’AIAS di Bologna (Associazione Italiana Assistenza Spastici).
Strutturati in termini di multidisciplinarietà e flessibilità, gli Sportelli hanno svolto molteplici attività di formazione e sensibilizzazione sui temi della violenza nei confronti delle donne con disabilità e dopo due anni di sperimentazione e lavoro a diretto contatto con donne con disabilità e i loro vissuti di violenza, sono riusciti a produrre uno strumento operativo molto importante, intitolato Accorciare le distanze. Linee Guida per la presa in carico di donne con disabilità che hanno subito violenze e discriminazioni multiple, liberamente scaricabile dal web (a questo link).
Si tratta di un supporto prodotto nell’àmbito delle attività di Accorciare le distanze: prospettive di prossimità tra genere e disabilità per donne vittime di violenza, progetto realizzato grazie al sostegno dell’itto per mille della Chiesa Valdese, allo scopo appunto di fornire indicazioni utili, strumenti e spunti di riflessione a chi si approccia per la prima volta ad affrontare la tematica della violenza e delle discriminazioni multiple. A completare il lavoro vi è anche un filmato utile a far conoscere i Servizi Antiviolenza del territorio, un video dotato di alcuni accorgimenti di accessibilità (sottotitolazione, impiego della LIS-Lingua dei Segni Italiana e anche una piccola parte supportata dalla CAA-Comunicazione Aumentativa Alternativa), oltreché di diversi poster e targhe, anch’essi studiati con accorgimenti di accessibilità (scaricabili a questo link).
Ma cosa rende queste Linee Guida tanto importanti? A parere di chi scrive a renderle tali è la circostanza che attualmente anche chi opera nella rete antiviolenza incorre frequentemente in alcuni gravi equivoci, il primo dei quali è costituito dal fatto che alcuni Centri Antiviolenza ritengono che la presa in carico delle vittime di violenza con disabilità competa ai servizi per la disabilità. Questa, infatti, è un’erronea lettura della realtà, visto che la sperimentazione ha mostrato in modo molto chiaro che per affrontare efficacemente questi casi è fondamentale lavorare con équipe multidisciplinari che includano tutte le competenze richieste dalle differenti situazioni che si possono presentare.
Un altro equivoco è dato dal fatto che quando si parla di intersezionalità, chi opera nella rete antiviolenza associa questo concetto alla discriminazione e alla violenza nei confronti delle donne immigrate/straniere/rifugiate/richiedenti asilo, la qual cosa non è sbagliata – specie se si considera che il concetto di intersezionalità nasce proprio dalla riflessione sulla combinazione di sessismo e razzismo sviluppatasi nell’àmbito del cosiddetto “femminismo nero” –, ma certamente non può considerarsi esaustiva, visto che il fenomeno si presenta anche nella combinazione di sessismo e abilismo. A ciò si aggiunga che la Convenzione di Istanbul (Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, ratificata dall’Italia con la Legge 77/13) si regge sul principio di non discriminazione e che il divieto di compiere discriminazioni sulla base della disabilità è esplicitamente espresso nella Convenzione stessa (all’articolo 4).
Quanto siano vincolanti tali disposizioni lo documentano i tanti moniti rivolti all’Italia dal GREVIO – il Gruppo di esperti/e indipendenti responsabile del monitoraggio dell’attuazione della Convenzione di Istanbul – proprio per averle disattese (si legga, a tal proposito, l’approfondimento pubblicato su queste stesse pagine).
L’ultimo equivoco, infine, nasce da considerazioni pratiche, e può essere riassunto nella massima «Poiché non sappiano come relazionarci alle donne con disabilità diverse, non siamo in grado di prenderle in carico». Sotto questo profilo l’esistenza di servizi come gli sportelli CHIAMA chiAMA prima, e la pubblicazione della Linee Guida poi, documentano che non siamo all’anno zero, che alcune cose sono già state fatte e che esse, come in ogni processo virtuoso, sono oggetto di condivisione.
Ma cosa contengono le Linee Guida? La prima fondamentale questione che affrontano è quella di guidare le operatici dei Centri Antiviolenza (CAV) a porsi delle domande riguardo al proprio agire operativo e alle prassi consolidate per individuarne gli elementi di criticità. La qual cosa non è affatto banale se si considera che non può esserci accessibilità e inclusione se non si è disposti/e a individuare gli elementi del sistema antiviolenza che fino ad oggi hanno letteralmente tagliato fuori le donne con disabilità.
Una volta individuate le criticità del sistema, è necessario verificare, ripensare e ridefinire tutti gli snodi del percorso antiviolenza, la predisposizione del setting, l’accoglienza, le modalità, i luoghi e i tempi del colloquio d’ascolto.
Sono quindi riportate delle buone prassi, mentre altre parti sono dedicate al percorso di sostegno psicologico, alla rete territoriale di sostegno e alla consulenza legale.
Al lavoro vero e proprio sono accostate diverse attività complementari (gli incontri laboratoriali e la formazione) e alcune schede operative (una scheda utente, una scheda di monitoraggio dell’accessibilità, alcuni esempi di materiali per la comunicazione predisposti con accorgimenti di accessibilità).
MondoDonna e l’AIAS di Bologna, dunque, hanno fatto davvero un ottimo lavoro. Le Linee Guida, infatti, offrono realmente tanti spunti di lavoro e di riflessione.
A conclusione di questa breve presentazione, ecco un passaggio particolarmente significativo: «Possiamo affermare che ci si occupa ancora molto poco della dimensione del disagio psichico e relazionale che si costituisce nella vita delle persone che si confrontano direttamente o indirettamente con la disabilità. Questa “irruzione” della disabilità quasi sempre non trova figure e spazi che permettano di raccontare e condividere cosa viene vissuto. Ancora una volta le esperienze di donne con disabilità e anche di operatori/operatrici sottolineano infatti un silenzio invalicabile rispetto al dolore psichico e parlano della difficoltà di avere di fronte un interlocutore/interlocutrice che possa ascoltare. Trovare di fronte a sé un’interlocutrice che non nega il dolore, non lo minimizza, non lo cancella fuggendo (concretamente o emotivamente), ma lo rispetta e se ne fa carico, consente alla persona che lo soffre molti passaggi fondamentali: trasformarlo in parole, attraverso il racconto di sé; sentirsi riconosciute e accolte anche per questi aspetti inevitabili della propria esperienza» legata alla disabilità; constatare che chi ci sta di fronte è in grado di esserci e di contenere tali elementi dolorosi; iniziare un processo di trasformazione del dolore, sperimentando che il dolore non produce solo distruzione, solitudine, terra bruciata attorno a sé, ma può essere condiviso e dunque evolvere; avviare un processo di possibile nuova vitalità e nuova capacità di desiderare [grassetti redazionali nella citazione, N.d.R.]».
Per approfondire ulteriormente il tema della violenza nei confronti delle donne con disabilità, si può accedere alla Sezione La violenza nei confronti delle donne con disabilità, nel sito del Centro Informare un’h, mentre sul tema più generale Donne e disabilità, si può fare riferimento al lungo elenco di testi da noi pubblicati, presente a questo link, nella colonnina a destra dell’articolo intitolato Voci di donne ancora sovrastate, se non zittite, oltreché alla Sezione Donne con disabilità, anch’essa nel sito del Centro Informare un’h.