Li chiamavano “nani”: piccole stature (intese come centimetri) e grandi storie

di Stefania Delendati
Fin dalle epoche più remote le persone affette da nanismo hanno suscitato sentimenti contrastanti, sono state vittime di pregiudizi, usate per il divertimento altrui, derise e considerate “inferiori”. Pochi sanno, tuttavia, che alcune si sono ritagliate un ruolo nella storia, hanno conquistato la fiducia di illustri personalità del passato e posato per importanti artisti, si sono battute e ancora si impegnano con orgoglio per i diritti. Questo è dunque un racconto di grandi storie che hanno per protagonisti “piccoli uomini” e “piccole donne”
Sette nani disneyani
I classici sette nani disneyani

Fin dalle epoche più remote le persone affette da nanismo hanno suscitato sentimenti contrastanti, sono state vittime di pregiudizi, usate per il divertimento altrui, derise e considerate “inferiori”. Pochi sanno, tuttavia, che alcune si sono ritagliate un ruolo nella storia, hanno conquistato la fiducia di illustri personalità del passato e posato per importanti artisti, si sono battute e ancora si impegnano con orgoglio per i diritti.
Questo sarà dunque il racconto delle grandi storie di “piccoli uomini” e “piccole donne”, dalla preistoria ai nostri giorni, ma prima di iniziare, occorrono alcune precisazioni. Dire oggi “il nano” oppure “la nana” è da ritenersi inopportuno, le linee guida della corretta comunicazione sulla disabilità impongono giustamente di porre l’accento sulla persona senza identificarla con le sue caratteristiche fisiche. In passato questi termini erano invece di uso comune; soltanto per questa ragione, dunque, quando parlerò nel presente testo di famose persone con nanismo, utilizzerò anche queste definizioni in disuso, in quanto i testi che ho consultato per documentarmi evidenziano come siano parole del normale lessico storico quando si riferiscono, ad esempio, ai nani di corte, una “categoria” ben precisa che, avremo modo di vedere, aveva peculiari caratteristiche sociali.

Romito 2
I resti di Ronito 2 (vissuto intorno al 9200 avanti Cristo), rinvenuti in una grotta del Parco del Pollino in Calabria

Il folklore, le favole, la letteratura, la musica e l’immaginario collettivo sono popolati di “piccoli” personaggi. I più famosi sono Pollicino e i sette nani di Biancaneve, le leggende narrano del “piccolo popolo”, fate, gnomi, folletti ed elfi che vivono nei boschi; una delle saghe letterarie e cinematografiche più amate, Il Signore degli Anelli, ha per protagonisti gli hobbit, persone di bassa statura con grandi piedi, gioviali e pacifiche, che gli altri abitanti della “Terra di Mezzo” chiamano in modo sprezzante “mezzi uomini”, ricredendosi quando il loro coraggio risolve per il meglio le sorti della storia.
Nei suoi viaggi Gulliver incontra i lillipuziani, uomini alti 15 centimetri, in lotta con gli abitanti della vicina isola di Blefuscu per stabilire il modo corretto di rompere le uova.
Nella musica non poteva essere altri che Fabrizio de André, il poeta degli ultimi, a dedicare uno dei suoi memorabili testi ad una persona con nanismo. È Un giudice, canzone del 1971 dal finale amaro, dove il protagonista deriso da tutti fin da bambino, trasforma la rabbia in forza per vendicarsi di chi lo prendeva in giro per la statura.

Uscendo dalla fantasia, troviamo una persona con nanismo realmente esistita nella preistoria; i suoi resti sono stati rinvenuti in una grotta del Parco del Pollino, in Calabria. È Romito 2, un ragazzo presumibilmente intorno ai vent’anni, alto poco più di un metro, vissuto intorno al 9200 avanti Cristo. Sepolto abbracciato ad una donna più grande, Romito 2 non è soltanto il primo caso riconosciuto al mondo di nanismo (le analisi portano a ritenere fosse affetto da displasia acromesomelica), ma è anche la dimostrazione delle cure che i gruppi sociali del Paleolitico Superiore riservavano ai soggetti più deboli.

Seneb e Senetites
La statua di Seneb e della moglie Senetites nel Museo Egizio del Cairo

Nell’Egitto pre-faraonico le donne con nanismo erano associate ai culti della fertilità, protettrici delle gravidanze e delle nascite. Ne sono stati ritrovati moltissimi manufatti nei santuari e i sovrani cercavano sia uomini che donne di piccola statura, poiché averli nella corte era una sorta di status symbol. Nelle tombe dell’Antico Egitto sono raffigurati come musicisti, guardarobieri, gioiellieri, comunque sempre con mansioni prestigiose. È risaputo che alcuni raggiunsero i vertici della società, come il nano di corte raffigurato nella tomba del faraone Den (2850 avanti Cristo), visibile al Rijkmuseum van Oudheden di Leida, nei Paesi Bassi, oppure Perniankhu e Seneb, rispettivamente danzatore e alto funzionario alla corte di Cheope. Seneb, in particolare, ricoprì il ruolo di capo dei nani di palazzo e al Museo Egizio del Cairo si può ammirare una statua che ce lo mostra con la moglie e i figli.
Nel periodo greco arcaico e durante l’Impero Romano nano e pigmeo diventarono sinonimi, un errore privo di basi scientifiche che si perpetuò addirittura fino al Settecento. Omero raccontò di pigmei bellicosi che vivevano nei pressi del Nilo e combattevano le gru che minacciavano i loro raccolti.
Perfezione morale e fisica andavano di pari passo per Aristotele che collocò le persone con nanismo nel “regno animale”. Secondo lui avrebbero dovuto essere abbandonate alla nascita. Non sappiamo se e quanto venne ascoltato, un fatto certo è che sono giunti a noi vasi attici che raffigurano persone di bassa statura che danzano in onore di Dioniso.
Anche i Romani hanno tramandato delle statuine di bronzo, perlopiù caricaturali. La nipote di Augusto, Giulia, godeva della compagnia di Coropas, un uomo alto meno di un metro, e si faceva servire da Andromeda, una cameriera della medesima altezza.
L’imperatore Tiberio ammetteva a tavola un nano che aveva facoltà di dire qualunque cosa, diritto negato agli altri commensali, mentre Domiziano creò un gruppo di gladiatori con nanismo. Nei primi anni dell’Impero erano “merce di lusso” venduta a carissimo prezzo, i mercanti non si facevano scrupolo di fasciare in maniera stretta alcuni bambini in modo da impedir loro una crescita regolare, così da “produrre” dei “nani artificiali” per aumentare il mercato e i guadagni.

Morgante di Valerio Cioli
La scultura di Valerio Cioli dedicata a Morgante, nel Giardino di Boboli a Firenze

Nel Medioevo l’avvento del Cristianesimo portò in ogni àmbito dell’esistenza umana l’antitesi Dio-Satana, cosicché la “diversità” era un castigo divino oppure la dimostrazione dell’intervento di forze oscure. Si hanno notizie frammentarie di nani realmente esistiti, uno senza nome è diventato famoso come il “nano di Cividale”, un uomo ritrovato nella necropoli longobarda di San Mauro, nella località friulana in provincia di Udine. Dell’età approssimativa fra i 25 e i 45 anni, lo scheletro presenta i caratteri dell’acondroplasia. L’anomalia risiede nella modalità in cui l’uomo fu seppellito, a faccia in giù sopra ad una donna più grande. Non vi erano probabilmente legami di parentela, soltanto un comune destino nella marginalità, lui per il suo aspetto, lei forse accusata di stregoneria o sospettata di possessione demoniaca. Era consuetudine, appunto, inumare queste persone, come anche i criminali e i suicidi, con il capo rivolto a terra, verso gli Inferi a cui erano destinate, in modo che non potessero tornare tra i vivi.
Sul finire del Medioevo nacque la categoria cosiddetta “del meraviglioso”, esseri fantastici di piccola statura comparvero nei poemi e vennero ritratti nelle miniature. Nella realtà, invece, i nani trovarono una dimensione sociale come giullari e buffoni nelle corti nobiliari. A scanso di equivoci, “dimensione sociale” non era sinonimo di considerazione. Venivano acquistati e venduti, portati in dono ai regnanti per tessere relazioni diplomatiche, condividevano con i cani gli spazi della vita quotidiana ed erano considerati appena un gradino al di sopra degli animali.

Mantegna, Lucia
Lucia, ritratta da Mantegna a Mantova nella Camera degli Sposi di Palazzo Ducale

Capricci della natura, dovevano esibirsi per il divertimento dei padroni, ci stavano ad essere ridicolizzati e sbeffeggiati, fino ad essere bersaglio di scherzi al limite del sadico solo per scatenare l’ilarità dei presenti; durante le cerimonie pubbliche, inoltre, servivano per far apparire ancora più imponenti i sovrani, grazie al contrasto visivo con la loro bassa statura. Opinione comune era che il nano di corte fosse bugiardo e malizioso, quel che la natura aveva tolto in altezza lo avrebbe compensato in acume e intuito. Il filosofo Giovan Battista Della Porta lo espresse con queste parole: «Ne i corpi piccioli, il sangue si racchiude in poco luogo, onde i movimenti sono veloci, e nell’operare, e nell’intendere sono assai veloci, e nel corpo picciolo, è picciolo il viaggio tra il cuore, e il cervello, dove si accendono gli spiriti: perciò sono più forti».

Enrichetta Maria e Jeffery Hudson di Van Dyck
Il ritratto di Antoon Van Dyck della regina Enrichetta Maria con Jeffery (o Jeffrey) Hudson (National Gallery of Art di Washington)

Incarnazione perfetta dello stereotipo e celebrità assoluta nel XVI secolo fu Morgante, il più famoso dei cinque “omuncoli” (anche così erano chiamati) di Cosimo I de’ Medici. Al secolo Braccio di Bartolo, originario di Castel del Rio, nel Bolognese, era il nano prediletto del Duca che lo riempiva di vizi. Si narra che gli perdonò addirittura un episodio di adulterio (da cui Morgante trasse popolarità come grande amatore) e addirittura insabbiò l’uccisione di un servitore per mano del nano. Trascorse la maggior parte della sua vita a Palazzo Pitti di Firenze, la reggia dei Medici. Lingua tagliente e arguta, deve ironicamente il soprannome al gigante protagonista dell’omonimo  poema di Luigi Pulci. Giorgio Vasari lo citò nelle Vite con queste parole: «[…] il Duca, il quale ha fatto fare al medesimo di marmo la statua di Morgante nano, ignuda, la quale è tanto bella e così simile al vero riuscita, che forse non è mai stato veduto altro mostro così ben fatto, né condotto con tanta diligenza simile al naturale […]». La citazione si riferisce alla Fontana del Bacchino, opera dello scultore Valerio Cioli, visibile nel Giardino di Boboli. Morgante, nudo, grassottello e già avanti negli anni, cavalca spavaldo una testuggine.

Non era inconsueto ritrarre i nani di corte nelle opere ufficiali e lui, popolare fin quasi a sfiorare la leggenda quand’era ancora in vita, posò per i maggiori artisti della sua epoca. Il Bronzino ne dipinse un curioso doppio ritratto nella sua ignuda strabordante fisicità, fronte e retro, rappresentandolo come un cacciatore di uccelli (l’opera è esposta nella Sala di Apollo in Galleria Palatina, a Palazzo Pitti). E sempre come mamma lo fece, stavolta seduto su una chiocciola-mostro marino, lo fuse nel bronzo il Giambologna per la piccola fontana oggi visibile al Bargello, e lo ritrasse alla base del monumento equestre di Cosimo I, in Piazza della Signoria, nella veste di disturbatore durante la cerimonia di incoronazione del suo signore.

Velázquez, Sebastian de Morra
Ritratto di Sebastian de Morra di Diego Velázquez (Museo del Prado di Madrid)

Andiamo adesso a Mantova, alla corte dei Gonzaga. Tutti gli appassionati d’arte conoscono l’affresco di Andrea Mantegna nella Camera degli Sposi, a Palazzo Ducale. Tra i personaggi raffigurati, soltanto uno ci guarda negli occhi, come se volesse invitarci a partecipare alla scena. Si tratta di Lucia, la nana di corte che svolgeva il ruolo di balia, una di famiglia, tanto da meritare un ritratto, per anni chiamata Diamantina e solo di recente identificata con la balia Lucia. Lei è la più famosa nana del Palazzo, tanto da far passare inosservati il cavaliere con nanismo nella Sala di Pisanello e il nano che assiste impettito al giuramento di Luigi Gonzaga, dipinto nella Sala dei Capitani del Popolo, nell’appartamento grande di Castello.
I nani di Mantova sono anche i protagonisti dell’omonimo racconto per ragazzi di Gianni Rodari del 1980, nel quale si ribellano alla vita di corte dove vengono trattati come animali in gabbia e, tra mille avventure, fuggono verso la libertà.

Maria Bàrbola di Velázquez
Maria Bàrbola in un particolare di “Las Meninas” di Diego Velázquez

Tra Medici e Gonzaga, anno più anno meno, erano i tempi dei navigatori e della scoperta di nuovi mondi. Quando il cronista Bernal Díaz del Castillo, al seguito di Hernán Cortés, arrivò nel palazzo dell’imperatore azteco Montezuma, vide numerosi nani. Le abitudini dei nobili non erano diverse dall’altra parte dell’oceano e anche in Oriente si descrive questa pratica già all’epoca del primo imperatore cinese di Qin (259-210 avanti Cristo), che presso di sé teneva il nano You Zan.
Spesso sfruttati e trattati male dai loro padroni, nulla poté neppure il governatore provinciale Yang Cheng che senza successo intervenne per aiutarli.
Tornando in Europa, nel XVII secolo la corte inglese ospitò la coppia Richard Gibson e Anne Shepherd, poco più di due metri in due. Convolati a nozze per volontà della regina Enrichetta Maria, ebbero nove figli, tutti di statura ordinaria.
Gibson, abile miniaturista, fu anche maestro di pittura per le figlie di re Giacomo II. Loro contemporaneo, il “Morgante” d’Inghilterra Jeffery (o Jeffrey) Hudson. Figlio di un macellaio, diventò una star quando uscì da una torta per il divertimento dei sovrani. Per due volte venne anche fatto prigioniero ed egli dichiarò che le sofferenze patite lo fecero crescere in altezza fino a 114 centimetri, malgrado non fosse più un ragazzino.
In Russia, poi, alla fine del 1710, lo zar Pietro il Grande si fece promotore delle nozze tra due nani di corte, tra cui il suo prediletto Iakim Volkov. Una messinscena alquanto ridicola per ingannare la noia della vita di palazzo, per la quale fece arrivare a San Pietroburgo settanta nani che si accomodarono a tavoli in miniatura realizzati per l’occasione, recitando la parte degli invitati malgrado fossero sconosciuti agli sposi.

Bébé
Bébé (Nicholas Ferry), nano di re Stanislao II di Polonia

Ci immergiamo ora nel secentesco barocco spagnolo, dove nani e buffoni sono indiscussi protagonisti delle tele di Diego Velázquez, realizzate presso la corte di Filippo IV. Ci sono arrivati anche i loro nomi insieme ai volti: Sebastian de Morra, Juan Calabazas, Diego de Acedo el Primo, Francisco Lezcano. Spesso al loro fianco compaiono animali che ne sottolineano la “piccolezza”, come nel Nano con cane, anch’esso attribuito a Velázquez (o comunque alla sua scuola), oppure al particolare del mastino raffigurato nella Cacería del tabladillo en Aranjuez di Juan Bautista Martínez del Mazo, o ancora a Le nain du cardinal de Granvelle tenant un gros chien di Antonio Moro.
Lo sguardo intenso, malinconico e forte al tempo stesso, lo sfarzo degli abiti che fa risaltare i “difetti” fisici, i toni scuri che li circondano sono elementi che trasmettono la condizione di isolamento che queste persone vivevano, figure di svago per accontentare la frivolezza dei nobili.
A differenziarsene fu Maria Bárbola, la nana dipinta nel grande quadro Las Meninas di Velázquez al Museo del Prado. Ritratta sulla destra, in abiti eleganti, ma in una posizione dignitosa, accanto alla principessa, incontra i nostri occhi consapevole della sua posizione. Era infatti una funzionaria di corte, impiegata poi nella casa della regina reggente e dama di compagnia di Margherita Teresa di Spagna. Tornò nella nativa Austria successivamente al 30 marzo 1700, quando il re Filippo V riorganizzò la corte reale in modo moderno e abolì pertanto alcune funzioni tra cui quelle di buffoni e nani.

Carolina Cracami
Caroilina Cracami, la “fatina siciliana”

Via via in tutto il Vecchio Continente andò scomparendo il tradizionale ruolo dei nani nei palazzi nobiliari, ma non si affievolì certo la curiosità, a volte morbosa, intorno a queste “figure” percepite più come caricature che come persone.
Cominciarono ad esibirsi nel mondo dello spettacolo e i primi palcoscenici furono le stanze aristocratiche dove fino a pochi anni prima avevano prestato servizio. Nell’Est Europa si ricorda Bébé, al secolo Nicholas Férry. Nano di re Stanislao II di Polonia, aveva un grande amore per la musica e un temperamento geloso, se è vero che quando a palazzo arrivò Józef Boruwlaski, il famoso concertista affetto da nanismo, Bébé tentò di dargli fuoco. Morì a soli 23 anni, dopo essere caduto inspiegabilmente in una sorta di stato letargico e prima di sposare Anne Thérèse Souvray, cantante e ballerina anche lei affetta da nanismo.

General Tom Thumb
General Tom Thumb (il “Generale Pollicino”), pseudonimo di Charles Sherwood Stratton

Nell’Inghilterra del XVIII secolo attirava centinaia di persone la coppia dello show business Thomas Allen e Lady Morgan. Sulla locandina  di uno dei loro spettacoli si leggeva: «Prezzo di ammissione per gentildonne e gentiluomini, uno scellino; bambini, metà prezzo. In questa e molte altre parti del regno, è assai diffusa l’abitudine di mettere in mostra esseri deformati […]. Questa piccola coppia è senza dubbio il miglior spettacolo della natura mai offerto all’ammirazione dell’umanità!».
Lei, nota come la “fata di Windsor”, sapeva difendersi bene di fronte a dichiarazioni denigratorie riguardo alla sua statura: «Devo confessare di essere stata molto sorpresa constatando che voi avete deciso di mancare di rispetto alla donna bassa, e sono stata ancor più offesa nell’apprendere che i miei amici sostengono che questo è il mio appellativo […] intendo solo chiedere che voi correggiate pubblicamente le affermazioni a mio riguardo», scrisse alla redazione del «Guardian», riferendosi ad una notizia comica pubblicata il 25 giugno 1713.

Quella spesso citata come la persona più piccola della storia era italiana, Carolina Cracami, la “fatina siciliana”. Ebbe un’esistenza brevissima (morì infatti prima di compiere 10 anni) e molto triste, emblema dell’ingiusto destino che toccò a tanti “diversi” come lei.
Il padre musicista, dopo il trasferimento a Dublino per lavoro nel 1823, la diede in affidamento in buona fede ad un certo dottor Gilligan che si offrì di portarla gratuitamente a Londra per farla curare. La piccola sarebbe stata “esposta” al pubblico soltanto per coprire le spese necessarie a ristabilirla dopo che il freddo clima irlandese ne aveva compromesso la salute. Gilligan si trasformò in un impresario senza scrupoli, obbligò Carolina ad un tour estenuante con il nome d’arte di Caroline Crachami, culminato nell’esibizione davanti alla corte reale. A Londra non si parlava d’altro, duecento visitatori in media al giorno pagavano uno scellino per vederla, il prezzo raddoppiava per osservarla da vicino o sollevarla in braccio. Nessuno pareva accorgersene, Carolina era intelligente e con la battuta pronta, parlava un buon inglese, le piacevano i bei vestiti, gli oggetti luccicanti e la musica; non sopportava chi la guardava troppo da vicino e i medici che la misuravano.

Benjamin Lay
Benjamin Lay

Lo stress continuativo degli show la prostrarono fino alla morte, avvenuta il 3 giugno 1824 sulla carrozza che la stava accompagnando nell’alloggio londinese dopo l’ennesimo spettacolo pagante. I genitori, ignari di tutto, appresero della scomparsa dai giornali e non riuscirono neppure con azioni legali a sottrarre il corpo della figlioletta all’anatomista John Hunter che lo acquisì per studiarlo. A colmare la storia di infinito dolore, sapere che quel che resta della piccola Carolina (che ricordiamo era soltanto una bambina) è esposto nell’Hunterian Museum of the Royal College of Surgeons of England a Londra insieme all’anello che indossava sempre, al suo ditale, alle scarpe e ai calchi in cera del viso, del braccio, della mano e del piede. Patetici cimeli che ci rammentano le parole scritte dal poeta Thomas Hood per la “fatina siciliana”: «Pensate alla breve, misera vita di Crachami! /La vita mai s’accese in cornice più minuta/ Di quella in cui Caroline è cresciuta/Ma quando si sentì solo un fenomeno da circo, provò/ a ritrarsi dagli occhi del mondo, povera nana! E spirò!».

Henri de Toulouse-Lautrec
Henri de Toulouse-Lautrec

Il secolo in cui visse Carolina Cracami fu quello delle attrazioni ambulanti, spettacoli circensi che giravano di città in città in cui si esibivano mangiafuoco, mangiaspade, giocolieri e animali. Con loro, persone con caratteristiche fisiche e anatomiche “particolari”, ingaggiate per generare risa e grottesca curiosità. Patria dei cosiddetti Freaks Show furono gli Stati Uniti e uno dei protagonisti che ancora si ricordano in America fu General Tom Thumb (il “Generale Pollicino”), pseudonimo di Charles Sherwood Stratton.
Nato nel 1838, originario del Connecticut, a cinque anni fece il suo primo tour in America con il Circo Barnum che l’aveva adottato. Impersonava Cupido e Napoleone Bonaparte, imparò a cantare e ballare, oltre a mostrare un certo talento per le battute comiche. Si esibì due volte davanti alla regina Vittoria e poi per tre anni in tournée in Europa dove trionfò in ogni teatro.
Stratton non era una “curiosità umana” come le altre, il talento e l’intelligenza che mostrava erano autentici doni di artista, i critici stessi lo giudicavano alla pari dei professionisti dello spettacolo e non veniva associato alla comunità dei freaks. Entrato nella massoneria, si sposò con Lavinia Warren, anche lei affetta da nanismo. Nel 1863 il loro matrimonio fu un evento da prima pagina e dopo la cerimonia la coppia fu ricevuta alla Casa Bianca dal presidente Lincoln.
Abile anche negli affari, diventò il partner commerciale di Barnum e accumulò una fortuna in denaro. Viveva in una lussuosa abitazione nella zona più prestigiosa di New York, ma possedeva anche un’altra casa nel Connecticut adattata alle esigenze sue e della moglie; possedeva inoltre uno yacht a vapore e un guardaroba alla moda. Morì improvvisamente per un ictus a soli 45 anni. Fu sepolto con gli onori massonici nel cimitero di Mountain Grove a Bridgeport, nello Stato nativo e al funerale parteciparono oltre ventimila persone. Sulla tomba, una statua lo ritrae a grandezza naturale.
Curiosamente il nome con cui si fece conoscere Stratton, Tom Thumb, deriva dal personaggio del folklore inglese protagonista di una celebre fiaba che potrebbe in realtà essere stato una persona in carne e ossa. Nel pavimento vicino al fonte battesimale, nella cappella principale nella Chiesa della Santissima Trinità a Tattershal, nel Regno Unito, c’è infatti una tomba lunga meno di mezzo metro con un’iscrizione che recita «T.Thumb, 101 anni, morto nel 1620».

"Città per nani" a Kunming in Cina
Gli abitanti della “città per nani” a Kunming in Cina

Le persone con nanismo famose di cui abbiamo parlato fin qui raggiunsero la celebrità grazie all’altezza, da lì alcune riuscirono a riscattarsi e mostrare il loro lato umano e le capacità. Due, invece, non vengono quasi mai immediatamente associate alle loro “dimensioni”, ma soltanto al talento e all’intelligenza.
Prendiamo la biografia di Benjamin Lay, il primo antischiavista rivoluzionario della storia, sostenitore della parità tra uomo e donna, favorevole alla libertà di stampa e contrario alla pena di morte, vegetariano e animalista ante litteram.
Nato nel 1682 in una poverissima famiglia di tessitori inglesi, affetto da nanismo e cifosi, quacchero inviso alla sua comunità religiosa per le continue provocazioni che metteva in scena, per dodici anni viaggiò come marinaio. Allora, ascoltando uomini che avevano trascorso molti anni in schiavitù, arrivò all’intuizione che gli cambiò la vita: il commercio di esseri umani era immorale, giustizia significava prima di tutto abolizione della schiavitù. Diventò un filosofo autodidatta e percorse centinaia di chilometri per portare la propria voce in ogni angolo d’America, in Inghilterra, ai Caraibi e sull’isola di Barbados. Si spostava via mare e poi rigorosamente a piedi, perché contrario allo sfruttamento dei cavalli, malgrado avesse un fisico esile e gambe così sottili che pareva impossibile potesse camminare.
Condivideva gli stessi ideali la moglie Sarah, sposata nel 1718, anche lei affetta da nanismo. Scrisse un libro, All Slave-Keepers That Keep the Innocent Apostates, considerato la pietra di fondazione dell’abolizionismo, pubblicato nel 1738 da Benjamin Franklin, uno dei padri degli Stati Uniti.
Altra epoca, tutt’altre origini, in questo caso nobiliari, altra storia quella di Henri de Toulouse-Lautrec. Esponente di spicco dell’arte di fine Ottocento, considerato dai critici l’inventore della grafica pubblicitaria, raccontò con tratto divertito e spietato l’effimera umanità della Parigi notturna.
Henri era alto poco più di un metro e mezzo con un busto di normali proporzioni su gambe da bambino, il padre non accettò mai la “diversità” del figlio che ne soffrì, probabilmente più di quanto lasciò trapelare. Il turbamento psicologico lo portò ai margini della società, sulla collina di Montmartre, tra artisti spiantati, ballerine, “barboni” e prostitute. Diventò una delle anime di quell’universo bohémien, amico di reietti d’ogni sorta che ritraeva con struggente genuinità, grande seduttore capace di generare nelle donne curiosità e attrazione. Incarnò il cliché del pittore avido di piaceri e divertimenti fino all’autodistruzione.
Morì alcolizzato e affetto dalla sifilide il 9 settembre 1901, a soli 36 anni, e a quel punto la stampa ne diede notizia senza rispetto, mettendo l’accento sulla sua condizione fisica: «Essere bizzarro e deforme, che vedeva tutto il mondo attraverso le proprie tare fisiologiche», scrisse «Le Républicain de Lyon».

Peter Dinklage nel film "Cyrano"
Peter Dinklage in una scena del film “Cyrano” di Joe Wright

Attraverso i secoli, dunque, siamo arrivati ai giorni nostri. In Italia, secondo le fonti dell’AISAC (Associazione per l’Informazione e lo Studio dell’Acondroplasia), sono circa 4.000 le persone affette da nanismo, 650.000 mila nel mondo.
L’acondroplasia (dal greco “senza cartilagine”) è la più diffusa delle displasie scheletriche con un’incidenza di un caso su 20.000 nati, senza differenze di razza, etnia o sesso; in nove casi su dieci non ci sono precedenti in famiglia. Ancora oggi, nonostante la cultura della disabilità abbia fatto dei passi avanti e anche le persone “piccole” siano in parte uscite dallo stigma che le circonda, rimane il peso psicologico di un’immagine che non riesce ancora del tutto ad inserirsi nella “normalità”. Per questo alcuni si sottopongono ad una serie di dolorosi interventi chirurgici, un percorso lungo anni per conquistare qualche centimetro. Scelte umane, più o meno condivisibili, mai giudicabili, perché l’accettazione di sé passa attraverso un percorso che ognuno affronta nell’intimo del proprio animo.
In certi luoghi pare non sia cambiato nulla, le persone affette da nanismo sono ancora “attrazioni” esposte agli occhi dei curiosi. È così a Kunming nella provincia dello Yunnan, a sud della Cina, un villaggio creato nel 2009 da un imprenditore e riservato ai nani. Centoventi hanno accettato di trasferirvisi, stanchi di una società che li discrimina e li sfavorisce anche nella ricerca di un lavoro.
Nella “città per nani” le case hanno un aspetto fatato, a forma di fungo, e gli abitanti indossano vestiti ispirati alle fiabe. Il luogo è diventato una stravagante meta turistica che attira gente da ogni dove, come un tempo accadeva con i Freaks Show, un triste ritorno al passato, anche se le persone che vivono a Kunming hanno scelto volontariamente di abitarvi: «Come persone piccole siamo soliti essere spinti e maltrattati dalle persone grandi. Ma qui non c’è nessuna persona grande, e tutto è fatto a nostra misura», afferma il portavoce della città Fu Tien.

Agnese Caon
L’atleta paralimpica Agnese Caon

Ci sono anche persone con nanismo felici della loro vita che non cambierebbero per qualche centimetro in più. Proprio in questi termini si è espresso Peter Dinklage, celebre attore con acondroplasia a proprio agio sia nelle commedie brillanti che nei contesti drammatici, vincitore di un Emmy e di un Golden Globe come miglior interprete non protagonista nella serie tv Il trono di spade.
Nel recente Cyrano di Joe Wright interpreta lo spadaccino poetico protagonista della storia che, con la sua presenza, sposta la “diversità” del personaggio dal celebre grosso naso alla bassa statura, rivelando un’interpretazione da gigante del grande schermo [se ne legga già sulle nostre pagine, N.,d.R.]. Un talento che non stupisce chi l’ha visto nel 2003 in Station Agent, pellicola nella quale ha prestato volto e corpo ad un giovane introverso che eredita una stazione ferroviaria in disuso.
Dinklage è un gigante anche nella vita, ha lottato per avere ruoli che non fossero incentrati soltanto sulla sua statura e non ha avuto timore di scontrarsi con un colosso come la Disney perché rivedesse con una concezione più moderna e fantasiosa i nani nel remake di Biancaneve.
In Francia è molto nota l’attrice, comica e cantante Michèle Mathy, vero nome di Mimie Mathy. Se non vi dice nulla, senz’altro avrete visto almeno uno spezzone della serie tv Joséphine, ange gardien in cui Mimie, affetta da nanismo, interpreta dal 1997 l’angelo custode con poteri magici Joséphine Delamarre che protegge le persone bisognose che le vengono affidate.
Una fiction “leggera” (in onda in Italia su LA7 dal 2013) che sa però affrontare problematiche sociali come la discriminazione sociale con finezza psicologica e intelligenza.

Leonardo Cardo
Leonardo Cardo (“Zio Leo”)

E concludiamo nel nostro Paese con l’atleta paralimpica Agnese Caon. Classe 1986, si è avvicinata nel 2018 al lancio del peso e, recentemente, al lancio del disco, disciplina nella quale ha stabilito un primo record italiano nella categoria F41.
Agnese, che per due volte è stata campionessa italiana in entrambi gli sport, di sé dice: «Dai miei 130 centimetri posso vedere, sentire, amare, incontrare, mi sono allontanata a piccoli passi dal giudizio che sentivo arrivare dagli altri e che automaticamente mi autoinfliggevo dicendomi: io chi potevo essere e cosa potevo fare crogiolandomi sul mio non essere».
Percorso di consapevolezza analogo a quello di Leonardo Cardo, per tutti “zio Leo”. Attivista per i diritti, si occupa di disabilità e inclusione anche attraverso il blog Il mio mondo dal basso verso l’alto. Un uomo appagato nella vita e nel lavoro che non nasconde il difficile periodo vissuto a causa del peso dei pregiudizi: «Avevo tanta paura nel testimoniare chi e cosa faccio nella vita. Ho imparato ad esprimere la mia unicità, il mio valore puro, non basato sulla fisicità ma improntato sul testimoniare che non solo IO ma tutti NOI possiamo essere consapevoli di essere felicemente unici».
E infine, Giovanna Vignola, che nel film La grande bellezza di Paolo Sorrentino è Dadina, la direttrice di un giornale nonché amica del protagonista Jep Gambardella/Tony Servillo. Anche lei affetta da acondroplasia, nota soprattutto per il suo impegno sociale, quando accettò il ruolo disse di averlo fatto perché il personaggio è una persona autentica e rassicurante che riesce ad abbattere i preconcetti con simpatico realismo, come quando in una conversazione con Jep ammette che la sua caratteristica fisica è sempre la prima e l’ultima cosa che notano di lei. Vale a dire che una certa fisicità non si può celare, ma non deve oscurare la persona che sta dentro quel corpo, piccolo o grande che sia.

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